Articolo pubblicato il 10 Gennaio 2025 da Arianna Casaburi
A distanza di 30 anni esatti dall’uscita di Forrest Gump, Tom Hanks e Robin Wright tornano insieme a lavorare con Robert Zemeckis, nel film del 2024 da lui diretto e coscritto insieme a Eric Roth Here distribuito nelle sale italiane a partire dal 9 gennaio 2025. Un grande ritorno del regista, nonché un grande inizio di nuovo anno per il cinema quello offerto da Here, affiancato in sala da un altro notevole titolo come quello di Emilia Pérez di Jacques Audiard pluripremiato ai Golden Globes 2025. Seppur apparentemente trasparente e intuitivo nella sua semplicità, il titolo Here del film di Robert Zemeckis merita un approfondimento proprio per la profondità e la stratificazione di significati che nasconde in una sola e unica parola. Seguono perché si chiama così Here, la spiegazione del titolo del film e il significato del film Here di Robert Zemeckis del 2024 con protagonisti Tom Hanks e Robin Wright.
Perché Here si chiama così? La spiegazione del titolo del film
Prima di passare alla spiegazione del titolo, occorre scoprire perché Here si chiama così, il film di Robert Zemeckis con Tom Hanks e Robin Wright. Innanzitutto, Here è un adattamento tratto dall’omonimo libro dell’autore americano Richard McGuire. Il testo di partenza da cui Robert Zemeckis realizza il suo film nasce come un fumetto di sei pagine pubblicato per la prima volta nel 1989, per poi diventare una vera e propria graphic novel nella versione estesa di 304 pagine pubblicata nel 2014. Per quanto riguarda la spiegazione del titolo Here, la parola inglese qui impiegata significa “qui”, concetto con cui lo stesso autore Richard McGuire ha giocato all’interno della sua graphic novel per rappresentare la multitemporalità di uno spazio.
Here: il significato del film di Robert Zemeckis
Dopo aver visto la spiegazione del titolo di Here e dunque perché si chiama così, occorre soffermarsi sul significato del film Here nella sua totalità. Così come nella graphic novel originale di Richard McGuire, nel suo adattamento cinematografico, Here, il regista Robert Zemeckis riprende il concetto centrale dell’omospazialità del “qui” del titolo, contenuto che si realizza nella forma del film nella scelta di adottare un’unica inquadratura fissa per la (quasi) totalità del film. Con questa tecnica registica, Robert Zemeckis avverte e mette in guardia lo spettatore su quanto lo aspetta durante la visione del film. In Here, il pubblico non ha alternative di punti di vista se non quello solo e unico scelto dalla camera in cui si assiste alla nascita delle prima forme di vita, alla loro scomparsa, alla rinascita di nuove e di nuovo alla loro sparizione, in un ciclo di vita e morte infinito che sembra rincorrersi senza via di fuga. Ecco che ciò che accade ai personaggi di Here, fin da quelli storici del passato, a quelli più comuni, arrivando al presente, alla fine non è altro che la medesima storia che accomuna ogni singola forma di vita sulla terra. Ancora una volta, a ribadire il fatto che non è il tempo ciò che conta, in quanto concetto astratto e convenzione non lineare, piuttosto la storia si ripete come un nastro di Moebius, ma bensì è il luogo che perpetra la persistenza della memoria.
Seguendo questa chiave di lettura, risulta fondamentale citare il finale stesso del film, in quanto si pone come ultimo anello a chiusura del cerchio della sua poetica. Il qui che viene inquadrato per la quasi totalità del film, ingloba sì la storia del mondo, diventando così un luogo temporale, un cronotopo, ma resta comunque in tutte le sue declinazioni una sorta di “casa” sia in accezione metaforica in quanto dimora che ospita la vita (e la morte) fin dall’inizio dei tempi, ma anche letterale da quando le prime pareti vengono erette per ospitare un susseguirsi di nuove vite. Accettare di vivere “qui”, significa simbolicamente di accettare di conseguenza anche la vita così come è, in tutta la sua effimera bellezza e poeticità. Così come affermato dalla stessa Robin Wright nei panni della protagonista Margaret, con la frase “Mi piace qui, è qui che voglio stare” si realizza un atto performativo per cui nel momento stesso in cui lei pronuncia queste parole – ora che è affetta da Alzheimer e viene aiutata a ricordare, che per tutto il tempo ha rifiutato di voler vivere sotto quello stesso tetto – la camera si sgancia dalla sua immobilità e fissità per adottare inquadrature più consuete, proprio a segnalare la presa di coscienza del luogo in cui si trova, che altro non è che la vita stessa.