Articolo pubblicato il 30 Giugno 2025 da Giovanni Urgnani
Presentato in anteprima mondiale in concorso ufficiale alla settantacinquesima edizione del Festival Internazionale del cinema di Berlino, distribuito nelle sale cinematografiche francesi il 25 giugno 2025 mentre in quelle italiane a partire dal 3 luglio dello stesso anno, grazie al contributo di Lucky Red. Ma qual è il risultato di Reflection in a dead diamond? Di seguito la recensione e la trama ufficiale del film diretto da Hélène Cattet e Bruno Forzani, con protagonista Fabio Testi.
La trama di Reflection in a dead diamond, presentato alla Berlinale 2025
Il lungometraggio è una coproduzione tra Francia, Italia, Lussemburgo e Belgio, in cui sono coinvolte etichette quali: Kozak Films, Les Films Fauves, Dandy Projects, Tobina Film, Savage Film e To Be Continued. Ma di cosa parla quindi Reflection in a dead diamond? Di seguito la trama ufficiale del film scritto e diretto da Hélène Cattet e Bruno Forzani:
“Quando la misteriosa donna nella stanza accanto scompare, un’affascinante ex spia settantenne che vive in un lussuoso hotel sulla Costa Azzurra si confronta con i demoni e i beniamini di un passato torbido in cui cinema, ricordi e follia si scontrano.”

La recensione di Reflection in a dead diamond, con Fabio Testi
C’è chi nel caos più totale trova il suo perfetto ordine, chi nel delirio riconosce una logica precisa. Tale descrizione coincide con la coppia di registi formata in questo caso da Hélène Cattet e Bruno Forzani, autori di un film senza regole o, meglio, pregno delle sue, in cui in maniera plateale si distorce e si dissacra qualsiasi tipo di canone. Poiché il drink è un elemento molto presente nel film si può benissimo paragonare la resa finale ad un cocktail micidiale capace di stendere chiunque al primo assaggio, la cui esperienza visiva è alla stregua dello shakeraggio più frenetico che il barman riesca a compiere. Reflection in a dead diamond ha un’identità precisa, cioè, portare all’estremo ogni singolo aspetto cinematografico: dal montaggio alla narrazione, fino alla componente meta; di conseguenza porta all’estreme conseguenze inevitabilmente anche il giudizio.
Per un prodotto senza mezze misure non ci si approccia altrimenti, sicuramente è destinato a dividere nettamente lo spettatore in due tronconi diametralmente opposti dove qualcuno si sentirà pienamente trasportato dal contesto anarchico e naif, mentre altri sentiranno un forte sentimento respingente verso una proposta che rinuncia a raccontare una storia, rinuncia a far capire chi siano i personaggi, lasciando spazio al sadismo più becero riempiendo lo schermo di violenza e sangue solo per il semplice e banale gusto di farlo. Situazioni ripetute fino allo sfinimento in cui viene testimoniata la mancanza sostanziale di materia da sviluppare, facendo enorme fatica a raggiungere una durata in teoria tutt’altro che proibitiva, tentando di distrarre con stancanti “giochi di prestigio” cercando di nascondere quanto il contenuto sia nullo, con il risultato di procurare solamente nervosismo.
L’opera è talmente piena di sé che non bada all’imbarazzo causato dal livello basso di recitazione e dall’effetto di essere trilingue (caratteristica naturalmente presente senza motivo): le sequenze recitate in italiano cacofonico si fanno fatica ad ascoltare; mancanze di questo tipo, e altre, non devono essere giustificate dal fatto di abbracciare uno stile preciso o un’identità. La scusante di voler realizzare qualcosa di alternativo diventa mero espediente per sfoggiare il solito stucchevole egocentrismo artistico, come se andare contro corrente sia automaticamente sinonimo di qualità alta, quando in realtà tutto si riduce alla personale affermazione, o almeno il tentativo.
Il duo registico è chiaramente legittimato a sposare una linea produttiva autoriale ben precisa, non è campato per aria il pensiero della netta volontà da parte loro di scatenare discussione, divisione e addirittura evitare di ottenere consenso da parte di certe realtà del settore. Avere intenzioni chiare e scegliere di percorrere una strada particolare è di base apprezzabile, ma da qui a definirla giusta è tutto un altro paio di maniche.