Articolo pubblicato il 10 Gennaio 2025 da Gabriele Maccauro
Ad un anno di distanza da Unica – il documentario che lo scorso anno fece scalpore e che raccontava le vicende che portarono al divorzio dal calciatore e capitano della Roma Francesco Totti – arriva un nuovo prodotto originale Netflix incentrato sulla figura di Ilary Blasi. Ilary è disponibile sulla piattaforma streaming dal 9 gennaio 2025 ed ha l’obiettivo di raccontare, attraverso i suoi 5 episodi di 35 minuti circa l’uno, la routine della conduttrice e showgirl romana, dagli eventi cui partecipa alle uscite con le amiche, tra scherzi, risate e momenti seri in cui, inevitabilmente, ricordare cosa è successo in questo ultimo e rocambolesco anno. A seguire, trama e recensione di Ilary.
La trama di Ilary, docuserie sulla vita di Ilary Blasi
Prima di passare all’analisi e recensione della docuserie, è bene spendere due parole sulla trama del nuovo prodotto italiano targato Netflix che tanto sta facendo parlare di sé negli ultimi giorni. Ilary è infatti una serie tv in 5 episodi della durata di circa 35 minuti l’uno che approfondisce la vita privata della conduttrice e showgirl Ilary Blasi, sequel diretto – se così vogliamo definirlo – di Unica, documentario dello scorso anno che narrava, dal punto di vista di lei, la fine del matrimonio con il calciatore Francesco Totti e di Che Stupida che, come affermato dalla stessa Blasi, è stato il suo primo ed ultimo libro.
La recensione di Ilary, serie tv Netflix diretta da Tommaso Deboni
Solitamente, tra le feste di Natale ed il Capodanno, si tirano le somme sull’anno che si conclude e si pensa a dei buoni propositi per l’anno che sta per iniziare: chi vuole iscriversi in palestra, chi mettere su famiglia ed avere un bambino, chi è in cerca di un lavoro e chi di un amore. Ecco, neanche il tempo di far iniziare questo 2025 che già possiamo ritenerlo corrotto, sporcato, intossicato da un punto di vista artistico, sociale e morale dall’uscita su Netflix di Ilary, docuserie sulla vita di Ilary Blasi che fa seguito ad Unica, il documentario che fece scalpore lo scorso anno per il modo in cui raccontava la fine del matrimonio con il calciatore Francesco Totti.
D’altronde, il primo episodio si apre con una domanda molto semplice, ovvero “che cos’è questa serie?” e la risposta è tutto un programma, ciò che di più vago possa esistere. Nessuna paura però, perché leggere tra le righe è semplicissimo, dunque rispondiamo noi per voi: Ilary è una serie tv in 5 episodi da 35 minuti circa l’uno che vi fa vedere come passa le giornate Ilary Blasi e che tenta ancora oggi di cavalcare l’onda mediatica del suo divorzio e fare seguito ad Unica – il documentario sopracitato – ed il libro Che Stupida per tentare di guadagnare quanto più possibile dal nulla. Sì perché, non ce ne voglia nessuno, ma credere che dietro queste operazioni possa esserci qualcosa che non sia il mero lucro, è follia.
Ilary è una docuserie che non esiste, dove il comparto tecnico è talmente basso da potersi definire inesistente, con alcune scene ed inquadrature talmente illuminate da far impallidire anche Pomeriggio Cinque, dove non c’è un briciolo di originalità e dove domina la fretta di impacchettare quest’ultimo regalo di Natale prima che la Befana si porti via le feste. Nonostante questo, non ci si poteva neanche aspettare la profondità di un film di Ingmar Bergman, dunque tutto ciò poteva finire in secondo piano se ci fosse stata una narrazione all’altezza, il racconto vero e sincero di un personaggio pubblico che avesse qualcosa da dire.
Evidentemente però, non è questo il caso ed il fatto che Ilary Blasi dorma sempre con i calzini diventa il tenore medio di questo prodotto vuoto, insulso, becero, il Real Madrid del peggio di Netflix che batte 4 a 0 i neuroni del pubblico, il Mike Tyson che mette K.O. alla prima ripresa il cervello di ogni singolo spettatore. Ilary ci ricorda che tutti dobbiamo morire e che forse, dopo questa visione, la fine è più vicina che mai, tanto è desolante. Molto probabilmente, il punto più basso nella storia di Netflix, talmente basso da far sembrare Under Paris un moderno Solaris. Accanimento? Si, ma non da parte di chi scrive, bensì di chi ha deciso di propinarci un progetto del genere.