Articolo pubblicato il 27 Febbraio 2023 da Bruno Santini
Distribuito sulla piattaforma di streaming Netflix a partire dal 22 febbraio 2023, The Strays è un nuovo film di Nathaniel Martello-White, che dirige un prodotto aderente alle etichette di thriller psicologico e horror, strizzando particolarmente l’occhio a Jordan Peele e ai suoi Scappa – Get Out e, soprattutto, Us. Il film in questione è stato oggetto di numerose polemiche, soprattutto a proposito della struttura – per certi versi una parafrasi del lavoro del precedente regista – e di una prospettiva non sempre gradita, per quanto non tutto sia necessariamente da scartare. Di seguito, viene indicata la trama e la recensione di The Strays.
La trama di The Strays, nuovo thriller psicologico su Netflix
The Strays inizia inquadrando la difficile condizione in cui vive Neve, la protagonista del film che si lamenta con i suoi genitori a proposito della situazione che vive in un ambiente che non la accetta, e che più in là nel film si scoprirà essere legato ad una serie di problemi che vive dal punto di vista personale. A distanza di qualche anno, la donna appare completamente diversa: un nuovo taglio di capelli, molta più sicurezza e, allo stesso tempo, una carriera che sembra essere in dirittura di arrivo, grazie al grande successo della donna, intenta a realizzare un gala di beneficenza all’interno della sua incredibile e lussuosa abitazione.
Vicepreside di un istituto privato dove studiano i figli, la donna vede la sua vita apparentemente perfetta essere minata dalla presenza di cui sconosciuti: il primo si fa assumere come addetto alle pulizie all’interno dell’istituto, mentre la seconda le appare all’improvviso per strada, spaventandola in più di un’occasione. Ma chi sono i due e in che modo potrebbero rovinare la vita di Neve? Attraverso il film sarà possibile scoprirlo.

La recensione di The Strays, il nuovo film di Nathaniel Martello-White
Attraverso la sua struttura ad atti (Neve, Carl e Dione, Cheryl, Family Reunion), The Strays cerca di raccontare l’intera storia della famiglia per mezzo di prospettive differenti, che cercano di essere legate per mezzo di uno sfasamento temporale in grado di offrire maggiori dettagli a proposito di ogni scena che si osserva. Dopo aver assistito alla prospettiva di Neve, che vive il suo spavento per la presenza dei due sconosciuti, il testimone passa a questi ultimi, che si rivelano essere i figli abbandonati dalla donna in passato, intenti a riconquistare – anche con la violenza – tutto ciò che sono stati costretti a non vivere. Cheryl, l’atto più breve della narrazione, svela la vera identità e il passato di Neve, mentre Family Reunion è l’atto finale che vede tutti essere presenti contemporaneamente all’interno di un’unica stanza.
Così strutturato, il film sembrerebbe tendere verso un equilibrio che sarebbe in grado di restituire, ad ognuno dei personaggi, la giusta presenza all’interno del film, che però sembra tendere faziosamente verso il racconto di Neve, resa la reale protagonista del film: per quanto il prodotto si premuri di avvertire lo spettatore, fin dalla prima scena, a proposito delle intenzioni della donna e delle sue decisioni, non si comprende davvero perché debba essere quest’ultima la protagonista del prodotto, presentata come una vittima delle violenze di due figli abbandonati, così come appare piuttosto grossolana (moralmente parlando e non per resa estetica) la scelta di conferire un aspetto caricaturale ai figli abbandonati di Neve, che trovano nella morte e nell’omicidio l’unica strada per il compimento della loro “vendetta”. Ognuna delle decisioni che vengono prese all’interno del film è ben lontana dal poter essere giustificata, ma questo meccanismo – che si può ricavare attraverso una de-costruzione del prodotto – non viene allo stesso modo suggerito dal film di Nathaniel Martello-White, intento a proseguire verso una più banalizzante dicotomia protagonista-antagonista.
Se la prospettiva del film appare, nella migliore delle ipotesi, caotica, non si può dir meglio della gestione degli atti del prodotto stesso, con il terzo (Cheryl) che appare piuttosto sovrabbondante e inutile rispetto alla gestione del film e con una narrazione che, in numerosi dei suoi punti, sembra voler quasi suggerire un senso di vuoto che, nelle intenzioni, apparirebbe anche oggetto di una certa sofisticazione ma che, nei fatti, restituisce soltanto un senso di grossolanità. A posteriori, sembra che il film sia stato costruito a partire dal suo finale, il reale elemento notevole del film per gestione narrativa e tecnica, a cui giungere per mezzo di una coincidenza e compresenza di fattori che vengono, forzatamente, introdotti nell’ordine generale della sceneggiatura, pur di giustificare il finale del prodotto. In effetti, se si guardasse The Strays a partire dal suo finale, il risultato sarebbe esattamente lo stesso di un prodotto italiano come Freaks Out che, partendo da intenzioni e un prologo spettacolari, finisce per perdersi in un mare magnum di elucubrazioni che attecchiscono poco al senso del raccontare: invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia e, in questo caso, si giunge al finale quasi stanchi e prostrati da una narrazione che ha esaurito ciò che aveva da dire nei suoi primi 40 minuti e che, in un certo senso, si è semplicemente ripetuta nei successivi 40.
Un vero peccato, se si considera proprio l’atto finale del prodotto, condotto con una pregevole regia e per mezzo di un elemento tecnico/sonoro (lo scorrere incessante dell’acqua del rubinetto, che confonde fino a disturbare lo spettatore) che arricchisce un racconto che finalmente tende all’horror: The Strays, pur nella sua sovrabbondanza di difetti di vuoti ingiustificabili, non appare un prodotto da scartare, quanto più un film incredibilmente grezzo che risente della mano di un regista, Nathaniel Martello-White, che presenta i giusti riferimenti, li contestualizza in alcune scelte ma non riesce ad adottare ancora una personalità e un linguaggio unitari, propri di uno studio approfondito.
Ce ne si rende conto proprio a partire dagli ultimi 20 minuti del film, il cui crescendo emotivo e la cui claustrofobia sembrano quasi ricordare (pur con le dovutissime distanze) la scena iniziale di Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino; il film vive di un insieme di rappresentazioni meschine, violente e grottesche, che giocano molto con lo spettatore soprattutto attraverso i rimandi sensoriali (il prurito di Neve è assolutamente percepibile, così come il suono incessante dell’acqua) sicuramente propri di una buonissima intuizione. Il plot twist del film, che pur compie una scelta per chi scrive sbagliata dal punto di vista etico, appare ben riuscito e la morte di Ian, che muore per l’eccessivo peso – metaforico e letterale – della verità da sopportare (e da cui non può scappare attraverso un divorzio), è francamente esatta, giungendo nel momento di massima distensione per lo spettatore che, finalmente, può smettere di ascoltare lo scrosciare dell’acqua. Purtroppo, però, 20 minuti non bastano a salvare un film, così come un’intenzione non è in grado di giustificare la sua resa.

Voler fare Jordan Peele, senza (poter) esserlo
Il richiamo più evidente, all’interno del film, è quello che porta Nathaniel Martello-White ad essere indissolubilmente legato alla tradizione di horror psicologico portata in auge da Jordan Peele. Attingere ad una certa tradizione cinematografica, che sia essa recente o meno, diventa un concreto problema quando ciò non diventa funzionale alla gestione di propri elementi personalistici; un film come The Strays mostra soltanto raramente sprazzi del linguaggio del regista, che sembra essere quasi più impegnato a compiere una parafrasi coerente dei lavori di Jordan Peele, ora riprendendo alcune tematiche (il razzismo e l’integrazione del mondo nero in quello bianco, attraverso una trasformazione del tessuto sociale, come avviene in Scappa – Get Out), ora rifugiandosi in un feroce attacco all’umanità che riprende, sbiadendo, la trattazione di Us.
Addirittura, il riferimento diventa ben più che una semplice evocazione quando alcune scene sono l’oggetto di una vera e propria copia, come nel caso dell’incidente in auto che in Scappa viene causato da un animale, qui da una persona, attraverso le medesime dinamiche. Citare non è certo un crimine e le scelte di ispirazione sono parte del progresso stilistico, per quanto sia evidente che The Strays mostra tutti i segni della sua immaturità: eppure, una speranza futura – guardando al regista e alla scelta di produzione da parte di Netflix -, in grado di premiare prodotti che facciano della componente psicologica il proprio marchio di fabbrica, rimane. Ciò permette di ribadire, qualora ce ne fosse un effettivo bisogno, quanto devastante sia stato l’effetto di Get Out nell’industria cinematografica, nonostante – in più occasioni, come nel caso delle polemiche relative alla lista dei migliori film di sempre da parte di Sight & Sound – si cerchi di affermare il contrario.