Articolo pubblicato il 20 Giugno 2025 da Vittorio Pigini
Sono passati più di 20 anni dall’uscita del primo capitolo della saga, e il regista Danny Boyle torna al cinema horror di infetti che ha devastato il Regno Unito. Sequel diretto del film del 2007 diretto da Juan Carlos Fresnadillo, con 28 anni dopo si tratta anche del ritorno sul grande schermo dell’autore britannico a 7 anni di distanza da Yesterday con Himesh Patel. Questo nuovo capitolo della saga horror-fantascientifica, con protagonisti anche Aaron Taylor-Johnson e Jodie Comer, accresce ed impreziosisce il materiale a disposizione della lore, preparando il terreno al continuo del franchise. Ecco di seguito la recensione di 28 anni dopo, uscito al cinema in Italia dal 19 giugno 2025.
La trama di 28 anni dopo, il nuovo film horror di Danny Boyle
Il regista premio Oscar per The Millionaire torna all’horror, quasi un quarto di secolo dopo il fortunato ed epocale film con protagonista un giovane Cillian Murphy. Il ritorno è anche quello di Alex Garland alla sceneggiatura in un film di Danny Boyle, dopo aver scritto non soltanto il film del 2002, ma anche Sunshine del 2007. Con l’Inghilterra in quarantena ed isolata dal mondo esterno, che invece è riuscito a debellare il virus della rabbia, la storia di 28 anni dopo è quella di una famiglia chiamata a sopravvivere in una piccola e pacifica comunità a Lindisfarne.
Il luogo è collegato alla terraferma grazie ad una strada sopraelevata, che si mostra nella bassa marea e sparisce durante l’alta marea. Jamie è un abile combattente e stimato membro della comunità, che sta crescendo il figlio Spike e cercando di badare alla moglie Isla, colpita quest’ultima da una malattia celebrativa. Raggiunta l’età di 12 anni, è arrivato il tempo per il piccolo Spike di scoprire la terraferma, con il rito di iniziazione che potrebbe essere più pericoloso del previsto, nonché fargli scoprire scomode verità.

La recensione di 28 anni dopo: gli “zombie” al cinema in continua mutazione
Pochi dubbi sul fatto che, lo zombie-movie al cinema, sia strettamente ed indissolubilmente legato al nome di George A. Romero. La sua personalissima saga apocalittica, inaugurata nel 1968 con La notte dei morti viventi, non ha “solo” regalato al grande schermo una nuova definita creatura dell’orrore, ma ha anche inciso un certo modo di realizzare cinema, il quale riuscisse a penetrare con forza nell’assetto sociale e politico. All’inizio degli anni ‘2000, tuttavia, la figura dello zombie sul grande schermo ha iniziato a conoscere una sensibile e radicale trasformazione, arrivando al cinema dei cosiddetti infetti.
Tra i più famosi di questo inizio di millennio si ricorda il remake di Zack Snyder del 2004, la saga di Rec e la commedia Shaun of the Dead (sebbene quest’ultima mantenga parte dello “spirito romeriano”). I titoli sono da qui proliferati ma, ad essere vero precursore di questa evoluzione, non può che essere il “rivoluzionario” 28 giorni dopo del britannico Danny Boyle. Al di là dell’accoglimento tra pubblico e critica (premio alla Miglior Fotografia agli EFA), il film segna un grande spartiacque non soltanto per lo zombie-movie, ma proprio per il cinema horror.
Un successo che portò inevitabilmente ad un sequel, 28 settimane dopo, diretto nel 2007 da Juan Carlos Fresnadillo. Nonostante il finale di quest’ultimo, che lasciava aperta la storia a nuovi sviluppi europei, la saga incontrò un brusco stop, fino all’uscita nel 2025 di questo nuovo 28 anni dopo. Danny Boyle, che ritrova in sede di sceneggiatura il fedele collaboratore Alex Garland, torna così a mettere mano alla sua creatura “scattante”, ancora una volta cercando di sorprendere. L’effetto sorpresa è infatti una delle caratteristiche più affascinanti del film, non soltanto per i continui dirottamenti effettuati durante la visione, ma per il concetto stesso che tiene in piedi un film dalle basi solide.
Il rispetto della vita in tempi di guerra
Si accennava poc’anzi all’abilità del film di saper spiazzare lo spettatore, magari in attesa di gustarsi una visione feroce e violenta, in linea con i precedenti capitoli della saga. Nonostante infatti il quadro politico sia sempre stato parte integrante dei 2 film sul virus della rabbia, a prendere il sopravvento nelle rispettive visioni è stato il “semplice” elemento survival. A rendersi molto evidente in 28 anni dopo, invece, è soprattutto il peso tematico nella mano di Alex Garland alla sceneggiatura. Si tratta di un periodo storico molto particolare, dove i tempi di guerra sono all’ordine del giorno ed hanno completamente travolto l’autore di Civil War, Warfare e questa nuova rappresentazione del citato “giorno del Giudizio”.
Si tende innanzitutto a sottolineare come, in 28 anni dopo, i riferimenti alla Brexit siano più che evidenti. Nonostante il finale del precedente capitolo, con gli infetti all’assedio della Torre Eiffel, gli autori mettono subito le cose in chiaro fin dall’incipit: il mondo è riuscito a debellare il virus, la Gran Bretagna no e viene emarginata in quarantena. Non solo l’Inghilterra torna nel Medioevo, ma all’interno della grande isola al nord della Manica la società è a sua volta frammentata. <<Se metti il piede sulla terraferma sei solo>> è uno degli avvertimenti rivolti al giovane protagonista, chiamato a diventare uomo prima del tempo. Oltre alle chiare ed evidenti frecciate alla Gran Bretagna nell’era della Brexit, 28 anni dopo è una sprezzante critica senza quartiere ai venti di guerra, assumendo connotati filosofici ed esistenzialisti in quello che resta a tutti gli effetti un viaggio di formazione.
Boyle e Garland hanno infatti la forza di lasciare da parte gli infetti, la componente più spiccatamente action-survival, per concentrarsi sulla missione personale di Spike. Quella del film è una lezione cinica e spietata da parte degli autori, mostrando come un bambino di 12 anni venga chiamato ad uccidere a sangue freddo quella che, fino a poco tempo fa, era un’altra persona. Disumanizzazione della guerra che trasforma un essere umano in un nemico da uccidere, alla stregua di una caccia sportiva, ed un innocente in un soldato costretto a lasciare a casa affetti e sentimenti. Poggiandosi sullo schema dell’horror apocalittico, 28 anni dopo riesce infatti a trasformarsi non soltanto in un romanzo di formazione per il giovane protagonista, ma proprio in un lirico racconto sul rispetto della vita (umana).
Non può essere sicuramente un caso che, in questi tempi oscuri e di conflitto, ad essere etichettato come un pazzo sia il personaggio del Dr. Kelson. Non soltanto un medico dunque, sottostante al giuramento di Ippocrate nel salvare vite umane, ma anche la voce più solenne del film, forse l’unico che riesce davvero a pesare il valore della vita umana. Memento Mori e Memento Amoris, diventare disumani per ritrovare l’umanità nel significato della morte e dell’amore che ci accomuna tutti. Il giovane Spike apprende la lezione del Dr. Kelson sulla propria pelle, curando e perdendo (mai del tutto) l’amore verso sua madre Isla, dal nome non propriamente casuale.
Ed è proprio nel finale che gli autori sferrano un ulteriore cambio di rotta, quello forse più inaspettato ed indigesto. 28 anni dopo si sarebbe potuto infatti concludere con la scelta, del giovane protagonista, di scoprire il mondo e lasciarsi alle spalle quella comunità arroccata su sé stessa. Un finale aperto che, soprattutto pesando le parole del personaggio interpretato da Ralph Fiennes, avrebbe avuto un sapore appunto lirico, politico e spirituale molto forte. Ecco invece arrivare un grottesco gruppo di sopravvissuti della terraferma, capitanati da quel Jimmy più volte evocato durante la visione. Anche in questo caso si possono notare accenni ad una critica politica nello stile dello stesso Garland, mostrando quelli che sembrerebbero essere giocatori di un circolo di golf, vestiti appariscenti, ricchi anelli e fanatici della “caccia all’infetto”. 28 anni dopo si spezza, lasciando aperto il tutto e sacrificando la sua alta e ricercata analisi alle logiche del mercato nel continuo della saga.
28 anni dopo: un primo tempo profondo e divertente
Un finale che non può dunque far storcere il naso, lasciando la visione ad un “primo tempo” amaro. 28 anni dopo (Parte Uno) continuerà infatti con The Bone Temple, girato in contemporanea al film di Danny Boyle e che vedrà alla regia Nia DaCosta (Candyman, The Marvels), trovando a questo un ulteriore sequel in lavorazione. 28 anni dopo è dunque l’inizio di una trilogia, con gli autori che in questo caso hanno ulteriormente fornito nuove frecce all’arco del franchise. I generici “infetti” iniziano a vedere un vero e proprio bestiario, tra Berserk, Alpha e Strisicani, ognuno con le proprie caratteristiche, punti di forza e punti deboli in stile videoludico.
Cinema e videogame, in un connubio che diventa sempre più forte anno dopo anno, arrivando anche ad influenzare i mezzi tecnici adottati. Da quest’ultimo punto di vista, si assiste in 28 anni dopo anche ad un’innovazione dello stile adottato per girare il film del 2002, questa volta adoperando principalmente l’iPhone 15 Max. Lo stile di ripresa, che rientra fedelmente nei canoni del cinema di Danny Boyle, offre immagini destabilizzanti, molto dinamiche ma non per questo con meno potenza immaginifica. In questo va inoltre riconosciuto un giusto equilibrio nel mix tra intrattenimento action ed approfondimento dei personaggi e del mondo di cui fanno parte. L’action-survival diverte, sebbene non sempre riesca a risultare credibile per via di inseguimenti non sempre gestiti adeguatamente nello spazio ed assalti rocamboleschi. Ma in questo si esalta l’anarchica regia di Boyle, capace di alternare spesso i registri adottati passando dal serrato thriller di sopravvivenza al dramma famigliare (e spirituale), senza sacrificare l’horror di infetti con una spiccata punta di ironia.
Si deve infine spendere qualche parola sul cast del film. Attendendo la crescita fisica e professionale del giovane Alfie Williams, il terzetto protagonista di 28 anni dopo sa lasciare il segno. Lo sfrontato e selvaggio Jamie di Aaron Taylor-Johnson ben si lega e bilancia con l’opposta Isla di Jodie Comer, fragile e confusa. A rubare completamente la scena, continuando a cavalcare un nuovo grande periodo di forma, è il Dr. Kelson di un sempre determinante Ralph Fiennes, riempiendo lo schermo non soltanto fisicamente. I tre maschi (non)Alpha torneranno in 28 Years Later: The Bone Temple.