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Recensione – The Social Network, il film biografico su Mark Zuckerberg

Foto di The Social Network

Esce nelle sale italiane il 12 novembre 2010 The Social Network, il primo film biografico diretto da David Fincher e scritto da Aaron Sorkin che gira intorno alla figura di Mark Zuckenberg, il creatore di Facebook. La pellicola si rivelò essere un successo al box office incassando oltre 200 milioni di dollari a fronte di soli 40 milioni di budget e ricevette otto candidature agli Academy Awards del 2011 vincendo la statuetta per miglior sceneggiatura non originale, miglior colonna sonora e miglior montaggio.

 

Di seguito la trama e la recensione di The Social Network:

La trama di The Social Network

La trama segue le vicende di un giovane Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) che nel 2003 mentre è ancora uno studente di Harvard, prendendo spunto dall’idea di suoi due colleghi gemelli (entrambi interpretati da Armie Hammer), crea in fase embrionale una prima versione di quello che poi verrà conosciuto da tutti come Facebook. La vicenda è narrata seguendo una doppia linea temporale: da una parte vi sono le due cause sostenute da un ormai ricchissimo Zuckenberg contro il suo ex-socio (Andrew Garfield) e l’altra contro invece i due studenti ai quali avrebbe rubato l’idea, dall’altra parte vi è invece la narrazione lineare di come si è arrivati sia alla creazione del social network che di conseguenza alle due cause giudiziarie sopracitate.

Immagine su The social network con Jesse Eisenberg e Rooney Mara

Recensione The Social Network

The Social Network arriva in un momento particolare della carriera di David Fincher. Dopo l’esperimento riuscito solo a metà di Lo strano caso di Benjamin Button sembra che il regista nordamericano avesse bisogno di ricalibrarsi e di conseguenza affrontare un genere dai contorni più delineati come quello del biography. Non è dubbio però che The Social Network compia una operazione che nella storia del cinema è riuscita solo raramente: ovvero il riuscire a narrare le origini di un personaggio di cui non si può sapere la fine e di farlo nell’esatto frangente in cui quest’ultimo sta per assurgere alla fama mondiale e la sua rivoluzione sconvolgere il mondo. Sarebbe stato come dirigere un film su Einstein appena prima dell’inizio degli anni 20 dello scorso secolo, un’intuizione mirabile. Tant’è che, come è di sovente capitato alle pellicole di Fincher, The Social network ha finito per diventare un piccolo cult e un film che fornisce i paradigmi essenziali su come approcciarsi all’analisi dei personaggi che nel nuovo millennio attraverso le loro intuizioni hanno rivoluzionato la vita dell’intero pianeta. Non è un caso che allo stesso Aaron Sorkin verrà affidata pochi anni più tardi la sceneggiatura di Steve Jobs, film diretto da Danny Boyle, che con questo The Social Network condivide più di qualche elemento.

 

Sul lato più puramente artistico invece è necessario partire con una doverosa notazione: non sempre la somma di eccezionali talenti che collaborano a un progetto è sufficiente a garantirne la riuscita o, in altri termini, la proprietà additiva non sempre si applica a contesti artistici. Il tutto poi è ulteriormente accentuato quando ci si trova di fronte a uno sceneggiatore il cui modo di scrivere è diventato persino proverbiale. Scrivere come Aaron Sorkin infatti sottintende ormai tutta una serie di significati e tratti stilistici ben precisi che sono maturati nel corso dei decenni ormai attraverso tutte le produzioni televisive e cinematografiche cui questo autore ha preso parte. In questa pellicola tuttavia pare che questi due grandi artisti siano riusciti a integrarsi soltanto parzialmente, infatti la maniacalità visiva di Fincher (ossessionato all’inverosimile da ogni aderenza cromatica, taglio di luce, scelta del fuoco da adottare in un’inquadratura) e la rigorosa scrittura di Sorkin sembrano a tratti cozzare tra di loro.

 

Si ha l’impressione che nella pellicola convivano due anime, da una parte quella di un regista che tenta attraverso espedienti visivi di svelare il carattere dei personaggi a schermo e dell’altro una scrittura che inonda di informazioni di carattere narrativo, psicologico e emotivo lo spettatore, alla fine però a prevalere è quest’ultimo aspetto che, di per sé, non sarebbe necessariamente un difetto. La storia del cinema è piena di autori che hanno scandagliato gli abissi dell’animo umano affidandosi a sceneggiature molto corpose e a un ininterrotto flusso di dialoghi (in tal senso basti pensare a Ingmar Bergman che finì per girare Il silenzio come risposta a coloro che lo ritenevano un bravo sceneggiatore ma un non altrettanto abile regista).

 

Sorkin tuttavia non è in grado di fermarsi appena prima della soglia che serve a mantenere quel giusto equilibrio tra eccessivo ermetismo e disvelamento completo. Nulla è lasciato all’immaginazione e i motivi per cui Mark Zuckerberg compie i suoi gesti vendicativi nei confronti dei suoi amici e partner sono chiari e limpidi, per nulla sfumati e questo è un grosso problema per un film che intende essere considerato come autoriale. La puerile frustrazione sociale covata dall’inventore di Facebook muove tutte le sue azioni e la sua esclusione da una confraternita è sufficiente a distruggere il suo unico vero rapporto amicale. Il film inoltre chiarisce a più riprese come il movente dietro le azioni di Zuckerberg non sia mai quello economico, restringendo ulteriormente il campo della speculazione e riducendo la possibilità complessità di una delle personalità più influenti di questo secolo a due o tre tratti psicologici. Non aiuta inoltre il fatto che a più riprese si abbia l’impressione che Sorkin inserisca dei dialoghi più per dimostrare la sua bravura nello scriverli che per effettivamente dare un contributo organico alla storia che viene narrata. I due filoni in cui viene narrata la vicenda appaiono non troppo giustificati, il caso su cui si dibatte non rappresenta infatti (ad eccezione di forse un paio di frangenti) dei reali punti in cui le visioni dei personaggi differiscono, le aule in cui avvengono i patteggiamenti sono soltanto dei palcoscenici in cui Jesse Eisenberg avvalora la sua ottima prova attoriale.

 

Il più grave difetto della pellicola è quindi quello di rinunciare quasi completamente alla complessità e di appoggiarsi su una sceneggiatura sicuramente accattivante per il grande pubblico (il film fu un successo al botteghino) ma non troppo stimolante a una più attenta analisi. Lo stesso Fincher, che comunque confeziona un’opera con tutti i crismi, manca di veri guizzi visivi e sembra non essere alla ricerca di soluzioni particolarmente stimolanti. Beninteso la pellicola è comunque riuscita e per una fruizione volta all’intrattenersi è decisamente sopra la media, a mancare sono le finezze che elevano un buon film a un grande film. Ultima nota semi-dolente è la scrittura dei personaggi secondari, da una parte abbiamo infatti le figure maschili ben caratterizzate e coinvolte nella storia dall’altra invece quelle femminili hanno grossomodo la funzione di porre domande ai loro compagni e, nonostante siano al centro dei pensieri dei protagonisti quasi per tutta la durata del film (con Zuckerberg che riassume la sua visione del rapporto di coppia con la mirabile battuta “Però è bello avere una ragazza”), non riescono ad apparire che mere figuranti nella pellicola.

Voto
3.5/5
Giovanni Urgnani
5/5
Paola Perri
5/5
Christian D'Avanzo
4.5/5
Gabriele Maccauro
4/5
Matteo Pelli
4/5
Andrea Boggione
4/5
Vittorio Pigini
4/5
Bruno Santini
4/5