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Il Carretto Fantasma: Il Misticismo Immanente

Dal gigantismo melodrammatico della nascente produzione di Hollywood, con la sua punta di diamante nelle opere di Griffith, passa un oceano di distanza, dalla remota, fredda e desolata Svezia, che si affaccia nel novero delle potenze nascenti della settima arte, grazie all’attore-regista Victor Sjostrom, il quale tra il 1912 ed il 1923, diresse una quarantina di pellicole, prima di approdare negli Stati Uniti.
Melodramma con venature sociali a sfondo fantasy, Il Carretto Fantasma (1921), tratto da un libro di Selma Lagerlof – adattatrice anche della trasposizione filmica -, condensa all’interno di esso, una molteplicità di passioni, drammi e sentimenti, tramite una regia dedita ad un’indagine dell’essere umano in chiave immanente, dove una sinistra leggenda è incentrata sull’ultimo morto nella giornata di Capodanno, il quale viene tristemente condannato per un anno a condurre per conto della “Morte” un “carretto fantasma”, raccogliendo le anime dei defunti, cedendo poi il ruolo a colui che perirà alla mezzanotte dell’anno successivo.
La vicenda ambientata proprio il giorno della vigilia del nuovo anno, mostra la triste vicenda dell’alcolizzato vagabondo David Holm (Victor Sjiostrom), intento ad ubriacarsi allegramente assieme ai propri compagni, quando viene chiamato al capezzale della morente sorella Edit (Astrid Holm), la quale vorrebbe cercare di redimerlo dalla sua vita degradante, nonostante i ripetuti fallimenti precedenti.
Al rifiuto nell’accogliere l’appello di una donna in fin di vita, la furia dei suoi compagni per il gesto disumano, finisce con il ferirlo gravemente, così che al rintocco della mezzanotte, gli si avvicini il tanto temuto carretto fantasma, guidato da Georges (Tore Svennberg), un ex-amico defunto del protagonista, al quale un anno prima raccontò la lugubre storia.
Sjostrom struttura la vicenda sulla falsariga del Canto di Natale di Charles Dickens (1843), in cui l’intento con una narrazione intervallata da continui flashback, narrati dal fantasma di Georges, producendosi in ulteriori digressioni, come il racconto nel racconto, in cui la realtà materiale, finisce con lo sfumare sempre di più su di un piano onirico, in una sorta di primordiale fiaba gotica, dove il patetico David Holm, viene messo innanzi alle proprie miserie umane da parte di Georges, atto a fargli ripercorrere tutti i suoi fallimenti come fratello, come marito ed essere umano.

Il carretto spettrale, diviene quindi nella sua trasparenza, la lente privilegiata per vedere con rinnovata chiarezza, lo squallore in cui è piombata la propria vita, con le sue ramificazioni, sentieri e strade sbagliate imboccate.
Nella strenua, ma sempre più tenue luce fioca degli interni, gli esseri viventi cercano di aggrapparsi a qualsiasi cosa per cercare di andare avanti, fosse il cercare di tenere in piedi un matrimonio allo sfascio da parte della moglie di Holm (Hilda Borgstrom) oppure continuare fino all’ultimo, anche in punto di morte, a volersi immolare per il prossimo da parte di Edit, membro dell’Esercito della Salvezza (associazione dedita all’aiuto degli indigenti), raffigurata ad inizio film oramai quasi esanime nel letto, secondo i canoni della santa cristiana affetta da malattia terminale – una tubercolosi incurabile nello specifico -, trasmessale proprio da colui che ella tentò ripetutamente di aiutare senza successo, ma nonostante ciò, stoicamente cerca fino al suo ultimo respiro, di cercare di aiutare David Holm, un’anima persa nelle luci fredde degli esterni, in un color celeste spettrale a tinte unite, che raggela qualsiasi sentimento umano, aumentando il tocco gotico, nonché il senso di smarrimento in cui l’alcool ha fatto sprofondare l’uomo.
Sjostrom mette in scena – forse per primo in assoluto nella storia del cinema -, un profondo scandaglio psicologico di un personaggio non per forza negativo, ma un anti-eroe tipico del suo cinema, dove i suoi fallimenti e le sue debolezze, non sono un qualcosa di dato, ma precisi risultati dovuti ad avvenimenti passati, che hanno gettato l’uomo nella negatività totale, giungendo così a preferire di avere una mente ottenebrata dall’alcool, piuttosto che affrontare i propri problemi lavorativo-familiari.

Il regista cerca di mutuare gli stilemi del cinema muto – trucco marcato ed enfasi teatrale accentuata -, fondendo l’uso pioneristico degli effetti speciali tramite le sovraimpressioni di immagini, con un stile recitativo più realista, adeguato d’altronde ad un’opera sospesa in un limbo tra cielo e terra, come sono le numerose cadute e successivi tentativi di rialzarsi del protagonista, che poi successivamente naufragano, innanzi ad una vita grama quanto insoddisfacente, che porta David a venir meno come sia lavoratore, sia come marito, lasciandosi sopraffare dalla propria indole violenta nei confronti della moglie e dei tanto amati figli, con tanto di gesti distruttivi eclatanti; su tutti la demolizione di una porta chiusa, tramite un’ascia, copiata nei movimenti e nelle inquadrature, fotogramma per fotogramma da Stanley Kubrick in Shining (1980).
La visione dei fatti da un punto di vista “esterno”, porta ad un moto d’animo interno, che induce ad una presa di coscienza, mano a mano che il puzzle della vita viene composto, dando un ritratto dolente, ma senza che la poesia dei sentimenti possa venir meno, conducendo ad un climax finale catartico, di forte matrice umanista
Il potere di cambiare le cose, che non si è stati capace di sfruttare in vita, forse può avvenire in morte tra struggimenti intensi e lacrime amare versate, come tributo necessario per testimoniare il proprio sincero pentimento, dopo un viaggio spazio-temporale, nella notte simbolo per eccellenza della transizione tra vecchio ed il nuovo; la vigilia del nuovo anno. 
Uscito il primo Gennaio del 1921 in Svezia, l’opera fu un gran successo di pubblico e critica, ottenendo anche il plauso internazionale, venendo considerata fin da subito un capolavoro tra i più grandi della storia del cinema, con l’industria di Hollywood, che notate le notevoli capacità di Victor Sjostrom, di lì a qualche anno deciderà di chiamare alla propria corte il regista.