Articolo pubblicato il 1 Luglio 2025 da Gabriele Maccauro
Si chiude il cerchio. Dopo la sua prima messa in onda nel 2021, Squid Game è da subito diventato un fenomeno culturale, ottenendo un successo stratosferico in tutto il mondo e trasformandosi immediatamente in una delle serie tv più amate degli ultimi anni. Nel dicembre 2024 è poi uscita la seconda stagione e adesso, finalmente, la storia giunge al termine. Dal 27 giugno 2025 sono infatti disponibili su Netflix i sei episodi finali di Squid Game. Ma qual è il risultato finale? A seguire, trama e recensione di Squid Game 3.
La trama di Squid Game 3, serie originale Netflix
Squid Game 3 è ormai disponibile su Netflix con una nuova stagione formata da sei episodi che vanno a mettere un punto su una delle serie più amate degli ultimi anni. Prima di passare all’analisi e recensione di questa terza stagione è però importante riportare la sua sinossi:
“Una ribellione fallita, la morte di un amico e un tradimento segreto: la terza stagione di Squid Game riprende dopo il sanguinoso cliff-hanger della seconda stagione. Sebbene Gi-hun sia al suo punto più basso, i giochi non si fermano per nessuno. Egli sarà costretto a fare delle scelte importanti di fronte alla disperazione, mentre lui e i giocatori sopravvissuti vengono spinti in giochi sempre più letali che mettono alla prova la determinazione di tutti. A ogni round, le loro scelte portano a conseguenze sempre più gravi. Nel frattempo, In-ho riprende il suo ruolo di Front Man per dare il benvenuto ai misteriosi VIP e suo fratello Jun-ho continua la sua ricerca dell’isola sfuggente, senza sapere che c’è un traditore in mezzo a loro. Riuscirà Gi-hun a prendere le decisioni giuste, o il Front Man riuscirà finalmente a spezzare il suo spirito?”.

La recensione di Squid Game 3, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk
Sembra ieri che veniva trasmessa la primissima stagione di Squid Game ed ora, quattro anni e 22 episodi dopo, tutto volge al termine, il cerchio si chiude e sì, siamo pronti a dimenticarcela. È la dura legge di Netflix, dove o muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo. Solo che non puoi morire finché non hai fatto guadagnare qualche milione di dollari. La serie sudcoreana non fa eccezione e così, dopo un debutto capace di conquistare ogni tipo di spettatore, si è persa la bussola. Parliamoci chiaramente: la prima stagione di Squid Game era tutt’altro che il capolavoro da tanti osannato ed i suoi difetti sono stati messi sotto il tappeto, nascosti dal fenomeno di massa che è diventato, tra giochi, eliminazioni a sorpresa e quella dannatissima bambola. Così come le maschere di La Casa di Carta o il balletto di Mercoledì. Questo tipo di serialità nasce però con una data di scadenza, viene spremuta fino all’ultima idea e pazienza se la sceneggiatura inizia a fare acqua da tutte le parti, l’importante è cavalcare l’onda del successo, andare virale, vendere.
Attenzione, perché il discorso riguardante la sceneggiatura non è meramente legato ad un altro argomento che piace tanto su internet, ovvero i buchi di trama, ma a qualcosa di molto più profondo: Squid Game 3 è infatti uno dei prodotti peggio scritti degli ultimi anni, con dialoghi deliranti, archi narrativi aperti e mai chiusi o, peggio ancora, che portano i vari personaggi a sparire in un limbo per poi ricomparire completamente a caso (ne sa qualcosa Jun-ho). Va da sé che, se la situazione è questa, ogni tentativo di parlare di argomenti socio-politici non solo non va a segno, ma risulta arrogante nonché ridicolo (non siamo cavalli non è propriamente una frase che avrebbe utilizzato Elio Petri).
Ma come ci siamo ridotti così? Quand’è che abbiamo perso fede nell’arte salvo rendere i numeri il nostro unico Dio? Tutto si è omologato, il dialogo si è appiattito e ormai le aspettative stesse nei confronti della maggioranza dei prodotti mainstream che escono ogni anno sono pari a zero. È l’epoca del fast watching, dove tutto va mangiato e digerito appena esce, per poterlo poi dimenticare immediatamente e passare al successivo. Abbiamo citato La Casa di Carta poco fa, qualcuno se la ricorda ancora? Squid Game seguirà lo stesso destino e chi lotta, chi combatte per davvero – non come la falsa rivoluzione di Hwang Dong-hyuk e Gi-hun AKA giocatore 456 – annasperà sempre più. Andy Warhol si sbagliava, qui non ci si accontenta più di 15 minuti di celebrità e forse il destino è quello di diventare tutti attori di un mondo che George Romero ci dipingeva già nel 1968.
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