Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789
“The Carpenter” è uno degli ultimi tentativi di riportare in Italia un genere che lentamente sta riemergendo distinguendosi dai drammi e dalle commedie, ovvero quello dei thriller. Quest’opera prima, diretta da Steven Renso, è approdata per il noleggio nelle piattaforme streaming Chili, Amazon Prime Video e Google Play! Il film parla di un ex soldato italiano che è fuggito in un paesino in montagna per stare con sua figlia, tuttavia un giorno dei tipi poco raccomandabili si presenteranno riaprendo una ferita del suo passato molto forte e molto pericolosa.
Dal punto di vista tecnico il film utilizza dei guizzi interessanti, concentrati soprattutto in campi lunghi attraverso una fotografia fredda ed invernale (curata da Pietro Ginieri) che sottolinea la cupezza presente nei ricordi misteriosi del protagonista, accentuata da un calore più solare (evidenziato sempre dalla luce) solamente quando è presente una persona a lui cara come per esempio la sua stessa figlia. I contrasti tra le luci ed ombre sono altri esempi di un uso sapiente della tecnica fotografica, ma come abbiamo già anticipato la regia aiuta questo connubio, riprendendo bene i paesaggi di luoghi circostanti semplici ma ricchi di vita e focalizzandosi spesso sui volti dei personaggi che vengono ben inquadrati per sottolineare un disagio presente dentro di loro anche quando appaiono sicuri di loro stessi. Niente male anche alcuni dinamici movimenti di macchina per sottolineare l’azione, ottenendo in generale un uso della tecnica talentuoso.

Dal punto di vista recitativo, gli attori scelti sono delle figure adatte al contesto e che, anche solo per la presenza scenica particolare scelta, riescono a dare curiosità allo spettatore nel guardare dei personaggi molto forti, che richiamano quasi ad uno spaghetti western per come sono inquadrati. Ma al di là del loro aspetto fisico, gli attori sono tutti bravi (fatta eccezione per la recitazione visiva eccessivamente calcata di Timothy Cavicchini), in particolare Davide Gambarini nel ruolo di un protagonista davvero carismatico e che esprime spesso la fermezza di un uomo stanco ma sempre molto provato senza però evitare di dare anche segni di dolcezza. Oltre a Gambarini, però, un altro che bisogna tenere d’occhio è Yoon C. Joyce nel ruolo del prete che fornisce un forte senso di sicurezza, riuscendo a dare perfettamente con pochi dettagli quei momenti di dubbio in cui deve avere a che fare con il cuore umano e dando altri tratti di personalità nei momenti più inaspettati. Eccellenti le musiche di Dimitri Ferrari che danno al film una bella carica emotiva.
Per quanto riguarda la sceneggiatura, l’opera vuole mantenersi su una precisa ambiguità, per fare in modo che lo spettatore interpreti e misuri i personaggi a modo suo, rischiando però di esagerare su quel punto: l’interpretazione dello spettatore infatti viene meno quando il film non è abbastanza esplicito, non fornendo una spiegazione base che permetta di carpire un minimo perché certi personaggi agiscono in un modo verso l’altro e non comprendendo quindi il loro rapporto che permetta allo spettatore di immedesimarsi meglio in tali figure. Per esempio è molto poco chiaro il rapporto tra il protagonista ed un personaggio legato ad un suo passato che sembra avercela con lui dopo essere stato a lungo tempo un suo amico, ma il film non spiega mai quali azioni hanno compiuto uno dei due per portarli a separare. Questo rischia di disorientare lo spettatore che vorrebbe cercare di farsi trascinare di più dalla vicenda ed invece è frenato a causa di queste mancanze.

Tuttavia questa è solo una parte dell’opera, perché, per fortuna, uno dei nuclei principali della trama, accompagnato da una vendetta personale, è molto più chiaro sia nei momenti visivi che nei momenti di dialogo, ovvero il rapporto tra il protagonista Sam ed il ragazzo sfigurato, di cui non sappiamo il suo passato fino ad un momento preciso. Il rapporto tra loro due omaggia in certi punti anche il cinema di Sergio Leone, attraverso un crescendo molto forte nel confronto tra presente e passato ed una denuncia a delle persone che sono lasciate nei loro spazi pieni di morte solo perché l’uomo è circondato da una perenne avidità. Oltre a questo rapporto, lo stesso personaggio di Sam, pur avendo delle falle con altri personaggi e con il suo passato, è chiaro nel suo tormento personale volto a cercare una redenzione che lo aiuti a credere di più nel suo futuro e nelle persone attorno a lui attraverso scene che riescono a creare empatia anche quando è particolarmente freddo con gli altri.
Inoltre, ciò che aiuta bene la scorrevolezza del film, è l’ottima gestione della tensione creata attraverso delle soluzioni visive che si allontanano dall’azione standard e che portano lo spettatore ad essere incuriosito da quello che viene dopo, comprendendo l’azione che avviene sullo schermo ma con dettagli che vengono seminati che lasciano appunto ambiguità (in questo caso ben portata sullo schermo attraverso una messinscena intelligente) e che aumentano la suspense perché fanno rimanere col fiato in sospeso fino all’arrivo delle prossime scene che mostreranno cosa è successo. In questo lungometraggio si mostra quindi poco dell’azione ma abbastanza per mantenere la tensione e per non creare confusione nelle scene, aumentando l’impatto psicologico sui personaggi e la curiosità della gestione della trama.

“The Carpenter” non è un film perfetto a causa di emissioni narrative che andavano inserite, ma, nonostante ciò, l’ottima gestione della suspense, la tecnica visiva con diversi guizzi ed i temi interessanti che vengono raccontati creano comunque un thriller che può trascinare lo spettatore in un’ora e mezza piacevole attraverso un’atmosfera che non si trova spesso anche al di fuori del nostro paese e che creano una boccata d’aria fresca nel cinema italiano che dimostra che nuove idee e nuovi talenti continuano ad esserci.
Andrea Barone
Voto: 7,5/10