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Recensione – Tape: Linklater e la sua anima indipendente

Tape di Richard Linklater

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Tape
Genere: Drammatico
Anno: 2001 
Durata: 86′ 
Regia: Richard Linklater 
Sceneggiatura: Stephen Belber 
Cast: Ethan Hawke, Robert Sean Leonard e Uma Thurman 
Fotografia: Maryse Alberti 
Montaggio: Sandra Adair 
Colonna Sonora: -. 
Paese di produzione: Stati Uniti d’America 

Nel 2001, oltre a “Waking Life”, Richard Linklater realizza un secondo film “Tape”, un nuovo adattamento cinematografico liberamente ispirato all’omonima opera teatrale di Stephen Belber. Una scelta non nuova e già utilizzata più di una volta dall’autore, non sempre riuscendo a tratte il meglio da questo tipo di operazione. Un progetto low budget che permette al cineasta statunitense di sperimentare ancora, grazie ad un lungometraggio girato con una semplice videocamera, tre soli attori e realizzato in meno di una settimana. Di seguito la breve sinossi e la recensione dell’ottavo film di Linklater. 

La trama di Tape, l’ottavo film di Linklater 

Lansing, Michigan. In una stanza di uno sperduto e povero motel, Vince (Ethan Hawke), un pompiere volontario di Oakland, e Jon (Robert Sean Leonard), un regista documentarista, si incontrano ricordando gli anni passati assieme al liceo. I due non si vedono da molto tempo ed, inizialmente, appaiono felici di rivedersi, ma tutto non è come sembra. Infatti, poco dopo si comincia a creare un po’ di attrito tra i due quando finiscono per parlare di Amy (Uma Thurman), l’ex compagna di Vince. L’accusa che viene mossa contro Jon è quella di aver violentato la donna, la quale poco dopo si presenta dando vita ad una discussione che porta il trio a confessare e confrontarsi su una serie di terribili segreti o presunti tali. 

Tape di Richard Linklater

La recensione di “Tape” (2001) 

Tape” è un altro lungometraggio realizzato perfettamente in linea con la poetica e lo stile di Richard Linklater. Partendo da un’idea dal fascino sperimentale, selezionando un cast ristretto ed una sola singola location, il risultato è un claustrofobico dramma. L’ambientazione ripropone quell’atmosfera teatrale dell’opera originale, un’altra collaborazione che si sviluppa tra il regista texano con l’autore di uno spettacolo, anche qui quest’ultimo ingaggiato in veste di sceneggiatore del film. L’azione si svolge in un unico luogo, ma finisce per dare vita ad un’ora e mezza circa di dialoghi taglienti e discussioni che avrebbero potuto costringere l’autore ad aumentare la durata della storia. Quello che il regista decide di portare in scena è un film girato in tempo reale con materiale “povero” così da giocare sullo squallore della scenografia e le sfaccettature dei suoi personaggi. Tuti e tre, in un modo o nell’altro, rappresentano in modi diversi lo stereotipo di una generazione abbandonata e che si è lasciata andare a sé stessa. Se il personaggio di Vince, interpretato da Hawke ed attore feticcio di Linklater, è l’emblema di questo stereotipo, anche i co-protagonisti in maniera diversa conservano delle caratteristiche simili. Tra segreti e confessioni il film si sviluppa attraverso una rete d’inganni e prese in giro, dove la verità appare e scompare in un attimo portando il pubblico quasi a schierarsi da una parte o dall’altra. Chi ha ragione? Chi ha commesso l’atto o la scelta peggiore? Chi sta mentendo e/o sta dicendo la verità? Queste sono una serie di domande che il cineasta propone allo spettatore, portando quest’ultimo sul finale a prendere una decisione o sviluppare il proprio e personale pensiero. 

 

Il fulcro dell’intera pellicola sono, ovviamente, i personaggi: Vince è un folle, un volontario che però fa anche lo spacciatore ed è quasi costantemente ubriaco. Il suo unico obiettivo è raccogliere una confessione da parte di Jon, Robert Sean Leonard è un regista che sta partecipando ad un festival cinematografico che decide di accettare l’invito per un incontro con un vecchio compagno di scuola, inconsapevole di cosa lo aspetta dietro la porta della stanza del motel. Il suo segreto è un peso che alla fine si dimostra più grande di lui, ma tutto viene messo in discussione quando entra in gioco il personaggio di Amy, interpretata da una sorprendete Uma Thurman. Ognuno lotta con tutte le sue forze per risultare vincitore di questa sorta di scontro, una sfida che porta gli attori ad essere il vero motore dell’intera narrazione, sottolineando la teatralità dell’opera da cui è tratto il film. Se poi a tutto questo si aggiunge un lato tecnico strutturato sulle indubbie capacità di un regista incredibile come Linklater il gioco è fatto. Una filmografia che si erge sulla filosofia di un cinema prevalentemente indipendente e libero di esprimere tutto ciò che gli pare, tanto da risultare brillante con un semplicissimo dramma dall’impianto teatrale. Inoltre, l’aspetto che traspare di più, in maniera piuttosto preponderante durante tutto lo sviluppo della storia, è il realismo intrinseco di ogni singola azione e decisione che intraprendono o affrontano i personaggi, protagonisti di un turbinio di momenti ed emozioni non indifferenti. Un’operazione stimolante sotto diversi punti di vista, sia per l’autore che si mette nuovamente in gioco mostrando tutto il suo amore per il cinema sia per chi si ritrova ad osservare il prodotto finale sullo schermo, piccolo o grande che sia. Linklater costruisce una sorta di misero giochino che mostra il lato più meschino ed egoista dell’uomo, quell’animo vendicativo che spesso porta le persone ad andare fin troppo oltre il limite, mentre il personaggio femminile finisce per manipolare i due uomini portando alla luce il loro rancore e la loro ipocrisia. Un racconto apparentemente terribile e sgradevole che cela più di qualche oscuro segreto, perfettamente strutturato grazie ad un montaggio curato e preciso ad opera di Sandra Adair, alla sua quinta e non ultima collaborazione con Linklater. 

Tape di Richard Linklater

Linklater e la sua anima indipendente 

Ancora una volta Richard Linklater libera quella sua anima indipendente e mette in scena un gradevolissimo esperimento sconosciuto ai più, ma che ha stupito l’ambiente della critica. Un opera incisiva e che non fa sconti a nessuno dei suoi protagonisti, giocando sul lato più oscuro di ognuno di loro, senza vergognarsi di mostrarlo al proprio pubblico. L’autore dimostra le sue incredibili capacità di narratore che, spesso, pare trovarsi più a suo agio nelle produzioni a basso costo, quei progetti particolarmente ambiziosi che ne esaltano alla fine le qualità e caratteristiche. Il futuro del regista comprenderà anche grandi major, ma lo spirito più puro del cineasta americano si cela, anche se in maniera non del tutto velata, in lungometraggi di questo genere. Un progetto probabilmente visionato e recuperato dagli spettatori più appassionati, non solo del mondo del cinema, ma più che altro della storia e dei film di Linklater. Un titolo, “Tape”, che andrebbe riscoperto e che, nonostante dei difetti intrinsechi all’estetica e qualche problema di natura più tecnica, rappresenta un’altra piccola perla del lavoro di uno degli autori più sottovalutati, ma allo stesso tempo tra i migliori del cinema americano. 

Voto:
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