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Recensione – Thumbsucker, l’esordio di Mike Mills

Recensione di Thumbsucker di Mike Mills, Orso d'argento a Berlino

Thumbsucker – Il succhiapollice (2005) è l’esordio del regista statunitense Mike Mills, già autore di diversi videoclip e corti, nel lungometraggio. La pellicola viene presentata alla Berlinale del 2005 in concorso, dove si aggiudica l’Orso d’argento per il migliore attore (Lou Taylor Pucci). Di seguito, viene indicata la trama e la recensione di Thumbsucker. 

La trama di Thumbsucker, l’esordio di Mike Mills

Justin Cobb (Lou Taylor Pucci) è un diciasettenne che non ha superato il vizio di succhiarsi il pollice, gesto che compie ripetutamente in situazioni di stress. Vive con il padre e la madre (Mike e Audrey, rispettivamente Vincent D’Onofrio e Tilda Swinton) e il fratello minore; entrambi i genitori provano un senso di insoddisfazione che tentano di compensare con piccole consolazioni. Justin frequenta un gruppo di dibattito interno alla scuola, guidato da Geary (Vince Vaughn) e si distrae facilmente osservando la ragazza che gli piace, Rebecca (Kelli Garner). Justin si sottopone a visite di controllo per via del suo vizio, che gli ha causato problemi alla dentatura in passato. 

 

 

Il medico odontoiatra Perry (Keanu Reeves) un giorno si convince di poter guarire il suo paziente ipnotizzandolo, ma i problemi di Justin non sono finiti: gli viene diagnosticata la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e prescrittegli delle pasticche stimolanti. La condotta del ragazzo cambierà radicalmente; Justin riuscirà a vincere delle competizioni di dibattito senza però sentirsi appagato e cercherà in Rebecca, nel confronto con i genitori e nel trasferimento a New York per frequentare il college nuovi stimoli e la soluzione ai suoi problemi.

Recensione di Thumbsucker: la crescita di un giovane senza modelli di riferimento

Dopo aver considerato la trama di Thumbsucker, si prosegue con la sua recensione.                              Questo adattamento dell’omonimo romanzo di Walter Kirn, datato 1999, è un film di formazione che potrebbe essere avvicinato ad altri titoli (decisamente più riusciti) tra la fine degli anni Novanta e i primi anni duemila: Good Will Hunting (Gus Van Sant, 1997), Rushmore (Wes Anderson, 1998), The squid and the whale (Noah Baumbach, 2005). Si nota subito: Thumbsucker è un film acerbo, ma che ha in sé alcune caratteristiche che verranno sviluppate e ampliate nei seguenti lungometraggi del regista, come il ricorso sistematico a foto di repertorio, narrazioni estemporanee, sequenze in slow-motion e velocizzazioni.

 

Una componente difettosa è senza dubbio la sensazione di disorientamento costante che  riceve lo spettatore; si può ipotizzare infatti, che il film abbia subito diversi tagli significativi in sala di montaggio: molto spesso i personaggi cambiano troppo rapidamente, dando l’idea che gli avvenimenti siano così improvvisi da non essere causati dalla stessa persona rappresentata nella scena precedente; se vi si arrivasse per gradi avremmo una narrazione più fluida e naturale e non penseremmo di esserci persi qualcosa. Al netto di un cast azzeccato – Swinton e Taylor Pucci hanno una somiglianza somatica notevole e la malinconia di D’Onofrio la ritroviamo negli occhi dell’interprete del figlio ­– i rapporti tra famigliari sono appena accennati, come l’inutile presenza in un paio di sequenze del fratello di Justin. Swinton, D’Onofrio, Vaughn e Reeves compaiono sullo schermo per pochissimo e non hanno modo di plasmare un personaggio, solamente di metterlo in scena con il corpo.

 

Inoltre, vi è un ricorso frettoloso e troppo inflazionato alle musiche, come se ogni istante che porta una componente di dramma, Mills pensasse di doverlo raccontare due volte, di sottolinearlo, con le canzoni di Elliott Smith o con i temi originali di Tim DeLaughter. Questi alcuni difetti rintracciati in una sceneggiatura che ha un suo potenziale di cose da dire, a partire dalla critica al mondo degli adulti e della scuola, sempre pronti a mettere pressione ai ragazzi, a non farli sentire all’altezza delle scelte di vita che vorrebbero intraprendere. Gli adulti con cui si interfaccia Justin – vittime di un infantilismo generalizzato – non riescono a essere per lui un modello, a cominciare dai genitori del protagonista che si illudono facendosi chiamare per nome dai figli di essere ancora giovani, pur di non confrontarsi con una vita insoddisfacente che probabilmente non concederà loro nuove chance.

 

Mike, ad esempio, vive guardandosi indietro, a ciò che avrebbe potuto essere se fosse stato un giocatore professionista. Cerca di vincere le corse amatoriali fronteggiandosi con Perry, uscendone sconfitto. Audrey, dal suo canto, vorrebbe vincere la possibilità di un appuntamento con il suo attore preferito, Matt Schramm. Justin penserà così che eccellendo in qualcosa si sentirà realizzato, realizzazione che puntualmente non arriverà e dovrà cercare in una nuova vita a New York.

Altro tema affrontato in Thumbsucker è l’abuso di farmaci somministrati agli adolescenti (le prime parole di Justin nel film fanno riferimento alla cura della depressione nei babbuini tramite Prozac) allo scopo di performare, ignorando le esigenze dei giovani individui ad assecondare un ritmo più naturaleJustin è infatti vittima di un sistema che vuole forzare i ragazzi alla competizione e all’acquisizione di determinati requisiti per partecipare alla società. Il peso dell’aspettativa e le relative problematiche, come anche la diffusione dei farmaci stimolanti, sono i concetti che emergono con maggior chiarezza e che contribuiscono a rendere l’esordio di Mills un film invecchiato bene, proprio per la pregnanza che ricoprono i suddetti temi oggigiorno. Ciò che non convince però, è la facilità con cui Justin smette di seguire la terapia – buttando tutte le pasticche da un momento all’altro – senza apparenti cambiamenti o effetti collaterali. Il Ritalin non è certo acqua fresca e, se viene paragonato a sostanze che richiedono il ricovero per essere smaltite ed eliminate, Mills non può tralasciarlo nel momento in cui il suo protagonista decide di disintossicarsi.   

 

Ciò che non si perdona a Thumbsucker sono questi cambiamenti istantanei nella vita della famiglia Cobb, senza conseguenze di peso; lo spettatore rimane confuso se all’improvviso ciò che gli è stato presentato come problematico non ricopre più alcuna gravità. Tuttavia, l’esordio di Mills resta una presentazione autoriale interessante – sebbene soltanto abbozzata – un racconto delle difficoltà di più di una generazione di ragazzi sulla soglia dell’età adulta e il sentimento di inadeguatezza condiviso nel microcosmo famigliare.

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