Distribuito negli Stati Uniti direttamente sulla piattaforma digitale Peacock a partire dal 5 febbraio 2025, mentre in Italia nelle sale cinematografiche dal 27 febbraio dello stesso anno con una finestra in anteprima nazionale per il giorno di San Valentino, grazie a Universal Pictures. L’attrice australiana due volte premio Oscar Renée Zellweger (Judy) torna ad interpretare il personaggio, accompagnata dal ritorno di star del calibro di Hugh Grant (Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri) e Colin Firth (1917). Ma qual è il risultato di Bridget Jones – Un amore di ragazzo? Di seguito la trama e la recensione del sequel diretto da Michael Morris, con allegato il trailer ufficiale.
La trama di Bridget Jones – Un amore di ragazzo, il film di Michael Morris
Come per i film precedenti, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Helen Fielding, pubblicato nel 2013, ed è il quarto tassello della saga composto da: Il diario di Bridget Jones (2001); Che pasticcio Bridget Jones! (2004) e Bridget Jones’s Baby (2016). Ma di cosa parla quindi Bridget Jones – Un amore di ragazzo? Di seguito la trama ufficiale del lungometraggio prodotto da Miramax:
“Bridget è di nuovo sola, rimasta vedova quattro anni prima quando Mark è stato ucciso in una missione umanitaria in Sudan. Ora è una madre single, impegnata a crescere da sola Billy, di nove anni, e Mabel, di quattro, trovandosi in uno stato di limbo emotivo e affrontando la vita con l’aiuto dei suoi fedeli amici e persino del suo ex amante, Daniel Cleaver. Pressata dalla sua “Famiglia Urbana” ad intraprendere un nuovo percorso nella vita e nell’amore, Bridget torna a lavorare e prova persino a usare le app di incontri, dove presto viene corteggiata da un uomo più giovane e affascinante.”

La recensione di Bridget Jones – Un amore di ragazzo, con Hugh Grant
ATTENZIONE!!!! POSSIBILI SPOILER!!!!
Le pagine del diario di Bridget Jones questa volta si riempiono grazie ad una nuova parentesi della vita della protagonista, forte sì del suo bagaglio d’esperienze passate, ma mai preparata, come tutti, ad affrontare sfide e periodi tanto imprevisti quanto turbolenti, ritrovandosi ciclicamente punto e a capo. È prassi che la storia debba ricominciare con lei di nuovo sola sentimentalmente, questa volta non per una separazione dovuta ad incomprensioni o ad una troncatura consensuale, bensì all’azione violenta e improvvisa della morte, portando Bridget ad affrontare la vedovanza in un periodo anagrafico per così dire di transizione, in cui ancora non si è affatto troppo in là con l’età, né però si possa fare finta che le primavere non siano passate.
Chiunque abbia già letto il romanzo da cui questo film è tratto o avesse già avuto modo di approcciare il materiale promozionale saprebbe che tra i vari argomenti presenti all’interno della narrazione si tocchi quello della differenza d’età, in favore della donna, in una relazione, una sorta di tabù sociale ancora molto radicato nelle varie società del mondo, su tutti i livelli (o quasi). Ebbene, con uno stratagemma ai limiti del disonesto, tale tematica viene sviluppata seguendo una linea di pensiero conservatrice, secondo cui tale tabù citato pocanzi abbia in realtà ragione d’esistere, dimostrandosi così falsamente progressista o fintamente moderno, avvalorando di fatto quelle regole sociali non scritte, stabilite da non si sa chi e non si sa quando, su cui si è sempre poggiato l’ordine costituito.
Un’occasione persa che fa il paio con la morale di fondo, indiretta e non dichiarata per ovvi motivi, dove alla fine se una donna non ha a fianco un uomo non è realizzata del tutto, un vuoto necessariamente da colmare non appena le circostanze della vita portino a tale mancanza. Il ricominciare a vivere, sotto ogni punto di vista, è sacrosanto per chiunque, ma non deve essere un’azione telecomandata o preimpostata dall’esterno, al contrario andrebbe messa in scena costruendo dei rapporti umani sinceri e concreti, aspetto quasi totalmente assente nella pellicola, come del resto anche nelle precedenti. All’interno di oltre centoventi minuti di durata (ingiustificati), lo schermo viene riempito di tutti i personaggi facenti parte dell’ormai ex trilogia, ognuno ridotto a parodia di sé stesso e chiamato in causa per svolgere il compito di produrre il solito stucchevole e pedante effetto nostalgia, senza sostanzialmente mai aggiungere alcunché rispetto al passato.
In più, a macchia di leopardo vengono inseriti, in un contesto colmo delle prevedibili battute sboccate, frammenti strappalacrime rendendo l’atmosfera improvvisamente seria e riflessiva, senza quella coerenza fondamentale che le circostanze avrebbero meritato. Tornado da dove la recensione è iniziata, punto e a capo ci si ritrova in mano un sequel fuori tempo massimo da buttare nel calderone delle operazioni mancate, dei prodotti senza idee (e se poche sono confuse) e delle intenzioni apparentemente innovative, rinchiuse però nel recinto dell’ambiguità, dove sembra cambi tutto ma in realtà ogni cosa rimane così com’è.