Articolo pubblicato il 17 Gennaio 2025 da Giovanni Urgnani
Presentato in anteprima internazionale alla diciannovesima edizione del Festival del Cinema di Roma, sezione Proiezioni speciali e distribuito nelle sale cinematografiche italiane come evento speciale nei giorni 20-21-22 e 27 gennaio 2025, grazie al contributo di Lucky Red. Il documentario sulla Senatrice a vita Liliana Segre è diretto da Ruggero Gabbai e vede la partecipazione anche dei figli della donna sopravvissuta al campo si sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Ma qual è il risultato di Liliana? Di seguito la sinossi e la recensione del film prodotto da Rai Cinema.
La sinossi di Liliana, il documentario di Ruggero Gabbai
Alla realizzazione del lungometraggio hanno collaborato anche: Forma International, Goren Monti Ferrari Foundation e Fondazione Museo della Shoah, con il patrocinio del Comune di Milano. Ma di cosa parla quindi Liliana? Di seguito la sinossi ufficiale del film diretto da Ruggero Gabbai:
“Nata a Milano il 10 settembre 1930 da Alberto Segre e Lucia Foligno, per il fatto di essere ebrea, nel 1938 Liliana Segre si ritrova espulsa dalla scuola elementare a causa delle leggi razziali (o “razziste”, nelle sue parole). Rimasta orfana di madre nei primi mesi di vita, dopo aver affrontato da sola le prigioni di Varese e Como, è arrestata col padre nel 1943 e con lui entra in quella di San Vittore a Milano. Il 30 gennaio del 1944 da lì, passando per la Stazione Centrale, sono condotti al famigerato binario 21 e caricati sul vagone merci che li porta ad Auschwitz-Birkenau. Lì, il padre e i nonni paterni vengono bruciati nei forni, mentre lei riesce a sopravvivere al freddo e alla fame e a fuggire dal campo a piedi, come in un esodo.”

La recensione di Liliana, presentato al Festival di Roma 2024
Che siano decimali o in stelle, le recensioni, di qualsiasi tipo, in qualsiasi situazione, sono sempre più una questione di numeri. In un caso come questo però, chi scrive non nasconde il senso di profondo disagio nel concludere la sua recensione con il consueto “numero” alla fine. Quando si ascoltano testimonianze come quelle della Senatrice a vita Liliana Segre il senso di consuetudine viene un po’ a mancare, riflettendo in particolar modo su quanto per una sopravvissuta come lei coi numeri ci sia un rapporto che dire particolare è puro eufemismo.
Ci si sente fuori luogo, se non addirittura indiscreti a sintetizzare appunto con un numero il racconto della sua storia, un gesto che istintivamente dà la sensazione di cadere nella mancanza di rispetto, una mancanza di tatto e sensibilità. Una considerazione di questo tipo potrebbe suonare stridente, dato che la cinematografia è ricca di opere legate alla tragedia della Shoah, ma non è mai la stessa cosa quando dinanzi agli occhi, su schermo, parla la persona reale che veramente ha vissuto; non è un’attrice che sta recitando un copione scritto da altri, non è una ricostruzione tramite messa in scena.
Ma superato questa sorta di dubbio emotivo, pressoché naturale e legittimo, si cerca di adempiere al proprio dovere rendendosi conto, comunque, di aver a che fare con un prodotto audiovisivo, coi suoi “perché” e “percome”, coi suoi “ma” e “però”. Il documentario di Ruggero Gabbai decide di mettere in scena due Liliane: una che racconta la drammatica esperienza della deportazione e della permanenza al campo di sterminio di Auschwitz, all’età di tredici anni; un’altra invece che confida il vissuto successivo, lo stato d’animo di una donna che è riuscita a tornare a casa e chi è diventata nel corso degli anni.
La prima versione è affidata al materiale d’archivio preesistente, mentre la seconda utilizza il girato inedito per l’occasione, riflettendo principalmente sulla forza della testimonianza, su quanto sia stata un fattore determinante per uscire da un oblio oscuro, un faro nella notte in primis per lei stessa e solo successivamente anche per le platee in ascolto. Il carattere del documentario rispecchia il modo di fare della sua protagonista: semplice, lineare, colmo di normalità, ma che allo stesso tempo è in grado di essere efficace e diretto nei momenti di riflessione, di dramma e di raccoglimento rispetto non solo alla rievocazione del passato ma anche allo stato del presente.
Semplicità trasmessa anche dai suoi più stretti affetti familiari coinvolti, dove i figli sono a loro volta testimoni di un punto di vista altrettanto importante, forse sarebbe stato più opportuno allargare lo spazio dedicato alla componente familiare, tagliando alcune partecipazioni di rilievo mediatico, a conti fatti non incisive se non addirittura superflue. Il lungometraggio in questione ha tra i principali obiettivi la salvaguardia della memoria e, come detto sopra, della testimonianza, ci si affida alla longevità del cinema per proseguire anche quando purtroppo, prima o poi, non si potrà più sentire la voce di Liliana provenire direttamente da lei, anche quando avrà definitivamente compiuto il suo destino, autodefinitosi uno strano destino.