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Recensione – La spia che venne dal freddo, con Richard Burton

La recensione de La spia che venne dal freddo

Distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 16 dicembre 1965 mentre in quelle italiane il 21 aprile 1966. Tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carrè, diretto e prodotto da Martin Ritt, scritto da Paul Dehn e Guy Trosper mentre la colonna sonora è composta da Sol Kaplan. Il cast è composto da: Richard Burton, Claire Bloom, Oskar Werner, Peter van Eyck, Cyril Cusack e Bernard Lee. Candidato a due premi Oscar nelle categorie: miglior attore protagonista e miglior scenografia e lo stesso Burton vinse il premio David di Donatello come miglior attore straniero.

La trama de La spia che venne dal freddo, diretto da Martin Ritt

Di seguito la trama ufficiale de La spia che venne dal freddo, diretto da Martin Ritt:

 

Alec Leamas, agente segreto britannico in missione a Berlino Ovest, ritorna a Londra in seguito alla morte di un suo informatore avvenuta per opera dell’ex nazista Mundt, capo del controspionaggio della Repubblica Democratica Tedesca. Preso contatto con Control, suo capo, riceve l’ordine di fingersi un uomo finito; quindi, Leamas si dà all’alcool e trova impiego presso una biblioteca dove conosce Nancy, una ragazza comunista di cui presto si innamorerà. Messo in prigione a causa di una lite, Alec viene avvicinato da un emissario di Mundt non appena esce dal carcere. Attuando il piano prestabilito, Leamas si lascia condurre in Olanda dai suoi nuovi misteriosi amici ed entra in contatto con Friedler, il braccio destro di Mundt e suo rivale, al quale trasmette tutta una serie di informazioni. Ma la missione è molto più articolata di ciò che sembra.

 

 

 

 

La recensione de La spia che venne dal freddo, con Richard Burton e Claire Bloom

Anche la cinematografia ha insegnato quanto il mestiere della spia si distingue da qualsiasi altro: una vita passata ad indossare maschere, rischi e pericoli dietro l’angolo con lo spettro di essere abbandonati a sé stessi, l’impossibilità di una vita sociale stabile poiché non si ha la possibilità di fermarsi o di condividere ad alcuno le fatiche che caratterizzano questo mondo. Dopo anni di servizio il logoramento e la corrosione prendono il sopravvento, la stanchezza di continuare a essere manovrato dall’alto si fa sentire, abbandonandosi al cinismo e alla perdita di qualsiasi identità politica-sociale, a qualsiasi credo ma soprattutto perdendo la certezza di essere veramente dalla parte giusta della Storia.

 

 

La parte che il protagonista deve recitare per attirare l’attenzione dei suoi antagonisti è così riuscita da portare al pensiero che in realtà non stia fingendo affatto, la condizione psicologica mostrata coincide perfettamente con lo stato d’animo di Alec, il confine tra realtà e inganno si sbiadisce completamente. Il peso di una carriera costernata da metodi non convenzionali e da operazioni discutibili schiaccia la coscienza e guardandosi indietro si fa solamente i conti con le vite umane che sono costate in nome degli interessi nazionali. Una caratterizzazione resa credibile da una performance straordinaria di Richard Burton, perfetto nel ruolo, capace di trasmettere tutta l’angoscia e la rassegnazione del personaggio in questione, mediante le sue espressioni e i suoi sguardi comunica una rassegnazione quasi definitiva, che solo l’amore e la morte insieme sono in grado di superarla.

 

 

 

 

Le tematiche de La spia che venne del freddo, candidato a due premi Oscar

Altrettanto riuscito è il personaggio di Nancy, rispecchia la gioventù che crede ancora nell’ideologia, forte nella convinzione che il mondo possa essere cambiato, l’appartenenza politica è sinonimo d’identità. Il suo coinvolgimento nell’intreccio causerà un brusco e violento risveglio, i fatti dimostrano quanto si stata ignara fino a quel momento di come funziona veramente la politica e quanto gli interessi nazionali portino ad una misera considerazione dell’individuo e all’annullamento di qualsiasi etica o morale portando attraverso i mezzi a giustificare il fine. Tutti sono uguali, le bandiere sono solo delle facciate, il bene e il male non si distinguono ed una volta squarciato il velo che copre gli occhi cade anche l’ultima possibilità di speranza per un mondo migliore. La sua morte coincide con quella dell’idealismo.

 

 

Considerato molto fedele alla fonte letteraria di riferimento, si può constatare quanto sia romanzesco nel suo stile: vi sono molti passaggi affidati al didascalismo e il ritmo generale, molto lento per una pellicola di questo tipo, ricorda molto quello di un libro. La regia e il montaggio però sono assoluti artefici di grande suggestione visiva e sensoriale, in grado di far percepire il dramma nei momenti topici ma soprattutto valorizzare i propri interpreti con le giuste inquadrature, mettendo in luce la crisi esistenziale di individui ridotti a pedine in un gioco più grande di loro.