Con il passare degli anni la serie di Demon Slayer è diventata probabilmente l’anime più importante della televisione contemporanea, ma nessuno si aspettava che l’opera sarebbe divenuta un grande successo anche al cinema. Demon Slayer: Il Castello Dell’Infinito sta infatti continuando ad infrangere record su record e presto diventerà il lungometraggio anime con il maggior incasso di sempre in America (ma è probabile che il traguardo venga infranto anche negli incassi mondiali). Ma il film merita questo successo? A seguire la recensione dell’opera di Haruo Sotozaki.
La trama di Demon Slayer: Il Castello Dell’Infinito
Demon Slayer è un anime tratto dal celebre manga di Koyoharu Gotōge. Dopo quattro stagioni ed una breve parentesi cinematografica di successo (l’acclamato Demon Slayer: Il Treno Mugen, ambientato tra la prima e la seconda stagione), l’adattamento animato sta giungendo alla sua conclusione. Invece di continuare a puntare sul piccolo schermo, si è deciso di dividere il finale in un’ambiziosa trilogia cinematografica. Demon Slayer: Il Castello Dell’Infinito è il primo capitolo di questa trilogia, iniziando subito dopo il finale della quarta stagione. L’opera infatti presenta la seguente trama:
L’organizzazione dei cacciatori di demoni subisce una trappola da parte di Muzan che li intrappola nel castello, dove i restanti Hashira e cacciatori di demoni si scontrano con i membri più potenti delle Dodici Lune. Mentre Tanjiro ed i pilastri vengono ostacolati dalle restanti Lune Crescenti, Muzan cerca di liberarsi dall’effetto del siero creato da Tamayo. Riusciranno i cacciatori di demoni a sconfiggere il male e salvare l’umanità prima che il capo dei Demoni riesca a riacquisire i suoi temibili poteri?

La recensione di Demon Slayer: Il Castello Dell’Infinito
Ormai, dopo anni di eccellenza visiva della serie, non ci si sorprende dello straordinario comparto tecnico che viene dimostrato dalle incredibili animazioni. I combattimenti tra spadaccini e demoni trascendono i presunti limiti dell’animazione bidimensionale e tenendo testa alle più grandi sequenze d’azione viste non solo sul campo animato, ma anche su quello live action. La regia di Haruo Sotozaki è l’ennesimo manifesto di una tecnica che ha ancora molto da dire e che dovrebbe essere supportata al cinema anche dalle grandi major occidentali. Le lame degli spadaccini conficcate nella carne dei demoni trasmettono dinamismo e dolore, con il sangue che contribuisce a dipingere dei disegni che fanno già sfoggio di una luce abbagliante che unisce colori tempestosi e travolgenti. Da lodare anche le musiche di Yuki Kajura e Go Shiina, nonché il doppiaggio italiano diretto da Luca Sermataro, decisamente all’altezza delle potenti voci originali. La struttura del film è gestita in tre atti: il primo con protagonista Shinobu, il secondo con Zenitsu ed il terzo con Tanjiro e Giyu. Nonostante la caratterizzazione estremamente diversa dei personaggi gli uni dagli altri, tutte le vicende si basano su un unico tema che è quello del concetto di forza. L’arco dedicato a Shinobu, che funge da introduzione della storia, mostra la sua costante perseveranza nel cercare di affrontare una Luna Crescente attraverso anni di determinazione basati sulla vendetta e sulla rabbia delle ingiustizie. Da qui è interessante la rappresentazione di Doma, un suprematista annoiato dalla vita che è stato cresciuto con l’idea di essere superiore agli altri, spezzando le vite degli umani per salvarli da un’esistenza misera, ricca di sofferenze. In questo modo per Doma la resistenza degli umani è affascinante, ma inconcludente perché destinata a fallire. Un personaggio controverso e carismatico nella sua perversione nel fallimento umano, guardando le persone come mosche da ammirare quando riescono a bucare le morse di una ragnatela prima di finire schiacciati da un piede. Una figura che promette consolazione e abbracci a patto che si entri sotto le sue ali di morte, nutrendolo. Il suo sorriso angelico e rassicurante funge da contrasto perfetto con le azioni di un parassita che trae giovamento dalla morte, rendendolo un villain temibile. La rabbia del pilastro Shinobu è quindi la prima parte della manifestazione di forza, mostrando una costante resistenza favorita dall’ingegno (Shinobu è un medico che cerca e testa un veleno contro i demoni) e da una forte perseveranza.
Se la prima parte della forza si basa su atti più fisici, il secondo arco, dedicato a Zenitsu, va su un terreno più umano, nel quale il celebre spadaccino “codardo” si confronta con Kaigaku, una persona che l’ha accompagnato in un periodo importante quando erano entrambi allievi del nonno Jigoro. Tra i due c’è una forte differenza d’animo, dal momento che Zenitsu ha sempre disprezzato Kaigaku per la sua paura nell’affrontare le cose, mentre Kaigaku, pur essendo provato dai continui rimproveri, ha sempre lottato affinché possa diventare come Zenitsu e combattere al suo fianco. La tragedia del loro litigio è la rappresentazione netta di un sogno che si spezza, dal momento che il sogno di Jigoro era quello di vedere i suoi allievi uniti per diventare una forza inarrestabile contro l’avanzata dei demoni. Entrambi infatti si sarebbero completati facendo squadra e compensando alle loro mancanze (Zenitsu conosce solo il primo Kata, mentre Kaigaku solo gli altri cinque). Tuttavia l’incapacità di Kaigaku nel riconoscere l’importanza del legame, fagocitata da una spinta enorme del proprio ego, ha rovinato tutto, trasformando la sua presunzione in ricerca di potere e di supremazia. Per questo, nel confronto definitivo tra due allievi che hanno scelto strade completamente diverse, spicca lo splendore di Zenitsu attraverso la rabbia contro chi lo ha tradito ed il rispetto dei valori insegnati da suo nonno. Ormai il giovane guerriero del fulmine non si addormenta più durante i combattimenti. Di conseguenza il suo valore non è più una forza che si manifesta soltanto durante il sonno per esprimere il suo potenziale dormiente: adesso Zenitsu ha la totale consapevolezza di sé stesso e riesce a fronteggiare, per la prima volta, una Luna Crescente. Il suo “Sei lento, Feccia“ rappresenta il riscatto nei confronti di chi lo ha sempre sottovalutato, un riscatto mosso solo dalla voglia di fare del bene e non solo per dimostrare quello che è in grado di fare. Una scrittura sopraffina che dimostra che tutti, anche i più insospettabili, possono emergere nell’onestà e nella fiducia. Non è un caso che, durante l’alternanza dei vari atti, si dia spazio anche agli spadaccini non forti quanto i pilastri, la cui importanza è quella di attirare i demoni più deboli per fare in modo che i loro maestri si concentrino sulle minacce più grandi. Tutti, nel loro impegno e nella loro determinazione, sono importanti, compresi i piccoli figli di Kagaya che tracciano il Castello Dell’Infinito, mostrando la speranza racchiusa nella nuova generazione intenta a combattere il male.

La rivalità tra Zenitsu e Kaigaku si rispecchia poi in quella tra Tanjiro e Kazaka. Il secondo decide di rispettare Tanjiro soltanto quando si accorge che il giovane guerriero e capace di tenergli testa durante il suo combattimento, mentre Tanjiro, nonostante le lodi dell’avversario, si rifiuta di ringraziare o di ricambiare le parole del demone, essendo ancora arrabbiato per la morte di Rengoku. Non importa quanto abile sia l’avversario nel combattimento: finché le proprie gesta saranno applicate per provocare il decesso degli altri, non ci sarà alcun onore. La crescita e la forza di Tanjiro, approfondita negli splendidi flashback intenti a rivelare l’identità appresa dal padre, mostrano un’energia creata grazie alla volontà incontrollabile di voler difendere i propri cari. Kazaka invece definisce inutili le persone deboli, poiché apparentemente incapaci di far valere la propria esistenza, ambendo quindi alla perfezione del corpo. Ma cos’è un uomo senza la sua fragilità e sofferenza? Senza riconoscimento dei propri limiti e senza compassione non può esserci un’evoluzione, perché più si rimane freddi e più si rimane incapaci di crescere davvero. Il gioco di squadra tra Tanjiro e Giyu sottolinea la straordinarietà di questa evoluzione, perché proprio Giyu ha conosciuto Tanjiro quando quest’ultimo era incapace di difendersi da solo, non conoscendo alcun modo per combattere un demone. Eppure, nonostante ciò, Tanjiro è riuscito quasi a ferire Giyu soltanto per difendere sua sorella. Giyu ha riconosciuto la sua tenacia ed il suo amore, credendo in lui affinché potesse diventare un bravo spadaccino… e lì, con lui a combattere, quello spadaccino è ora talmente eccezionale da poter ambire al ruolo di pilastro. Non bisogna mai sottovalutare nessuno soltanto perché non all’altezza di altri individui che hanno già raggiunto abilità innate. Qualsiasi battaglia presente in questa saga è un incentivo a non perdere mai fiducia, stimolando i ragazzi a dare il meglio di sé stessi e a non perdere mai i propri valori in favore di un oblio che non fa soffrire. Kanaka è infatti un uomo che ha rinunciato alla propria umanità perché ne ha viste troppe, accettando di dare sfogo soltanto alla sua ferocia e perdendo completamente identità. Un villain estremamente tragico che mostra un’ulteriore fragilità nel suo stesso rifiuto di accettare il mondo. Un vero e proprio terrorista che, a seguito del dolore inflitto dai prepotenti, decide di dare alle terre fuoco e fiamme. Un ulteriore dimostrazione dell’eccellente penna degli autori di riuscire a far provare compassione per i cattivi più spietati ed impensabili, creando icone destinate a rimanere impresse nell’immaginario dell’animazione.
La storia di Kanaka viene raccontata attraverso un flashback che funge quasi da finale del film, talmente lungo da sembrare un vero e proprio quarto atto. Il suo passato arriva nel bel mezzo della conclusione del combattimento e questa scelta narrativa, a differenza di vari flashback inseriti in Demon Slayer: Il Treno Mugen in modo più graduale, crea un leggero calo di ritmo. Tuttavia, allo stesso tempo, è proprio il flashback apparentemente troppo lungo che riesce a dare la profondità al personaggio di Kinaka e senza di esso perderebbe gran parte del proprio fascino. La caratteristica della serie è sempre stata quella di alternarsi tra le vicende del presente e quelle del passato e tale caratteristica non viene abbandonata nemmeno nei film cinematografici. In una trilogia divisa in tre capitoli che racchiudono un’unica battaglia ambientata tutta in un’unica location, in che modo è possibile tenere testa ad un ritmo del genere? Invece di allungare il tutto con ulteriori sequenze di combattimenti, gli autori scelgono di prendersi i giusti tempi e di trasformare il film in un viaggio dell’anima, dando la priorità alla psicologia che diviene un vero e proprio atto di espiazione. Tra sequenze spettacolari, simbologie umane e dialoghi ricchi di profondità, Demon Slayer: Il Castello Dell’Infinito è uno straordinario biglietto da visita per l’inizio del gran finale di un’opera che si dimostra sempre più ricca ed eccelsa, dando vita ad uno dei migliori sequel degli ultimi anni.







