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Le mie ragazze di carta – La Recensione del film presentato al Bif&st

Di seguito la recensione del film Le mie ragazze di carta di Luca Lucini

Le mie ragazze di carta, scritto da Luca Lucini, Mauro Spinelli, Ilaria Storti e Marta Storti e diretto da Luca Lucini, è stato presentato in anteprima internazionale al Bif&st lo scorso marzo, e ha ricevuto una distribuzione nazionale con Adler Entertainment il 13 luglio. Si procede riportando la trama del film.

Le mie ragazze di carta – la trama del film

È il 1978 e la famiglia Bonaccin, si sradica dalla campagna veneta, muovendo verso Treviso. Primo (Andrea Pennacchi) lavora come postino, la moglie Anna (Maya Sansa) è casalinga e il loro unico figlio Tiberio (Alvise Marascalchi) si è iscritto a ragioneria. Dalla finestra del loro appartamento si vede l’insegna rossa del Cinema Odeon, che riapre al pubblico con una programmazione interamente a luci rosse, destando scandalo nella comunità.

Tiberio, timido, introverso, obbligato dal padre a giocare a rugby nella squadra della parrocchia, allenata da Don Marcello (Neri Marcorè), lega quasi subito con Giacomo (Christian Mancin), figlio dell’esercente dell’Odeon, che gli farà scoprire il mondo del Cinema Porno. Tiberio si innamorerà della pornostar del momento Milly d’Italia, cercando di fare di tutto pur di incontrarla, ignorando le attenzioni di una sua coetanea che vorrebbe stare con lui.

Le mie ragazze di carta – un debole coming of age nella provincia veneta di fine anni settanta

Ogni tanto, mentre si attende l’inizio di un film in sala e si guardano distrattamente i vari trailer, ormai già consumati sugli smartphone, capita che un titolo italiano attiri l’attenzione dello spettatore. Si tratta di uno di quei film ibridi, tra la tradizione più consumata e il superamento o la negazione della stessa; allora capita di pensare “curioso, ma non abbastanza da pagare un biglietto – o forse sì…”. Ad ogni modo, chi scrive, un po’ per dovere, un po’ per capriccio, ha scelto di assecondare questa curiosità. La delusione però è dietro l’angolo, perché Le mie ragazze di carta, vorrebbe essere un Amarcord con una voce tutta sua, a partire dall’ambientazione nella provincia veneta, la scoperta del Porno, l’amore a senso unico per una star dell’hard, che unicamente nella sfera adolescenziale può trovare un significato, una sua ragion d’essere. Ma tutto ciò è privo di mordente, di forza, di un vissuto che fornirebbe una credibilità alle vicende narrate. Siamo di fronte a un film sui tormenti adolescenziali quasi privo di conflitto, dove gli spazi del protagonista Tiberio, la squadra di rugby, la famiglia, le amicizie, sono estremamente superficiali e raccontati attraverso brevi e dimenticabili episodi, slegati tra loro.




Ciò che arriva forte e chiaro allo spettatore, è unicamente il racconto di un moralismo democristiano onnipresente; giudizi costanti, prediche e sguardi sdegnati rivolti a Bastiano (Giuseppe Zeno), esercente del Cinema Odeon – che però fa ottimi incassi, sebbene nessuno dichiari di frequentarlo. Il Cinema è qui presentato come il luogo della stimolazione e del risveglio dei sensi: è una sala di provincia che scatena le voglie di Tiberio, l’attrazione incontenibile per Milly d’Italia (probabile omaggio a Milly d’Abbraccio), che oscura tutto il resto. Non fosse che le pellicole pornografiche sono ricreate con un filtro amatoriale simile a quelli che possiamo trovare su Instagram, e siano estremamente caste nei contenuti. Perché scegliere di affrontare un tema così delicato come la scoperta della sessualità nell’adolescenza per poi rappresentarla con un tale eccesso di pudore? Parrebbe che il suddetto film voglia essere “diverso”, ma non abbia alcuna voglia di prendersi i rischi per farlo, annacquando il concept di partenza, inserendo dinamiche da fiction Rai.

Lo stile di Lucini, va detto, è impersonale, piatto, televisivo: manca una vera direzione degli attori, dei ragazzi protagonisti. Eppure, questi ultimi sono scelti in maniera consapevole, per i loro visi, la corporatura gracile, le movenze sgraziate. Le loro interpretazioni non sono adeguatamente sostenute da una direzione concreta, necessaria alla creazione di personaggi sfaccettati. 

Andrea Pennacchi e Maya Sansa, senza infamia e senza lode, traghettano i loro rispettivi ruoli da inizio a fine film, ma Cristiano Caccamo, al quale è affidata la parte di una ragazza transgender, lascia molto a desiderare. A questo proposito, il film non manca di strizzare l’occhio al presente, menzionando il tema del cambiamento di sesso e l’omotransfobia, attraverso il personaggio di Caccamo e al suo rapporto con Primo. Nel consegnarle una raccomandata, il postino si trova a soccorrerla a seguito di un episodio di percosse e da quel momento comincerà un’amicizia che durerà per l’intero arco narrativo del film; in diversi frangenti si ritroveranno per giocare a scacchi e Primo, si offrirà infine di pagarle le spese per la transizione: qualcosa non torna, un padre di famiglia che trova i soldi per sovvenzionare la ragazza, che però parrebbe passarsela molto meglio di lui, vivendo sola in un appartamento lussuoso. 

Si può soprassedere, anche se è indicativo della relativa cura impiegata in fase di scrittura. Anche considerando tutti i possibili ruoli della crew, non se ne troverebbe uno insubordinato alla pigrizia impiegata nell’esecuzione; ad esempio, la colonna sonora originale, affidata a Nicola Piovani, è l’emblema della svogliatezza. Il compositore premio Oscar plagia sé stesso e propone un sottofondo stancante, già sentito più volte e, cosa più grave, inadeguato.

Peccato, date le premesse sarebbe stato bello sorprendersi. Almeno una volta tanto.

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