Articolo pubblicato il 12 Gennaio 2025 da Vittorio Pigini
Perché, nel film Nosferatu di Robert Eggers, una donna nuda in sella ad un cavallo bianco viene accompagnata durante la caccia al vampiro? Perché Friedrich ed Anna Harding cadono sotto gli effetti della peste mentre, le loro due figlie, vengono invece uccise direttamente da Orlok che si nutre di loro? Perché, al termine del film, il Nosferatu non si dissolve alle luci dell’alba come nel film originale di Murnau?
Queste sono solo alcune delle curiosità che potrebbero venire in mente alla visione dell’ultimo film scritto e diretto da Robert Eggers, autore particolarmente chiacchierato negli ultimi anni specialmente nel cinema dell’orrore. Il regista di The Witch, infatti, tra le altre cose è anche particolarmente noto per la maniacale ricercatezza storica che plasma la fase di pre-produzione dei suoi film. Anche questa nuova versione del Nosferatu di F. W. Murnau del 1922 non sfugge da un grande lavoro di archivio, nel quale l’autore è andato a ricercare le fondamenta folkloristiche del mito del vampiro. Ma come nasce quest’affascinante figura e come si è evoluta nel corso della storia?
Nosferatu: il Conte Orlok come moderno strigoi
Il cinema rappresenterebbe oggi forse la forma d’arte più completa ed universale, volta principalmente a rappresentare la storia dell’umanità, sia essa passata, presente, o futura. Al di là di prese di posizioni autoriali e politiche sui rispettivi film, il cinema non può esimersi in tale contesto nel cercare di tener vivo il sentore della tradizione, incarnando su schermo la rappresentazione di miti e leggende che diventano così tangibili. Un fine sempre rincorso da Robert Eggers nei suoi film e, dopo le vicende della famiglia puritana del New England, i racconti marinareschi ed i miti norreni, con Nosferatu è arrivato il tempo di tenere vivo anche il folklore est-europeo.
La prima considerazione, che si vuole attuare in questa sede, sta proprio nel volersi soffermare sull’effettiva rappresentazione del Conte Orlok nel film di Robert Eggers. Tanto nell’aspetto estetico quanto soprattutto nel modo di porsi, la creatura fuggirebbe dall’immaginario del vampiro ormai standardizzato nel mondo moderno di letteratura ed audiovisivo, venendo invece ricollegato alla forma più primordiale del c.d. “strigoi”. Nei paragrafi successivi si tenterà di approfondire la nascita e l’evoluzione della figura del vampiro nella storia, arrivando anche alla nostra attualità, ma in questo momento si sottolinea come la ricerca storicistica della pre-produzione del film abbia riguardato specificatamente il folklore est-europeo.
Anche dopo l’avvento del Cristianesimo, infatti, i popoli slavi hanno mantenuto alcune delle credenze derivanti da quella che viene definita “vecchia religione”, soprattutto in merito al culto degli antenati. Stando anche a quanto raccolto da scrittori e commentatori pre-cristiani, tali popolazioni credevano infatti ciecamente nella netta separazione tra corpo ed anima. Alla morte di un parente, infatti, usanza fu quella di lasciare aperta una finestra della propria casa, permettendo allo spirito di poter entrare ed uscire (Ellen invita la creatura ad entrare proprio dalla finestra della sua camera, con tale aspetto già presente nel Nosferatu di Murnau). Questa convinzione, nell’esistenza di un’entità fuori dal corpo e capace di manifestarsi, ha portato tali popolazioni a credere come tali spiriti possano essere necessariamente o benigni o maligni.
Tra questi ultimi rientrerebbe appunto la figura dello strigoi, o meglio dello “strigoi mort” della mitologia rumena ed in generale dell’Europa dell’est. Il termine deriva da quello latino “strix”, uccello rapace, identificando così creature volanti, cacciatrici e notturne. Nel corso dei secoli, il nome ha acquisito diverse storpiature a seconda ovviamente del periodo storico e degli usi/costumi della popolazione, arrivando così al termine di “strega”, di “strige” e molte altre. Già in epoca romana, proprio la “striga” fu un animale volante e notturno di cattivo auspicio che, successivamente, si trasformò in un’entità notturna in cerca di carne, in particolare quella dei neonati.
Nei popoli dell’est Europa si mantenne gran parte di questa tradizione, arrivando allo “strigoi” rumeno specialmente per la vicinanza con il verbo “urlare”. Ma come accennato, la figura dello strigoi di questa tradizione folkloristica assume diverse forme. A seconda che sia donna o uomo, esistono infatti la Strigoaică (strega) e lo Strigoi viu (stregone), indicando come si tratti in questo caso di persone ancora in vita che scelgono, attraverso un patto demoniaco, di vendere la propria anima in cambio di un’altra (proveniente dalla magia nera) che possa conferire loro poteri magici. La terza forma dello strigoi è invece lo Strigoi mort e, in questo caso, si fa riferimento proprio ad uno spirito malvagio e vendicativo solito prendere possesso del corpo di un defunto in decomposizione.
Come documentato nei secoli, esistevano anche degli indizi per poter scoprire se un corpo sarebbe stato posseduto da uno Strigoi mort: la vittima è morta per la maledizione di una strega; essere il settimo nato in una famiglia con sette figli o sette figlie dello stesso sesso; morire prima del matrimonio, per suicidio, o per morte violenta (in particolare in seguito a piaghe, ma ci ritorneremo). Proprio tale possibilità, ovvero quella di individuare il corpo sepolto che potrebbe venire posseduto o essere già posseduto da uno strigoi, portò queste popolazioni ad attuare veri e propri riti (anche preventivi) per esorcizzare lo spirito. Più avanti si approfondirà meglio questo aspetto, facendo riferimento anche a come tali pratiche siano tutt’oggi presenti e come Robert Eggers si sia ispirato anche ad un fatto reale avvenuto nel 2003.
In questa sede ci si sofferma sulla descrizione di questa “ricerca”: proprio come mostrato nel film Nosferatu, il popolo alla caccia dello spirito malvagio faceva salire in sella ad un cavallo bianco un bambino o una vergine (rappresentando così la vera purezza), con l’animale che si sarebbe poi fermato a ridosso della tomba incriminata e con il rituale che poteva essere inaugurato distruggendo il corpo posseduto o che verrà posseduto dallo strigoi. Rimanendo in merito al quarto film scritto e diretto da Robert Eggers, l’attaccamento alla figura folkloristica dello Strigoi mort è rintracciabile soprattutto nel finale stesso di Nosferatu. La visione “commerciale”, o comunque moderna del vampiro, figlia della letteratura e dei prodotti dell’audiovisivo, ha creato nel grande pubblico la convinzione che tale figura si sciolga o si dissolva nel nulla alla vista del Sole, o che possa esplodere per via di un paletto di legno. Proprio nel finale del film, il Nosferatu di Eggers mostra come sia proprio lo spirito malvagio ad essere sconfitto alla vista del sole, abbandonando il corpo decomposto di Orlok sul letto.
Una sottigliezza questa non da poco, con Nosferatu nuovamente come moderno strigoi (e non tanto come moderno vampiro) che colpisce anche sotto altri e diversi aspetti. Oltre al discorso più meramente estetico (a cui si arriverà più avanti), il mostro Orlok incarna in questo caso il Male puro, una vera e propria creatura bestiale. Come accennato, la tradizione slava dello strigoi mantenne molto dell’eredità specialmente romana, soprattutto nell’idea della striga come entità cacciatrice di carne di neonati e bambini, anche quelli non ancora nati e prendendo di mira le donne incinte. Quella che normalmente veniva tramandata come storiella per spaventare i bambini, avvicinandosi così all’Uomo Nero, a Baba Jaga e molte altre figure folkloristiche alle quali si arriverà al prossimo paragrafo, viene usata da Eggers per dare vita alla bestia.
Tale aspetto potrebbe infatti essere sottilmente identificabile nel film come un “easter-egg”, nel momento in cui Orlok si sazia delle figlie della famiglia Harding. Quello tratteggiato da Eggers diviene così uno spirito maligno mosso da istinti bestiali, primordiali, da animale predatore più che mosso dal “romantico” sentore e della bramosia del sangue in sé. Oltre infatti ad elementi riguardanti la sfera del sesso, necessari per portare avanti anche un certo tipo di analisi tematica del film, peculiare in Nosferatu è anche il suo modo di saziarsi. Il collo viene morso per uccidere mentre, per risucchiare forza ed alimentarsi, lo spirito si nutre direttamente attraverso il cuore della vittima. Lo Strigoi mort, infatti, non è una figura assetata di sangue, o meglio non direttamente.
Lo spirito, entità separata dal corpo, non se ne farebbe nulla di un sangue “terreno”, essendo invece particolarmente assetato di energia vitale, risucchiando la forza dello spirito dalle sue vittime. La storia religiosa, mistica e dell’occulto dell’uomo, tuttavia, ha sempre accomunato il sangue all’energia vitale. Un patto di sangue, un sacrificio di sangue per gli dei, il legame sanguigno, persino la religione cristiana porta a “bere” il sangue di Cristo, oltre al fascino estetico acquisito nel campo della letteratura ed ora del cinema. Il sangue diviene così metafora della vita, con Eggers non contento che vuole specificare di essere sceso a questo “compromesso” attraverso i suoi personaggi, con lo stesso Knock pronto ad affermare che <<il sangue è vita>>.
Per questi e molti altri aspetti, in tale operazione Nosferatu si distaccherebbe dalla classica figura del vampiro rappresentato su schermo in oltre un secolo di storia, sebbene ovviamente non siano mancati altri esempi più vicini alla tradizione dello strigoi. La figura mitologica interpretata qui da Bill Skarsgard è dunque figlia della superstizione, che si evolve a seconda del periodo storico e della sensibilità sociale e politica di un popolo. Ciò rende la creatura di tale credenza irreale? A tale domanda potrebbe instaurarsi un dibattito praticamente infinito, con lo stesso Eggers che, in un certo senso, offrirebbe risposta a tale quesito.
Nei suoi film la “superstizione” si concretizza e diviene assolutamente reale, forse nella mente dei suoi protagonisti, ma sempre reale e capace di condizionare concretamente le proprie scelte. Allo stesso modo il credo religioso, la magia e l’occulto sono inevitabilmente reali finché ci sarà qualcuno pronto a crederci, non incorrendo in puerili prese di posizione su una fantomatica “arretratezza intellettuale”. Senza scivolare in un discorso storico ed antropologico del genere, si vuole giusto sottolineare in questa sede come, la credenza dello strigoi e di questo folklore di magia nera, non sia una materia persa nei secoli ma molto più attuale di quanto non si pensi.

Nosferatu: lo strigoi e la tradizione del vampirismo
Lo stesso Strigoi mort est europeo non sarebbe altro che frutto di una continua evoluzione della figura “vampirica” nel corso della storia, con la prima di queste creature della notte che potrebbe arrivare addirittura da oltre 4000 anni fa. Recentemente è stato infatti rinvenuto un sito archeologico molto particolare in Mikulovice, Repubblica Ceca, per i resti di una necropoli appartenente all’Età del Bronzo. Tutte le tracce dei corpi recuperate permetterebbero, infatti, di individuare un preciso stile di sepoltura per i defunti di questa comunità, ma uno in particolare ha fatto molto parlare di sé. Tutti i corpi vengono posizionati sul fianco, verso Sud, ma uno solo di questi non solo viene sepolto verso Nord, ma il corpo presenterebbe inoltre una grande pietra posta sul petto.
Oltre all’intenzione da parte della comunità di emarginare il defunto, gli archeologi sembrerebbero essere unanimi nell’affermare che quella stessa comunità avesse paura che tale persona potesse uscire dalla propria tomba. Nel corso dei secoli si è assistito al fatto che tale pratica non fu decisamente rara, con i riti di sepoltura che a volte prevedevano di porre pietre su testa, petto e piedi a cadaveri identificati come futuri vampiri, o comunque a rischio di possessione demoniaca. Più passavano i secoli e più questi riti d’esorcismo tendevano a modificarsi, arrivando ai resti di cadaveri decapitati, arsi, con una pietra nella bocca, o altri riti speciali volti appunto a scacciare lo spirito maledetto dal corpo. Come accennato tuttavia nel precedente capitolo, lo Strigoi mort è solo una delle denominazioni acquisite dalla figura dello strigoi come spirito notturno.
Oltre allo Strigoi Viu (ovvero l’uomo in vita che esercita necromanzia ed arti oscure), ci sarebbe però da soffermarsi in questa sede sulla figura della Strigoica, per un’associazione “scientifica” che tenderebbe ad avvicinarsi alla visione del Nosferatu di Robert Eggers. Stando a quanto riferito in precedenza, la figura dello strigoi deriva principalmente dalla strige dell’antica Roma (strix in latino), andando nei secoli ad identificare una serie di creature notturne con il generico termine di “strega”, rigorosamente al femminile sotto il potere culturale della Chiesa. Un’associazione questa, strega-donna-creatura notturna, già identificabile nella Lamia dell’antica Grecia: regina della Libia della quale si innamorò Zeus e che portò la gelosa Era ad uccidere i suoi figli, trasformandola inoltre in una creatura mostruosa e con Lamia in cerca di vendetta nell’uccidere i figli altrui. Tuttavia, lo stesso personaggio mitologico sembrerebbe essere stato frutto di traduzione da parte di Geronimo di Cardia del nome Lilith, figura protagonista delle antiche religioni mesopotamiche e che Orazio identificò in epoca romana appunto come una strega che rapisce i bambini.
Si instaurerebbe in tal modo una trattazione mitologica assai ampia ed articolata. Basti tenere a mente in questa sede che il Nosferatu di Eggers si mostri come uno strigoi della tradizione est europea, con il termine che deriva a sua volta dall’epoca Classica e che venne storpiato anche verso l’iconografia della strega. Quest’ultima è poi identificabile a sua volta in molte altre figure, le quali vengono raggruppate sotto il periodo di dominio culturale ecclesiastico nel generico termine di “strega” femminile. Ma rimanendo in elementi di vicinanza con il film del regista di The Witch, importante è ancora una volta la vicinanza con l’iconografia di Lilith e delle lamie, nome poi utilizzato al plurale per identificare figure femminili rapitrici di bambini, oppure fantasmi seduttori che si nutrono del sangue dei giovani uomini adescati.
La particolarità, al quale si vuole fare qui riferimento, riguarda 2 principali aspetti che verrebbero accorpati in un’unica soluzione concettuale: il fatto che Orlok si nutra delle vittime direttamente dal cuore e l’aspetto del sonnambulismo di Ellen, determinante anche nel Nosferatu di Murnau. Anche in questo caso si darebbe il via ad una trattazione tanto affascinante quanto estremamente articolata, riducendo per ovvie ragioni al fatto che la mitologia figlia della figura di Lilith sia stata poi trasferita all’iconografia dell’Incubo. Sempre nella tradizione romana, l’incubo (dal latino incubare, “giacere sopra”) rappresenta un demone che il Somnium Scipionis di Macrobio identifica come un fantasma che entrava nella mente del malcapitato nel momento di passaggio tra il sonno e il dormiveglia. L’Incubo porta così a soffocare la vittima, a risucchiare la sua energia vitale, proprio come nel caso dello strigoi. Una delle illustrazioni più emblematiche della creatura resta ancora oggi L’Incubo di Johann Heinrich Füssli e, proprio questa associazione tra peso sul petto e risucchio dell’energia vitale, porta l’Orlok di Eggers a nutrirsi non dal collo come un normale vampiro moderno, ma proprio dal petto, dal cuore.
Non solo. Se l’Incubo è associato ad un demone maschile, il Succubo è la sua controparte femminile. Proprio come le lamie (e quindi Lilith, e quindi l’iconografia della strega), le succubi seducono uomini e donne con l’intento di avere rapporti sessuali e sottomettere le vittime alla loro volontà (essere “succube”, “sottomesso”). Non a caso, la strega di The Witch seduce il giovane Caleb quando inizia a nutrire pulsioni sessuali nei confronti della sorella. Ad ogni modo, con Incubo e Succubo si identifica uno spirito che infesta il sonno della vittima, soprattutto aggiungendo una marcata sottomissione sessuale (sempre sotto la Chiesa ad esempio le succubi erano utilizzate per spiegare le erezioni notturne degli adolescenti).
Nel caso di disturbi come il sonnambulismo o paralisi del sonno, la mente umana può generare esperienze sensoriali apparentemente vivide e, più la mente della persona è fragile più le proiezioni sono sempre più forti e reali. Se è stato detto che Orlok rappresenti uno strigoi e che quindi fa parte di quella famiglia di spiriti notturni che arrivano anche ad infestare il sonno della vittima, dall’altra parte vi è Ellen, afflitta anche dichiaratamente nel film da malinconia. Ritrovando il personaggio anche pittoricamente nell’olio su tela Malinconia di Francesco Hayez, in psicologia questo sentimento viene ritenuto un’alterazione dell’umore riscontrabile nelle sindromi depressive. Quello melanconico è per gli antichi greci uno dei 4 “umori” (dottrina dei quattro temperamenti) assieme a quello flegmatico, quello sanguigno e quello collerico, identificando degli squilibri e non una vera e propria malattia.
Tali “umori” venivano inoltre anche associati al mutamento delle stagioni, con la malinconia che veniva abbinata al clima freddo e secco, all’autunno (nella prima parte del film di Robert Eggers, Ellen rimprovera a Thomas di “aver fatto appassire i suoi fiori”), oltre che ai colori nero e blu (il lavoro cromatico effettuato sul film). Evitando di inabissarsi nella descrizione accurata della Malinconia nella storia, nell’Arte e nella psicologica, si vuole giusto sottolineare come Robert Eggers abbia lavorato con dedizione con l’attrice Lily-Rose Depp anche per restituire su schermo un personaggio affetto da tale squilibrio. Tale interpretazione dell’attrice protagonista, infatti, non solo si legherebbe da un punto di vista artistico alle prove esasperate della tradizione del cinema espressionista, ma porta in scena un personaggio di per sé perfetto per essere vittima dell’Incubo, dello strigoi.
Il cinema di Robert Eggers è infatti la perfetta rappresentazione di come la superstizione diventi realtà, anche solo all’interno della mente del protagonista di turno, portando inevitabilmente a ragionamenti che intrecciano il campo scientifico a quello della fantasia e dell’occulto. Nonostante il personaggio interpretato da Willem Dafoe sia naturalmente vicino al Van Helsing letterario, l’eccentrico Von Franz rappresenta infatti un medico erudito ostracizzato dalla comunità scientifica a causa della sua ossessione per l’occulto. Una figura che potrebbe essere rintracciabile nella storia a quella di Franz Hartmann: medico, geomante ed occultista tedesco della seconda metà dell’800. Tra le sue opere principali, infatti, salta all’occhio Occult Science in Medicine, con l’obiettivo di sensibilizzare medici e studenti di medicina sulle preziose conoscenze mediche del passato che sono state ignorate e catalogate come occulte.
Un testo sicuramente affascinante per gli addetti ai lavori, nel quale viene anche sottolineato come, tra le cause della malattia, rientrerebbe anche la Ens spirituale, ovvero che le malattie possano essere causate anche dallo spirito, riconoscendogli così effettivo peso scientifico. Ma un’altra particolarità collega Franz Hartmann al Von Franz (Franz?) di Willem Dafoe. Oltre ad essere un membro della Massoneria, l’occultista tedesco sembrerebbe essere stato uno dei fondatori dell’ordine Ordo Templi Orientis, organizzazione religiosa iniziatica internazionale nata tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Lo scopo principale di tale Ordine è quello di attuare e promuovere dottrine e pratiche del sistema religioso e filosofico conosciuto come Thelema, con la prima legge che cita “Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge”.
I thelemiti (e quindi Franz Hartmann e quindi il Von Franz di Willem Dafoe) tengono a bada i piccoli desideri per inseguire la loro più “autentica volontà”, praticando atti e riti volti a risvegliare lo spirito per conservare la propria volontà spirituale. Una descrizione cabalistica che si presterebbe perfettamente alla pratica dell’esorcismo, liberando corpo e spirito di una persona sottomessa alla volontà di un’entità maligna, proprio come il personaggio di Willem Dafoe cerca di attuare nei confronti di Ellen.

Nosferatu: l’evoluzione dello strigoi nell’Europa dell’Est
Fino ad ora è stato affrontato il fatto di come il Conte Orlok, messo in scena da Robert Eggers nel suo film, si avvicini maggiormente alla figura dello strigoi est europeo, più che a quella del vampiro c.d. moderno. Successivamente, si è voluto approfondire le origini antiche e classiche del termine, per arrivare infine al cuore della filmografia dello stesso regista, ovvero a quello stretto legame tra superstizione e scienza, tra reale e fantasia.
Ora occorre tuttavia soffermarsi sull’elefante nella stanza, ovvero il focus della tradizione letteraria, artistica e storicistica dell’Europa dell’est che ha plasmato quell’immagine del vampiro conosciuto oggi nel XXI secolo. Il periodo storico del Medioevo fu una vera prolificazione dei racconti su vampiri ed in generale di morti viventi e/o demoni della notte. Guglielmo di Newburgh fu in tal senso uno dei pochi e quindi più importanti cronisti del XII secolo, autore di numerose opere volte a raccogliere miti e leggende inglesi dell’epoca. Quello che venne anche indicato come “padre della critica storica”, scrisse infatti un’opera fondamentale come Historia rerum Anglicarum, nella quale raccolse testimonianze sulla storia dell’Inghilterra dal 1066 al 1198. Più che soffermarsi sul contenuto in sé dell’opera, che raccoglie affascinanti storie come quella dei Bambini di Woolpit, si vuole precisare come tali racconti coincidano poi con il folklore sviluppatosi successivamente nell’Europa dell’est secoli dopo.
300 anni dopo Guglielmo di Newburgh, proprio nella parte orientale del vecchio continente iniziò infatti a diffondersi il mito di un certo Vlad III di Valacchia. Anche conosciuto come Vlad l’Impalatore, il principe è infatti la primaria fonte d’ispirazione per il Conte protagonista del romanzo di Bram Stoker. Rinviando in altra sede un’accurata biografia sul personaggio storico, preme qui focalizzarsi sul perché Vlad l’Impalatore abbia fortemente contribuito a diffondere il mito del vampiro in Europa. Come ipotizzabile, Vlad III è figlio di Vlad II, il quale viene chiamato “Dracul” perché membro dell’Ordine del Drago, ovvero un ordine cavalleresco del Sacro Romano Impero Germanico per contrastare il potere dell’Impero ottomano. L’Impalatore viene così chiamato Drăculea, ovvero “figlio del Drago”; tuttavia, la figura mitologia del Drago (inteso come lo conosciamo magari oggi come bestia alata o meno che sputa fuoco) non era propriamente presente nella tradizione rumena, con il mostro quasi sempre associato sotto influenza cattolica al Drago dell’Apocalisse, a Satana.
Di conseguenza Vlad III, anzi Dracula, veniva maggiormente associato a “figlio del Diavolo”, ma anche lo stesso appellativo “l’Impalatore” certifica la natura sanguinaria di questo personaggio storico. È stato infatti calcolato come il principe di Valacchia abbia messo a morte più di 100 mila persone ma che inoltre, secondo i racconti dell’epoca, fu anche appassionato ad altri metodi di tortura e che fu solito bere il sangue delle vittime, o inzupparvici il pane. Oltre alle storie più o meno folkloristiche raccolte sulla carriera politica e sulla vita privata del personaggio, anche quelle raccolte sulla sua morte non possono passare inosservate. La morte di Vlad III e la sua sepoltura restano ancora oggi un grande mistero: la tesi che va per la maggiore lo vedrebbe morto in battaglia, ma sono molte le storie sul suo conto sulla sua decapitazione, sulla morte avvenuta per il morso di un pipistrello e che sia stato arso vivo.
Tutt’oggi Vlad III non avrebbe una tomba ufficiale, con i suoi resti andati persi nel corso della storia e con molte teorie a riguardo. Corpo a parte, il nome di Vlad l’Impalatore ha continuato a diffondersi nel corso dei secoli come un’ombra, evocato più volte anche e soprattutto a livello politico specialmente per la sua campagna militare che, in Romania, lo ha reso un vero e proprio eroe nazionale. Secoli prima di Bram Stoker si sta diffondendo quindi in Europa la storia del “figlio del Diavolo”, solito bere il sangue delle sue innumerevoli vittime e che sia sfuggito alla morte, nonostante abbiano provato ad eliminarlo con i classici riti attuati contro i demoni della notte. Vlad III è dunque il punto di riferimento principale del vampiro moderno, figlio appunto del Dracula di Bram Stoker e con lo stesso Robert Eggers che fa sua questa associazione nel preciso e maniacale character design del Conte Orlok di Bill Skarsgard.
Ma se L’Impalatore resta ancora oggi il più famoso vampiro della storia, è anche vero che non rappresenta l’unico punto di riferimento. Giusto 100 anni dopo l’ascesa di Vlad III, nel 1560 nasce in Ungheria Erzsébet Báthory, quella che verrà poi conosciuta come la “Contessa Sanguinaria”. Per quanto riguarda la sua incisività nella cultura popolare, il personaggio è infatti l’antagonista principale del romanzo Undead – Gli immortali, scritto da Dacre Stoker (pronipote del celebre autore irlandese) nonché primo sequel ufficiale di Dracula. Inoltre, Erzsébet Báthory è stata presente anche in molte opere cinematografiche e non, con Lady Gaga che interpreta La Contessa nella quinta stagione di American Horror Story e dove il personaggio sembrerebbe essere anche dichiaratamente ispirato alla nobildonna ungherese.
Ma perché Erzsébet Báthory è diventato un personaggio protagonista del folklore sui vampiri? Si sta infatti parlando di quella che verrà definita una delle serial killer più prolifiche della storia, per un personaggio sadico che – stando a quanto riportato dalle fonti dell’epoca – sarebbe autrice di oltre 300 delitti. Nonostante sia nata in un villaggio a nord-est dell’Ungheria, passa la sua infanzia ed adolescenza nella proprietà della sua famiglia in Transilvania, mostrando segni di squilibrio psichico già da bambina. Per occupare le giornate in cui il marito fu lontano da casa e come riportato dalle testimonianze epistolari scritte di suo pugno, grazie alla sua vicinanza alla zia Erzsébet si avvicinò molto alla magia nera, praticando orge e conoscendo la strega Dorothea Szentes. Una volta salita al potere, la nobildonna fu poi particolarmente sadica e spietata principalmente nei confronti di serve e contadini, tanto da praticare rituali esoterici sfruttando le proprie vittime.
Stando a quanto riportato, infatti, durante una delle torture il sangue di una domestica andò a finire sulla mano di Erzsébet, la quale iniziò a credere che proprio in quel punto la pelle fosse ringiovanita. Pur di accontentare le idee della Contessa, gli alchimisti diedero lei ragione su tale pensiero e la nobildonna iniziò a far costruire macchinari volti a raccogliere il sangue della gente torturata, per poi berlo, produrre unguenti e/o farci un bagno. Per quanto la figura di Erzsébet Báthory resti ancora oggi molto misteriosa sotto diversi aspetti, non si placò nei secoli la leggenda della Contessa Sanguinaria: sadica e spietata donna aristocratica che, oltre alla magia nera, fu solita torturare le sue vittime per poterne bere il sangue per ottenere l’eterna giovinezza.
Soprattutto in questo periodo storico e nel territorio orientale del vecchio continente, non mancarono quindi personaggi famosi dell’epoca visti come creature demoniache, veri e propri vampiri. Urge precisare, inoltre, come l’astio e l’intenzione di descrivere tali personaggi in queste vesti derivò anche da motivi politici, con miti e leggende che si tramandarono già dalle sale del potere. Uscendo da tali ambienti nobili, occorrerà attendere il 1600 per arrivare al primo vampiro “documentato” della storia. Trattasi di Jure Grando Alilović, contadino istriano morto nel 1656 ma che venne avvistato girovagare nel suo villaggio nei 16 anni successivi la sua sepoltura. Secondo i racconti, infatti, Jure Grando fu solito vagare per il villaggio con il cadavere di una pecora e di un gatto sulle spalle, torturando gli abitanti e molestando le donne.
Indicato come strigoi, venne formata una squadra guidata dal parroco del villaggio per disseppellire la tomba di Jure Grando e per piantargli un paletto di biancospino nel cuore del defunto. All’apertura della bara, tuttavia, il corpo si mosse, rendendo difficile compiere l’atto ma, alla fine, Jure Grando venne decapitato e la piaga sul villaggio cessò. La storia venne trascritta dallo scienziato e scrittore austriaco Johann Weichard von Valvasor nel suo libro Die Ehre des Hertzogthums Crain, rappresentando così la prima documentazione di un vampiro in Età moderna.
Tuttavia, quella di Jure Grando non fu l’unica storia della presenza “storicizzata” di uno strigoi, alla quale ne seguirono molte altre nei secoli successivi, come per le vicende di Peter Plogojowitz o Arnold Paole. Il mito del vampiro, dello strigoi, prolificò nell’Europa dell’est, coinvolgendo anche il periodo dell’Illuminismo, quello che rappresenterebbe l’uscita dell’uomo dallo stato di “minorità”. Nel suo Dizionario filosofico, Voltaire scrive: <<Questi vampiri erano cadaveri, che uscivano dalle loro tombe la notte per succhiare il sangue dei vivi, sia dalle loro gole che dai loro stomachi, e poi tornavano nei loro cimiteri. Le persone a cui succhiarono il sangue si indebolivano, divenivano pallide e iniziavano a consumarsi, mentre i cadaveri che succhiavano il sangue prendevano peso, la loro carnagione si faceva rosea e godevano di un grande appetito. Fu in Polonia, Ungheria, Slesia, Moravia, Austria e nella Lorena che i morti poterono così gioire>>.
Proprio come enunciato dal personaggio interpretato da Willem Dafoe nel Nosferatu di Robert Eggers, la scienza continua a fare passi da gigante ma, quando questa non riesce a spiegare ogni cosa, è proprio lì che la superstizione ed il credo della popolazione ha campo libero. La diffusione della piaga degli strigoi diviene così un vero e proprio capro espiatorio per spiegare fenomeni come la peste (Nosferatu e i ratti), l’isteria di massa ed altre piaghe che hanno caratterizzato gran parte di questo periodo storico. Dopo aver così preso in esame la descrizione e l’origine della figura dello strigoi, in questo paragrafo si è andato ad indicare come tale spirito abbia visto la sua diffusione nel folklore specialmente est europeo, crescendo sempre di più dal Medioevo all’Età moderna grazie anche e soprattutto ad una “incarnazione” con determinati esponenti sociali e politici. Tuttavia, la figura dello strigoi e quindi del vampiro non è da relegare ad una pagina ingiallita del passato, essendo molto presente anche ai giorni d’oggi.

Nosferatu: la stregoneria nel mondo contemporaneo
L’obiettivo di questa intera indagine risiede, principalmente, nel voler porre in evidenza le principali fonti d’ispirazione che hanno condizionato il regista Robert Eggers a realizzare un film ancorato nel folklore come Nosferatu. Si tende così a non effettuare una vera e propria tesi antropologica sulla storia del vampirismo, né si vuole prendere in esame tutti gli innumerevoli casi analoghi registrati nel resto del mondo anche nella nostra contemporaneità (come ad esempio il caso dei chupacabra dell’America centrale della seconda metà del ‘900).
Si resta quindi nella tradizione della Romania odierna, dove il folklore ed il mito dello strigoi resta ancora oggi molto forte. Soprattutto nelle regioni più agricole, pastorali e nel territorio dei Carpazi, le credenze popolari sembrerebbero essere rimaste intatte nei secoli, specialmente per quanto concerne la sepoltura dei defunti. Pratiche tollerate dalla Chiesa ortodossa (maggioritaria in Romania) e decisamente “private”, intime, spirituali nel voler compiere al meglio riti di sepoltura e di commemorazione dei defunti. Tra la veglia, la c.d. “pomana” e tutte le fasi che compongono queste pratiche, occorre qui soffermarsi su un certo rituale che si ricollega ovviamente alla questione dei vampiri e dello strigoi.
Dando un’occhiata a possibili tour della Transilvania nel 2025 sui principali siti di agenzia di viaggio, infatti, è possibile assistere alla rievocazione di un particolare rituale che viene indicato come Uccisione dei Morti Viventi. Prendendo così in esempio che sia morta una data persona e che inizino ad emergere eventi singolari nel villaggio d’origine o che ha vissuto comunque i suoi ultimi anni (l’arrivo misterioso ed inaspettato di malattie, il bestiame non produce più averi ed altro), i membri della comunità potrebbero sospettare che tra di loro si aggiri uno strigoi, un’anima dannata ed impossibilitata di raggiungere l’Inferno o il Paradiso. Il corpo del defunto, presunto strigoi, viene così posto in una nuova bara apposita, circondata da familiari ed amici, con un rappresentante religioso che celebra la cerimonia volta ad esorcizzare lo spirito.
La famiglia prende parte al rituale tenendo in mando delle candele, per guidare l’anima verso la luce e compiendo 3 giri attorno alla bara (per rappresentare la santissima Trinità). Al termine del rituale, un paletto di legno viene infilzato nel cuore del defunto. Trattasi dunque di una rievocazione, un’attrazione culturale per turisti volta a sensibilizzare gli spettatori sulle tradizioni del passato. Non esattamente. Lo stesso Robert Eggers dichiara infatti di essersi ispirato per il suo film ad un rituale effettivo, tenutosi in Romania nel 2003.
Ad un’intervista a Vanity Fair, infatti, il regista farebbe riferimento al controverso caso di Petre Toma. Nel villaggio di contadini che prende il nome di Marotinu de Sus, un professore ormai in pensione, appunto il signor Toma, muore all’età di 76 anni e diventa protagonista di una serie di eventi singolari nel suo villaggio. Non solo i membri della famiglia del nipote iniziano ad ammalarsi in modalità misteriose, ma alcuni degli abitanti sembrerebbero affermare che Petre fu solito lasciare la casa di famiglia alle prime luci dell’alba prima di sparire nel bosco vicino. Come se non bastasse, i membri ammalati della famiglia furono alquanto unanimi nel rilasciare la stessa testimonianza, la quale riguardò una presenza spettrale volta a risucchiare le loro vite e che il signor Toma apparisse loro in sogno.
Sia o meno frutto di superstizione, fatto sta che i membri della comunità iniziarono a sospettare che uno strigoi si fosse impossessato del corpo dell’insegnante, portando il contadino Gheorghe Marinescu a guidare una squadra di cacciatori di vampiri per sconfiggere lo spettro. Arrivati alla tomba di Petre Toma, i cacciatori trovarono il corpo posto su un fianco, con la barba cresciuta e con del sangue fresco presente sulle labbra. Gheorghe strappò così il cuore dal petto del cadavere, con i presenti che assistirono al sospiro del signor Toma e ne furono terribilmente spaventati. Il cuore venne poi bruciato e con le ceneri mischiate all’acqua del pozzo venne creato un infuso fatto bere all’ammalata famiglia del nipote di Petre che, da quel momento, iniziò a mostrare segni di miglioramento nella salute.
Ancora una volta (essenziale per la cinematografia di Eggers), che Petre Toma si sia stato o meno posseduto da uno strigoi e che tutti gli eventi registrati siano stati o meno frutto di superstizione, ciò ha comunque portato all’azione di Gheorghe e della sua squadra di cacciatori di vampiri. La figlia di Petre Toma, infatti, denunciò il rituale che sventrò il corpo di suo padre alle autorità, le quali portarono alla luce molti altri episodi di caccia al vampiro, circa una ventina. Gheorghe Marinescu venne condannato al pagamento di 550€ oltre ad una pena detentiva di 6 mesi.
Il caso di Petre Toma, avvenuto solo 20 anni fa, è ancora oggetto di diversi dibattiti, con le autorità rumene che spesso si sono dovute fronteggiare con casi di magia nera. Il giro d’affari della stregoneria in Romania ha sempre rappresentato una fetta di risorse non indifferente, tanto da portate il governo a voler tassare l’operato di streghe, cartomanti ed altre professioni esoteriche. Sì perché quella di mago o di strega diviene una vera e propria professione codificata, al pari dell’istruttore di guida, del valletto e dell’imbalsamatore. In seguito alla feroce crisi economica del 2008, il disperato governo non solo ha dovuto chiedere ben 20 miliardi di dollari al FMI, ma decise anche di portare l’aliquota d’imposta alle streghe al 16%. Con a capo la “Regina” Bratara Buzea, la risposta da parte della comunità della stregoneria fu immediata, lanciando maledizioni ai membri del governo attraverso le acque del Danubio.
Un’ondata di protesta “magica” che non è rara anche nella storia politica recente della Romania, con le streghe che hanno sempre ricoperto un ruolo importante nell’andamento sociale e politico del Paese. In conclusione, come avviene anche nei suoi altri film il regista Robert Eggers continua ad essere particolarmente affascinato e “stregato” dal folklore, che guida forma e sostanza delle sue opere. Nosferatu non fa eccezione, per un film che presenta una spiccata attenzione alla ricercatezza storica di fonti, illustrazioni, testimonianze e racconti più recenti. Il Conte Orlok di Bill Skarsgard incarna un corpo cadaverico e putrescente posseduto da uno strigoi, spirito demoniaco appartenente alla tradizione est europea, come anche precisato dalla costruzione del suo character design e della sua natura bestiale.
Si è cercato quindi di descrivere cosa effettivamente rappresenti tale figura mitologica, in particolare lo Strigoi Mort, con gli annessi rituali posti in essere dalla comunità per scacciare ed esorcizzare lo spirito maledetto (come ad esempio la caccia al cadavere per via della donna vergine o del bambino su cavallo bianco, come mostrato direttamente nel film). Una figura, quello dello strigoi, che deriva a sua volta da una tradizione Classica che, anche in stretta connessione con le antiche religioni mesopotamiche, tende a raggruppare nel concetto di “strega” una serie di creature demoniache della notte. Un folklore che ovviamente si è evoluto nel corso dei secoli e dei millenni, arrivando anche al periodo dell’Illuminismo, dove la superstizione e la magia restano gli unici “paletti” fissati ai limiti della scienza conosciuta.
Uno stretto legame questo, tra reale ed irreale, tra fantasia e spiegazione scientifica, che connota la filmografia di Robert Eggers e che, anche in Nosferatu, trova ampio respiro. Il regista sembrerebbe infatti nascondersi dietro la figura del personaggio interpretato da Willem Dafoe, punto di connessione tra scienza e magia, con i punti di contatto con il film che sicuramente non mancano. Un legame che qui, infatti, riesce anche ad immettere facilmente la mitologia di queste creature della notte nell’ampio tema del disturbo del sonno, della malinconia e della particolare condizione psicologica della sua protagonista. Attraverso mirabile cinema, Eggers riesce ad imprimere nel suo film un vero manifesto della storia del vampirismo, con un doveroso occhio di riguardo alla figura del vampiro moderno. Una leggenda e forse realtà che vive ancora oggi.