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La recensione di Tre colori – Film Blu: l’inizio della trilogia di Krzysztof Kieslowski

La recensione del film Tre colori - Film Blu, del 1993

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Tre colori – Film Blu
Genere: Drammatico
Anno: 1993
Durata: 99 minuti
Regia: Krzysztof Kieslowski
Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz
Cast: Juliette Binoche, Benoît Régent, Florence Pernel, Charlotte Very, Hélène Vincent, Julie Delpy, Alain Ollivier, Hugues Quester, Emmanuelle Riva, Yann Trégouët, Zbigniew Zamachowski, Isabelle Sadoyan, Catherine Therouenne, Florence Vignon, Philippe Volter, Daniel Martin, Pierre Forget, Claude Duneton, Philippe Manesse, Michel Lisowsky, Andrew Litton, Idit Cebula, Arno Chevrier, Jacques Disses, Alain Decaux, Jacek Ostaszewski, Stanislas Nordey, Yves Penay, Philippe Morier-Genoud
Fotografia: Slawomir Idziak
Montaggio: Jacques Witta
Colonna Sonora: Zbigniew Preisner
Paese di produzione: Francia, Polonia, Svizzera

A 30 anni dalla sua uscita nel 1993, Tre colori – Film Blu è stato restaurato in 4k e distribuito nelle sale italiane per pochi giorni, in quanto extra. Grazie alla Lucky Red, il primo capitolo della trilogia di Krzysztof Kieslowski è passato al cinema dall’11 al 13 settembre 2023. Il film fu presentato in anteprima mondiale alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove vinse il Leone d’oro in ex aequo con America oggi di Robert Altman, e la Coppa Volpi alla Binoche. Il regista polacco ha lavorato sui colori della bandiera francese e sui valori da essa trasmessa – libertà, uguaglianza e fraternità – a partire dalla Rivoluzione. Di seguito la trama e la recensione di Tre colori – Film Blu

La trama di Tre colori – Film Blu, diretto da Krzysztof Kieslowski

Ecco la trama di Tre colori – Film Blu, diretto da Krzysztof Kieslowski:

 

“Il film racconta come in seguito a un incidente stradale, Julie (Juliette Binoche) perde in un sol colpo suo marito Patrice, compositore affermato, e la figlia Anna. Dopo questa terribile tragedia, la donna decide di trasferirsi a Parigi per iniziare una nuova vita, anonima e indipendente, intenzionata a lasciarsi alle spalle tutto ciò che prima aveva in abbondanza. Quando un giornalista musicale inizia a sospettare che sia Julie l’autrice delle musiche del marito, lei nega categoricamente di essere coinvolta nella composizione. Olivier (Benoît Régent), giovane assistente di Patrice, innamorato di lei da diverso tempo, decide di terminare il concerto per l’Europa, poiché l’opera del marito della donna è rimasta incompiuta. Nel frattempo Julie si ritrova costretta a confrontarsi con il suo passato e con gli ostacoli che minano la sua libertà.”

La recensione del film Tre colori - Film Blu, del 1993

La recensione di Tre colori – Film Blu: l’analisi di Krzysztof Kieslowski parte dalla depressione e dalla libertà di espressione

Il primo capitolo della trilogia dei colori della bandiera francese, analizzati da Krzysztof Kieslowski, mostra sin da subito qual è l’intenzione prioritaria del regista polacco. Infatti, si evince dall’incipit il desiderio di Kieslowski nel riuscire ad estrapolare dall’intima dei suoi personaggi, la verità sui principi promulgati centinaia di anni fa e ormai elevatisi a tal punto da essere presi in considerazione dall’intera civiltà europea. La liricità di Tre colori – Film Blu sta tutta nell’ancorare lo sguardo alla soggettività di Julie, la protagonista che all’inizio della storia perde sia il marito che la figlia, e si sente travolta da un’onda di negatività e di negazione della vita stessa. La depressione la porta in un primo momento a cercare di autodistruggersi fisicamente, assecondando ciò che è stata la sua morte interiore. La Binoche sfoggia un’interpretazione di assoluto livello, alternando momenti di distaccata consapevolezza – per ciò che concerne l’ambiente circostante e le sue relazioni – ad attimi in cui riesce ancora a intenerirsi di fronte specifiche condizioni. La delicatezza e la sensibilità sono i due fattori principali per cui Kieslowski riesce con ingegno a trattare l’argomento intimo della depressione, collegandolo alla ben più istituzionale e sociale libertà di espressione. Ci sono squarci con i quali vengono leniti i sentimenti di chi osserva e di chi si ritrova implicato in questa gravosa situazione, interrogandosi sui come e i perché. Allo stesso modo, la caducità si palesa con immagini e simbolismi ricchi per messa in scena e per contenuti: dalla zolletta di zucchero che assorbe il caffè per poi venire affogata nella tazza, fino al topo con i suoi cuccioli, passando per le nocche ferite e il dito che scorre all’infinito sugli spartiti scritti dal marito defunto mentre la musica va da sé, almeno nell’immaginazione. Cinematograficamente parlando, il regista polacco riesce perfettamente a restituire il disagio vissuto da Julie, poiché le dissolvenze al nero, e soltanto una volta al bianco, riescono a comunicare il suo costante desiderio (talvolta represso) di staccare la spina dissociandosi dalla realtà, la quale è ormai senza stimoli per la protagonista. 

 

Tre colori – Film Blu è un esempio di rara bellezza riguardo il cinema e il lavoro che le immagini possono fare per rappresentare l’intimità degli individui, combinandola a concetti generali e politici. Si parla più volte nel film di libertà d’espressione, di come la musica possa essere salvifica, e di fatto Julie in alcune scene chiude gli occhi per poi ricordare nella sua testa le melodie composte dal marito, come se potesse ancora cullarsi con lui attraverso la memoria artistica. La gelosia che sviluppa nei confronti degli spartiti incompiuti, sembra nuocerle, in quanto nega a sé stessa la possibilità di condivisione e di far sì che Patrice possa proseguire a vivere con la sua arte, quindi nell’immaginario collettivo. Julie confonde il significato della libertà, e inizialmente crede che tale concetto sia da associare alla negazione della sensualità, dell’amore fisico o psicologico, e del coinvolgimento in ogni declinazione. Tuttavia, è durante la sequenza finale che finalmente la donna in lutto comprende come sia la libertà d’amore, quella da intendere come assoluta. Non a caso, le immagini deformate inquadrate così da Kieslowski, che parte con un mix prima acceso e poi spento di colori, fino ad arrivare alla figura del medico ‘catturata’ nelle pupille di Julie, riprendono filologicamente forma alla fine di Tre colori – Film Blu; nel suddetto passaggio, la protagonista accetta realmente il tradimento del marito e la conseguente progenie, ed essa stessa si getta per passione in un’altra storia d’amore. Infatti, il regista inquadra la figura dell’amante, nuovamente ‘bloccata’ nelle pupille di Julie, per poi restituire l’immagine di lei che, durante il pianto, interrompe le lacrime e sorride. Si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria rinascita, a seguito di un lutto che ha causato una sofferenza e una malinconia senza pari, e che Julia ha tentato invano di negare pur di sopravvivere. D’altronde, la verità è che un dolore così profondo non può essere chiuso in un cassetto, ma resta con sé e bisogna saperlo accettare con l’aiuto del tempo in scorrimento (e la liquidità ha valore nel film, non casualmente). 

 

La semina all’interno del film è progressiva; basti pensare al momento in cui in un tribunale l’imputato chiede se il mancato ascolto delle sue ragioni siano dovute alle sue origini straniere. Emblematico un dialogo del genere, poiché sottolinea la difficoltà d’esprimersi legato alla mancanza di uguaglianza (la legge è uguale per tutti). L’arte, la musica, il dolore, tutto è universalmente e umanamente collegato senza che ci sia una nazione di mezzo a confinare il territorio interiore ed esteriore di chi è in vita. Julie ha 33 anni non a caso, e tale informazione viene rivelata allo spettatore quando la donna va a trovare la mamma, la quale chiama sua figlia Marie-France, tipico nome francese. 33 anni, simbolicamente la rinascita, la quale viene enfatizzata nel sublime finale di Tre colori – Film Blu. In questa sequenza, infatti, la composizione musicale – accompagnate dalle parole scritte da San Paolo in Prima lettera ai Corinzi – di Patrice, evidenzia la libertà linfatica e assolutamente necessaria, poiché il sonoro si fa gradualmente più forte e le immagini rivelano: l’ecografia, la passione ritrovata, la scomparsa della nota malinconia ‘blu’ in favore di colori più vividi. Il diradamento della narrazione ha un’inizio e una fine, e finalmente le lacrime assumono alla fine un significativo gioioso, contrapponendosi ai liquidi mescolatisi in piscina durante quelle nuotate di sfogo. Julie ha così compreso e accettato la nuova condizione, e lo spettatore può liberarsi dal totale coinvolgimento a cui è stato sottoposto. 

Voto:
5/5
Arianna Casaburi
4.5/5
Gabriele Maccauro
4/5
Alessio Minorenti
5/5
Bruno Santini
4/5
0,0
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Voto del redattore:
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