La spiegazione del finale di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, diretto da Francis Lawrence

Il franchise tratto dai romanzi di Suzanne Collins è tornato con il prequel ancora diretto da Francis Lawrence. Nell’articolo la spiegazione del finale del film
La spiegazione del finale di Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Articolo pubblicato il 11 Febbraio 2024 da Giovanni Urgnani

Anche la saga cinematografica di Hunger Games ha ufficialmente inaugurato la sua fase prequel, concentrandosi sulla costruzione della genesi del suo cattivo principale, seguendo di pari passo lo sviluppo dei romanzi di riferimento, sempre per mano di Suzanne Collins. Questo primo tassello complessivamente si è rivelato efficace, un buon inizio da cui partire per completare la parabola evolutiva del futuro Presidente Snow. Ma cosa può dire, in vista di eventuali progetti futuri, la conclusione di questa pellicola? Qui sotto la spiegazione del finale del film diretto da Francis Lawrence, con protagonisti Tom Blynth, Rachel Zegler, Viola Davis e Peter Dinklage.

Il finale di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, diretto da Francis Lawrence

ATTENZIONE!! SPOILER!!!

 

Dopo che Lucy pare essere sparita nel nulla, Coriolanus Snow è convocato dalla dottoressa Gaul: l’obiettivo è stato raggiunto, la decima edizione degli Hunger Games sono stati un successo di pubblico, invertendo la tendenza negativa degli scorsi anni. Successivamente, col pretesto di consegnare gli effetti personali di Seianus Plinth, si reca dal Decano Casca Highbottom, dimostratosi suo più grande ostacolo all’interno dell’università, con cui ha un ultimo faccia a faccia, dove quest’ultimo mostra tutto il suo pentimento per aver ideato questa forma barbara di spettacolo e il suo rammarico per le manovre di Snow, rivelatesi salvatrici dell’evento. Per quest’ultimo la sconfitta definitiva si consuma con la morte per avvelenamento, diventando la prima vittima diretta della sete di potere del futuro presidente di Panem, che una volta uscito dall’aula, si reca verso la piazza di Capitol City, guardando verso la grande statua al centro della rotonda, deciso più che mai a scalare tutti i gradini del potere. In voice over viene pronunciata una frase celebre del personaggio nella saga principale, precisamente ne Il canto della rivolta parte 1, infatti; la voce è quella di Donald Sutherland, che recita: «Sono le cose che amiamo di più a distruggerci».

 

 

La spiegazione del finale di Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

 

 

La spiegazione del finale di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente

La conclusione dell’atto finale è, a mani basse, la parte peggiore del film: un’inutile complicazione nel cercare di rendere l’atmosfera criptica e ambigua; il rischio più grande, corso da questo tipo di messa in scena, è banalizzare il percorso evolutivo del protagonista, riducendo le motivazioni della sua cattiveria ad un normale risentimento dovuto alla delusione d’amore, perciò la citazione, di fatto, è colpevolmente fuori contesto. Ciò va in controtendenza con quanto è stato mostrato fino a quel momento, poiché rimane sempre incerto il vero sentimento che Snow prova, sia per Lucy che per Seianus, fino a che arriva il momento di scegliere quale strada percorrere, fino a che il tempo non permette più d’indossare la maschera, mostrandosi platealmente per quello che si è. La volontà è palesemente quella di poter continuare con dei seguiti, in modo tale da concludere con il raggiungimento della massima carica politica dello Stato, eppure va riconosciuta la capacità di aver saputo chiudere il piccolo cerchio di questa storia. Il lungometraggio ha tutti gli effetti si può definire autoconclusivo, lasciando naturalmente la possibilità, in qualsiasi momento, di poter continuare, senza però lasciare un senso di incompiuto o pezzi sparsi per aria. Resta solo da capire se riusciranno, per prima cosa, ad ottenere l’attenzione del pubblico e realizzare una seconda fase sempre più qualitativamente elevata, sfatando in un certo senso, una sorta di tabù, che affligge le saghe prequel da trent’anni a questa parte.