SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: The Holdovers – Lezioni di vita (The Holdovers)
Genere: Commedia, Drammatico
Anno: 2023
Durata: 133′
Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: David Hemingson
Cast: Paul Giamatti, Dominic Sessa, Da’Vine Joy Randolph, Carrie Preston, Tate Donovan, Gillian Vigman e Michael Provost
Fotografia: Eigil Bryld
Montaggio: Kevin Tent
Colonna Sonora: Mark Orton
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Il titolo, probabilmente, più atteso della 41° edizione del Torino Film Festival è “The Holdovers – Lezioni di vita”, il nuovo film diretto da Alexander Payne (“Sideways – In Viaggio con Jack”, 2004, “Paradiso Amaro”, 2011 e “Nebraska”, 2013) e scritto da David Hemingson. Il cineasta statunitense torna dietro la macchina da presa dopo sei anni, firmando una nuova commedia dal sapore agrodolce presentata in anteprima al Telluride Film Festival e già passato sul grande schermo nelle sale americane lo scorso 10 novembre. Di seguito la trama e la recensione del film Fuori Concorso al TFF.
La trama di “The Holdovers” di Alexander Payne
Dicembre, 1970. Tra qualche ora la Barton Academy chiuderà per il periodo natalizio ed ogni insegnante, studente e dipendente si prepara a tornare a casa, raggiungere i propri familiari o partire per le vacanze, ma questo non vale per tutti. Alcuni ragazzi non hanno questa opportunità e sono costretti a restare nella piccola cittadina del New England, più precisamente nell’istituto, sotto la supervisione di uno dei professori. Il rigido e solitario Paul Hunham (Paul Giamatti), l’insegnante di lettere classiche, viene selezionato per punizione come supervisore e dovrà tenere d’occhio un gruppo di studenti: Angus Tully (Dominic Sessa), Teddy Kountze (Brady Hepner), Jason Smith (Michael Provost), Alex Ollerman (Ian Dolley) e Ye-Joon Park (Jim Kaplan), i cosiddetti “holdovers”. Il regime di ferro attuato dal professore nei confronti degli allievi, il sentirsi abbandonati dalle proprie famiglie, la chiusura dei dormitori e del riscaldamento non fa altro che abbattere il morale dei cinque ragazzi, pronti a passare le feste come se fossero classici giorni di scuola, fortuna che c’è almeno l’ottima cucina di Mary (Da’Vine Joy Randolph), la cuoca del collegio e madre di uno degli studenti che, sfortunatamente, ha perso la vita dopo essersi arruolato nell’esercito partendo per il Vietnam. Dopo qualche giorno, a sorpresa si presentano in elicottero i genitori di uno degli alunni, offrendosi di portare con loro anche tutti gli altri ragazzi, ma l’unico che non riesce ad ottenere il permesso dalla propria famiglia è lo sfortunato Angus, costretto definitivamente a passare Natale e Capodanno alla Barton in compagnia di Mary, il custode Danny e sotto le regole e gli ordini del prof. Hunham. Nonostante le profonde divergenze, l’improbabile duo studente – insegnante riuscirà a resistere e sopravvivere a questa convivenza forzata durante le feste?
La recensione del film con Paul Giamatti al 41° TFF
Dopo il clamoroso flop al botteghino di “Downsizing – Vivere alla grande” (2017), film d’apertura della 74° Mostra del Cinema di Venezia, Alexander Payne torna alla regia di un lungometraggio nato da una storia produttiva particolare: il progetto era in sviluppo da diversi anni, fino a quando il regista statunitense ha ricevuto una proposta per una puntata pilota per una serie televisiva, la sceneggiatura dell’episodio ha colpito notevolmente Payne, il quale ha contattato Hemingson proponendogli di farne un film. “The Holdovers – Lezioni di vita” è il risultato di questa scelta, una pellicola che mescola commedia e dramma ambientata tra le mura di una scuola, un’istituto che durante le feste natalizie chiude i battenti e tutti coloro che non hanno la possibilità di partire e tornare dai propri cari possono alloggiare e passare i giorni nel campus. Quest’anno, inizialmente, i ragazzi, gli “holdovers” di cui parla il titolo del film, sono cinque, ognuno ha un problema diverso, chi ha iscritto il proprio figlio in collegio per non occuparsene più oppure chi abita troppo lontano. Angus, invece, è costretto a restare a scuola perché la madre dopo il divorzio ha conosciuto un altro uomo è decide di partire proprio in questo periodo per la sua seconda luna di miele. Il ragazzo, profondamente amareggiato, non può far altro che restare a Barton, infatti, è anche l’unico che resta sotto la sorveglianza del professore Hunham.
Dopo un’introduzione che offre l’opportunità al pubblico di cominciare ad empatizzare con i protagonisti, si sviluppano tre linee narrative differenti che, ovviamente, finiscono per intersecarsi tra loro: la prima è quella legata alle vicende dell’insegnate, splendidamente interpretato da Paul Giamatti, attore spesso sottovalutato e considerato un semplice caratteristica, ma che da prova di rivestire alla perfezione anche il ruolo di protagonista tornando a collaborare con Payne dopo “Sideways – In viaggio con Jack” (2004), la seconda segue, invece, il maldestro e furbo Angus, interpretato dall’esordiente Dominic Sessa che, al suo primo ruolo, regala una performance di tutto rispetto mostrando un discreto potenziale, mentre la terza ed ultima è quella legata alla storia della cuoca Mary, una donna apparentemente dall’animo forte, ma che soffre ancora moltissimo per la perdita prematura del figlio. Tre racconti che finiscono per unirsi e dare vita ad una storia emozionante e coinvolgente, tra scambi di battute che spaziano dal semplice divertimento a quelle più taglienti, senza tralasciare momenti più drammatici che tendono a sottolineare lo stato emotivo di ogni personaggio. Un meccanismo che funge da motore portante dell’intera narrazione, perfettamente inquadrato e raccontato da un cineasta esperto che ha basato quasi tutta la sua filmografia ed il suo lavoro dietro la macchina da presa con l’obiettivo di mostrare il lato più umano dei suoi personaggi e delle sue storie.
Ad aiutare il regista nel confezionare questo prodotto audiovisivo che tratta temi come la crescita, la rinuncia, la perdita e le fragilità dell’individuo, ci pensa una colonna sonora che ricalca i toni ed i valori della pellicola. Tra le varie canzoni utilizzate spicca, ovviamente, la famosa “The Wind” del cantautore britannico Cat Stevens, una profonda riflessione sulla vita, sulla possibilità di fare errori ed intraprendere un percorso: l’obiettivo è essere persone migliori, resistere alle tentazioni e scrivere il proprio destino, un viaggio che affrontano in maniera differente Angus, Paul e Mary. Se il primo deve imparare ad essere meno impulsivo e non smettere di essere sé stesso, il professore, invece, deve anch’esso accettarsi e seguire i suoi veri sogni ed obiettivi, mentre la introversa Mary deve riuscire ad andare avanti tentando di colmare quel vuoto interiore provocato dalla dolorosa perdita del figlio. Percorsi diversi, ma con lo stesso traguardo, crescere e vivere al meglio la propria vita. Inoltre, ad incorniciare l’intera opera ci pensa, invece, il periodo dell’anno scelto come ambientazione, quel clima natalizio ed il successivo passaggio al nuovo anno che spesso viene utilizzato come metafora del cambiamento, quel periodo in cui ognuno si trova di fronte a quanto fatto e vissuto fino a quel momento, pronto ancora una volta a rimettersi in gioco. Se questa risulta a tratti una scelta prevedibile dal sapore stucchevole, fortunatamente, all’intero del film, c’è ben altro che finisce per colpire lo sguardo del pubblico, dalle sorprendenti performance di un cast che potrebbe dire la sua durante la stagione dei premi (soprattutto Da’Vine Joy Randolph), ad una fotografia dal fascino retro che cambia a seconda dello stato d’animo dei protagonisti, un ritmo non troppo incalzante, ma che allo stesso tempo non rallenta mai, portando lo spettatore a potersi immedesimare e lasciarsi catturare da una storia semplice, senza colpi di scena, ma che va dritta al punto.
Una lezione di vita dal fascino dolce-amaro
“The Holdovers – Lezioni di vita” è la classica commedia dolce-amara, a tratti più comica e divertente, ma che non nasconde quel suo lato più drammatico. Alexander Payne torna alla regia con un nuovo progetto affascinante con un singolo obiettivo: partire da un momento quotidiano costruendogli attorno un racconto che potesse renderlo ancora più autentico e credibile agli occhi degli spettatori. Il film sfrutta a suo vantaggio una serie di cliché apparentemente dannosi che, però, risultano funzionali a raggiungere quell’immediatezza nel relazionarsi il prima possibile con i personaggi, il pubblico pare, infatti, scoprirli nell’esatto momento in cui lo stesso regista li sta ammirando per la prima volta. Manca, effettivamente, un più che utile approfondimento sul periodo storico in cui è ambientata l’intera vicenda che finisce per passare in secondo piano a discapito, però, di quella forma e sostanza che ha sempre ricercato Payne attraverso i suoi film, dal più riuscito a quello più difettoso, senza mai perdere il suo personalissimo sguardo, quell’arma o strumento che permette spesso di fare quel passo in più ad un regista e raggiungere lo status di autore.