Frankenstein: perché le differenze tra il libro e il film di Del Toro sono “vitali”

In occasione della distribuzione ufficiale su Netflix il 7 novembre 2025, si propone una guida alla visione di Frankenstein alla ricerca delle differenze tra il libro e il film di Del Toro per comprenderne la loro vitalità.
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Presentato in anteprima alla 82esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia il 30 agosto 2025, nello stesso giorno del 228esimo compleanno della “madre” Mary Shelley del romanzo omonimo pubblicato nel 1818, conosciuto anche come “Frankenstein Day”, in Frankenstein il regista messicano Guillermo Del Toro rimette le mani su un’altra creatura vivida nell’immaginario collettivo per realizzare una fiaba che ha tutt’altra atmosfera rispetto al testo di origine. Si tratta della seconda collaborazione del regista argentino Del Toro con la piattaforma di streaming Netflix – dopo il successo del suo primo film d’animazione Pinocchio (2022) – che ha ottenuto una misera distribuzione speciale in circa 20 sale italiane dal 22 ottobre 2025, prima della sua uscita ufficiale sulla piattaforma il 7 novembre 2025. Nel caso siate tra quei pochi fortunati, o in febbricitante attesa di poterlo vedere per la prima volta sul piccolo schermo, il film si prende delle libertà rispetto al testo originale che però hanno un significato definito. Frankenstein: le differenze tra il libro e il film di Del Toro e perché sono vitali all’interno dell’opera.

Frankenstein: le differenze tra il libro e il film di Del Toro

Prima di scoprire e poter dunque comprendere il significato delle libertà che il regista messicano si è preso durante il processo di creazione, occorre riportare quelle che in Frankenstein sono le differenze tra il libro e il film di Del Toro. Così come la sua opera precedente Pinocchio, il Frankenstein di Guillermo del Toro non è un semplice adattamento da un testo, uno sterile copia e incolla del materiale di partenza. Se nel suo primo film d’animazione Del Toro trasporta la storia del burattino raccontata da Carlo Collodi nella realtà di una pagina storica delicata quale quella del Fascismo in Italia, nel suo Frankenstein il regista trascende la mera trasposizione pagina-schermo del romanzo di Mary Shelley per dargli una lettura personalissima e contemporanea. Seguono quali sono in Frankenstein tutte le differenze tra il libro e il film di Del Toro.

Il rapporto padre-figlio, creatore-creatura

In Frankestein nelle differenze tra il libro e il film di Del Toro ritroviamo prima fra tutte la figura del padre di Victor Frankenstein (Oscar Isaac). Infatti, se nel romanzo Alphonse Frankenstein è una figura amorevole e di rilevante supporto per il figlio che vorrebbe che si dedicasse più alle relazioni umane piuttosto che alla scienza, il Leopold Frankenstein del film (Charles Dance), invece, è il carnefice di un rapporto disfunzionale con lo stesso in quanto riversa su di lui la spasmodica ricerca di perfezione e virilità della sua professione di medico e uomo di scienza, acuita dopo la morte di sua moglie, nel romanzo, Caroline Beaufort, causata da una malattia contratta dopo il parto. Inoltre, nel libro la morte del padre è causata dal troppo dolore dopo la scoperta della morte di Elizabeth, mentre nel film avviene in totale naturalezza per vecchiaia, lasciando i due fratelli Victor e William da soli (nel romanzo, come nel film, muore ucciso dalla Creatura; mentre nel film l’altro fratello Ernest non viene menzionato nel film).

Alcune anologie nelle rappresentazioni della Creatura con quella di Frankenstein di Guillermo Del Toro in alto a destra e in basso a sinistra; in alto a sinistra l’incisione in legno dell’artista Barry Moser intitolata “No Father Had Watched my Infant Days” (1983), in basso a destra l’attore John Clare nei panni della Creatura nella serie TV Penny Dreadful (2014-2016)

Su un secondo livello, se nel libro il rapporto armonioso padre-figlio funge da contrasto con quello rigettato di creatore-creatura causato dall’abbandono del mostro da parte di Victor, nel film il meccanismo della disfunzionalità genitoriale padre-figlio tra Leopold e Victor si reitera in modo simmetrico in quella di creatore-creatura, riproducendo la dinamica del fascio della violenza scagliato dal carnefice sul suo capro espiatorio/vittima. Nonostante ciò, il Victor di Del Toro tratta la Creatura (Jacob Elordi) in modo decisamente molto più gentile e con fare tenero rispetto a quanto quello del romanzo di Shelley. In questo senso, il fatto di pronunciare “Victor” come sua prima e unica parola nella prima parte non è da leggere come l’inizio di una costruzione identitaria o di apprendimento linguistico, bensì come una sorta di imprinting, come se avesse detto “mamma” o “papà”, sintomo di un riconoscimento, di una consapevolezza dei sentimenti e dell’umanità. Da questa fondamentale differenza consegue che la Creatura stessa possiede un comportamento molto più mite e controllato rispetto a quanto letto nel romanzo, dunque privo di azioni violente e aggressive nel film, salvo per alcune scene che coincidono però a momenti in cui si sente incompreso o gli viene portato via ciò che a lui è più caro.

La storia d’amore tra la Creatura ed Elisabetta

Altra differenza tra il Frankenstein del libro e quello del film di Del Toro è la figura di Elisabetta nel film interpretata da Mia Goth. Se nel romanzo Elizabeth è la futura sposa del dottor Victor Frankenstein, nel film diventa invece la cognata dello stesso, in quanto futura moglie del fratello William Frankenstein. Nel film, il personaggio di Elisabetta appare fin dalla prima scena avvolta da un’aura di mistero e inquietudine, che attrae Victor per la straordinaria somiglianza a sua madre (nel film sempre interpretata da Mia Goth), appassionata di insetti e dalla peculiare imprevedibilità della natura. Dato questo suo particolare interesse per gli esseri viventi, Elisabetta resta folgorata dal primo incontro con la Creatura, tanto quanto accade il contrario. Elisabetta si dimostra fin da subito amorevole e premurosa nei confronti della Creatura, preoccupandosi delle condizioni in cui Victor la sta tenendo imprigionata. Un rapporto di affetto, in cui la Creatura si sente finalmente compreso per la sua vera natura e corrisposto nei sentimenti. Non a caso, quello di Elizabeth sarà proprio la seconda parola pronunciata dalla Creatura.

Il personaggio di Heinrich Harlander

Figura marginale rispetto al resto dei personaggi, quella di Heinrich Harlander interpretato da Christoph Waltz è in realtà un‘invenzione frutto dell penna di Guillermo Del Toro stesso in quanto non esistente all’interno del romanzo di Mary Shelley. Il suo ruolo, in quanto investitore dell’esperimento visionario di Victor, non è altro che quello di incarnare lo spirito e il fanatismo del progresso tecnologico del Novecento, senza però un reale interesse scientifico. Infatti, il foraggiamento finanziario di Harlander nei confronti di Victor alla fine si rivela avere scopi di tutt’altra natura rispetto a quello della ricerca e della scoperta scientifica tout court, in quanto chiede esplicitamente di essere lui stesso la sua prossima Creatura immortale, per poter perfezionare il suo corpo.

La ri-nascita della Creatura: dalla scena della creazione all’estetica

Sebbene non ci sia alcuna descrizione dettagliata all’interno del romanzo di Mary Shelley circa i procedimenti scientifici che hanno reso possibile la ri-nascita della Creatura, solo riferimenti a una forte tempesta di fulmini e qualche citazione al galvanismo ma successiva alla prima pubblicazione, l’immagine della Creatura che prende vita grazie all’elettricità dei fulmini è opera dell’adattamento del 1931 del regista James Whale del suo Frankenstein interpretato da Boris Karloff. Del Toro, dunque, raccoglie umilmente le rappresentazioni già realizzate della scena ma in una chiave di lettura del tutto originale, ritraendo la Creatura su un letto che alzandosi perpendicolarmente al pavimento rivela la sua forma a croce. La messa in scena del momento della creazione, dunque, viene realizzata ossimoricamente come il suo opposto tramite la crocifissione (che dovrebbe evocare la morte in realtà) della Creatura da parte del suo creatore.

L’umanità corporea della Creatura del Frankenstein di Del Toro in realtà riprende la prima rappresentazione che accompagna la prima edizione illustrata del romanzo di Mary Shelley: a sinistra la stampa dell’illustrazione pubblicata a Londra da Colburn & Bentley (1831).

Altro aspetto che potrebbe apparire una differenza evidente con il libro, ma che in realtà è frutto di nuovo dei paragoni con altri adattamenti, è la rappresentazione della figura della Creatura. Contrariamente a quanto si possa pensare, nel romanzo di Mary Shelley, il mostro non è mai definito tale in quanto fisionomicamente ripugnante per il suo aspetto esteriore, né tantomeno riporta viti o deformità esagerate, ma solo per il suo temperamento violento. La Creatura di Del Toro, dunque, per quanto possa apparire a molti troppo umana e priva di una capacità di incutere terrore, in realtà non fa altro che restituire e rendere omaggio al suo originale letterario, grazie al trucco prostetico realizzato artigianalmente senza fare uso della CGI. Infatti, come si può osservare in una delle prime edizioni illustrate dei tre volumi di Frankenstein, la Creatura descritta da Mary Shelley è un uomo a tutti gli effetti, con una corporatura forte, segnata dalle suture e dagli occhi gialli parlanti. Infatti, non a caso Del Toro ha dichiarato che per il casting del suo film, soprattutto per i ruoli di Victor e della Creatura, ha privilegiato lo sguardo degli attori perché da lì che nasce la scintilla.

In conclusione, diversamente da come potrebbe a molti sembrare, le differenze che Del Toro apporta alla sua lettura di Frankenstein di Mary Shelley non sono affatto dei torti o segno di una mancanza di rispetto nei confronti del testo “madre”, al contrario sono da leggere come contributi, spunti di riflessione in quanto estensioni di ciò che il lettore già trova sulla pagina ma che il regista rende visibili agli occhi grazie alle immagini sullo schermo.

Frankenstein: perché le differenze tra il libro e il film di Del Toro sono “vitali”

Dopo aver visto quali sono, occorre comprendere perché in Frankenstein le differenze tra il libro e il film di Del Toro sono vitali. Nella sua operazione di adattamento dalla pagina allo schermo di Frankenstein o Il moderno Prometeo, Del Toro riporta in vita il capolavoro della letteratura gotica inglese di Mary Shelley del 1818 già opera moderna per i primi decenni dell’Ottocento in cui venne pubblicata, insieme anche alla Creatura. Facendo ciò, metaforicamente lui stesso si ritrova a vestire i panni di un Victor contemporaneo che deve mettere insieme i pezzi dei suoi predecessori per dare di nuovo vita alla sua Creatura, un moderno Prometeo elevato alla seconda. Questa lettura originale e contemporanea è stata resa possibile in Frankenstein solo grazie a un lavoro di lettura, rilettura, ricerca e studio delle ragioni più profonde e oscure nascoste tra le righe del romanzo riguardo alla vita dell’autrice per riportarla così in vita.

Ho vissuto con la creazione di Mary Shelley per tutta la vita. Per me è la Bibbia. Ma volevo farla mia, cantarla di nuovo in una tonalità diversa e con un’emozione diversa. È un film che vive dentro di me da quando sono bambino. Crescendo il film è cresciuto insieme a me. Io sono la creatura. Io sono Victor. Io sono ogni personaggio, anche quello di Elizabeth. È un dialogo con me stesso che ha più di dieci, quindici anni. Nel tempo ho imparato cosa vuol dire essere figlio, cosa vuol dire essere padre, cosa significa andare avanti, cosa vuol dire avere delle aspettative o far sentire la propria voce.Il mio compito era frugare tra le pagine scritte da Mary Shelley quando aveva circa diciannove anni. L’idea di base era di iniziare con una terribile bugia, di cui si comprende la natura solamente alla fine e di alternare la visione di un bambino, poi di un medico, poi di un uomo che si innamora e tanto altro ancora. Si smette di pensare al libro e ci si rende conto che sono tutte esperienze inedite.

In particolare, l’evento della morte della madre di Mary Shelley, Mary Wollstonecraft, per darla alla luce, ha provocato in lei un senso di colpa e un’ossessione per riportarla in vita e la conseguente fissazione per la figura del padre William Godwin (nome ripreso per lo scienziato protagonista di Povere Creature! di Yorgos Lantimos interpretato da Willem Dafoe che riporta in vita Bella Baxter) che si distanzia dalla figlia abbandonandola a se stessa.

Era coraggiosa e completamente sincera riguardo la vita che conduceva. Dal romanzo si capisce chi è. Te ne innamori, come è successo a me. Ciò che dovevo fare, perciò, era essere altrettanto sincero. Far capire al pubblico, anche ai fan del romanzo, che un libro è destinato a uno scaffale, mentre i film sono fatti per il grande schermo. E credo che dietro questo Frankenstein si riconosca il mio spirito. 

Il fatto di rimarcare la differenza sostanziale tra il libro di partenza e il film che vede la luce grazie a esso rispecchia sia l’interesse e l’amore viscerale per questa opera nasce fin da quando era piccolo, ben prima dell’idea di realizzare un film, per cui gli ci sono voluti ben 30 anni di lavoro, che l’impegno impiegato da Del Toro per mantenere la visione della sua creazione così come era nata nella sua mente. Fin dall’inizio della produzione di Frankenstein, Del Toro ha messo in chiaro alcuni punti per lui indiscutibili circa l’essenza e la struttura del suo film, che a posteriori risultano vitali per la sua visione.

Rifiutando la proposta di Netflix di concepirlo come un prodotto in tre parti, spezzettandolo come se fosse carne, trattandola alla medesima maniera di una serie TV, Del Toro ha imposto la sua dichiarazione anticonformista ai dettami della velocità, della rapidità, della fruizione spicciola di contenuti tipici della nostra contemporaneità, per restituire il taglio diluito della narrazione che ci obbliga ad ascoltare come se lo spettatore fosse un uditore sulla nave bloccata nel Circolo Polare Artico. Memore dell’ansia di cui sono intrise le pagine del romanzo e del ritmo della scrittura e dei dialoghi di Mary Shelley, come da lui dichiarato, Del Toro si è sentito in dovere di rassicurare la produzione e Netflix affermando: “Non temete, ogni dieci minuti il film cambierà e sarà sempre qualcosa di completamente nuovo.

In queste parole è da ricercare dunque il vero senso vitale, il pulsare che ridona letteralmente vita a quel cuore che anche sesi spezzerà, eppure spezzato vivrà” parafrasando la citazione di Lord Byron messa come epigrafe nel prologo del film. Il Frankenstein di Del Toro potrebbe sembrare a molti di peccare di mancanza di orrore, di paura, di mostruosità, ed è così, perché il suo intento non è mai stato fin dall’inizio quello di spaventare. Piuttosto, il suo personale Frankenstein tocca una paura insita all’essere umano, più sottile rispetto a quella dell’aspetto esteriore, ma che porta al perturbamento, allo sconvolgimento dei nostri valori assiologici, che ci chiede di metterci in discussione come esseri umani. Per quanto nel film siano presenti inquadrature memorabili visivamente che rimarranno vivide e impresse nella mente dello spettatore, non per una mera e indiscutibile qualità della fotografia, piuttosto per il sottotesto che riescono a comunicare, che, come dichiara Del Toro stesso è il fatto che

Il capolavoro di Mary Shelley è pieno di domande che bruciano ardentemente nella mia anima: domande esistenziali, delicate, selvagge, condannate che ardono solo in una mente giovane e solo gli adulti e le istituzioni credono di poter rispondere. Per me, solo i mostri custodiscono i segreti che desidero.

Una scena tratta dal film Frankenstein (2025) di Guillermo Del Toro, in cui la Creatura (Jacob Elordi) ritrova la fotografia scattata da Harlander e la sovrappone al suo volto comprendendo la sua vera natura.

Ecco che l’augurio del regista “Che i mostri abitino i vostri sogni e vi diano tanto conforto tanto quanto lo hanno dato a me, perché siamo tutti creature perdute e ritrovate” coincide con in lieto fine della scena conclusiva del film, in cui la Creatura accetta se stesso e ritorna nei ghiacciai desolati del Circolo polare artico non per isolarsi, ma per ricominciare una nuova vita all’insegna dell’umanità, racchiusa nel primo gesto intimo che ci è permesso scorgere della lacrima che solca il suo viso, andando incontro alla luce dei raggi del sole dell’alba come simbolo di un nuovo inizio.


In Frankenstein (2025), Guillermo Del Toro parte dal romanzo gotico di Mary Shelley per riscrivere una fiaba contemporanea sull’importanza di essere umani e sulla comprensione di sé e degli altri. Disponibile in streaming su Netflix dal 7 novembre 2025.