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“Malcolm & Marie”: recensione dello sfogo intimo con Zendaya e John Washington

“Malcolm & Marie” è l’ultima opera cinematografica di Sam Levinson, autore che ultimamente ha fatto parlare parecchio di sé grazie alla sua serie televisia “Euphoria” e probabilmente, per quanto riguarda le opere destinate al grande schermo (cosa triste da dire considerando il recente periodo), questo nuovo film è il suo più discusso.

L’opera, girata in piena pandemia attraverso un tempo di meno di un mese e con un budget di 2 milioni e mezzo, portato via in larga parte dagli attori John David Washington e Zendaya (unici membri del cast), è approdata su Netflix negli ultimi giorni attirando molto pubblico e creando spaccature molto forti nella critica.

Si tratta di un dramma psicologico e romantico avente come protagonisti una coppia formata da un regista (Malcom) ed una modella (Marie) che sono tornati a casa dopo l’anteprima di un film. Durante il discorso di ringraziamento, Malcom si è dimenticato di citare anche la sua fidanzata. Una volta tornati a casa quest’ultima glielo rinfaccerà ed inizierà una discussione che tirerà fuori i problemi che i due hanno sepolti dentro di loro.

Sul piano registico l’opera sa veramente il fatto suo: movimenti di macchina che girano attorno ai movimenti dei personaggi per evidenziare il continuo girare su determinati discorsi, le panoramiche del giardino che richiama ai punti senza confini su cui i personaggi rischiano di perdersi, primi piani sui personaggi che rimangono fissi al punto giusto, in modo che noi possiamo cogliere anche il più piccolo cambio di espressione nel modo migliore. Tutto questo attraverso una fotografia in bianco e nero che sembra mostrare un colpo netto dell’animo dei protagonisti ma che in realtà nasconde numerose sfumature, rifacendosi al cinema anni 40 e 50.

Sul piano tecnico l’opera è dannatamente perfetta, ma anche gli attori non sono da meno, perché Zendaya e John David Washington dimostrano fin da subito una grande intensità anche nei momenti in cui i protagonisti sono perfettamente calmi, ma basta anche solo un battito di ciglia per capire che c’è qualcosa che non va… ed i loro occhi sono immensi, pieni di parole che vogliono comunicare allo spettatore il loro stato d’animo fino a quando i due non esplodono, rivelando la totale imposizione violenta della loro anima perennemente in crisi.

Ed è proprio questo che il film è: una lotta, una continua lotta tra partner che si attaccano a vari elementi per mostrare la fragilità della propria sensibilità, non risparmiandosi nemmeno di ferire la persona a loro accanto pur non essendo quest’ultima cosa il loro obiettivo primario. Essendo però dei lavoratori del mondo dello spettacolo, si sfogano anche su quello che fanno e per questo l’opera spesso va anche a finire su dei temi riguardanti quel mondo che finiscono per diventare anche delle riflessioni sulla società.

Tali riflessioni appaiono molto interessanti, perché vedi per esempio un artista dilaniato perché vorrebbe che il suo film venisse percepito per quello che vuole trasmettere, ma l’ossessione per determinati temi della massa impongono sempre a pensare ad altro: un esempio è il colore della pelle del protagonista, il quale fa pensare al pubblico ed anche alla critica di star guardando un film sul razzismo quando in realtà l’autore si era concentrato su tutt’altro. Attraverso questi sfoghi degli artisti, l’opera di Lavinson collega le nostre espressioni artistiche all’influenza che la vita occupa su di loro.

“Malcolm & Marie” infatti gioca su un continuo parallelismo tra costruzione delle opere artistiche che in realtà rispecchiano la costruzione che noi stessa proviamo della realtà, evidenziando più volte come il film del protagonista sia nato dalle sue sensazioni e dalla conoscenza che lui ha avuto con la sua ragazza, una disintossicata che si è battuta molto… ma che ora ha difficoltà a reggere l’ego spropositato del suo partner, il quale spesso non si concentra sulle cose più semplici ma si lascia andare, perché da la presenza della propria fidanzata scontata.

La narrazione è composta da una precisa struttura: lei si sfoga contro di lui avendo la meglio e poi c’è silenzio con un po’ di amore, lui si sfoga contro di lei avendo la meglio e poi c’è silenzio con un po’ di amore, lei si sfoga contro di lui avendo la meglio e poi c’è silenzio con un po’ di amore… e così via. Se tutto questo gioca sull’incredibile ossimoro del romanticismo reale, in cui due secondi prima vorresti odiare il proprio amante e due secondi dopo quest’ultimo ti fa impazzire di gioia, questo continuo botta e risposta potrebbe cominciare dopo un po’ a stancare lo spettatore, poiché si comincia quasi a capire le mosse dei personaggi e a prevedere quando ci sarà una prossima lite.

– Andrea Barone

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