Articolo pubblicato il 5 Gennaio 2025 da Vittorio Pigini
Successivamente alle sue anteprime, il tanto atteso nuovo film del regista Robert Eggers approda anche nei cinema italiani per inaugurare al meglio il 2025. Nosferatu è il nuovo rifacimento dell’intramontabile classico del 1922 di Friedrich Wilhelm Murnau, al quale seguì nel 1979 quello di Werner Herzog. Uno dei più importanti film della storia del cinema ritrova così nuova linfa sul grande schermo, con questo horror gotico e passionale che vede protagonista un cast stellare, con al centro l’intensa prova di Lily-Rose Depp. Ecco di seguito la recensione di Nosferatu, il quarto film di Robert Eggers dopo il precedente The Northman.
La trama di Nosferatu, il film horror remake di Robert Eggers
Per quanto riguarda la storia di questo nuovo film horror, in qualità di puro remake Nosferatu scritto, diretto e prodotto da Robert Eggers riprende fedelmente dal punto di vista narrativo il Classico del 1922. Ci troviamo infatti nella Germania del 1838, dove il giovane Thomas Hutter lavora in un’agenzia immobiliare, con il piano di regalare a lui e alla sua giovane sposa Ellen una vita felice ed agiata.
Thomas viene così incaricato di portare a termine un importante contratto con un nobile dell’est Europa, il misterioso Conte Orlok, e si mette in viaggio verso il suo castello per concludere l’affare. L’ombra dell’acquirente si fa tuttavia sempre più ingombrante in città, con il traumatico passato di Ellen pronto a riemergere dall’oscurità con effetti devastanti su larga scala.
La recensione di Nosferatu: il travolgente omaggio di un autore
Dopo oltre 1 secolo dalla sua prima apparizione, l’ombra di Nosferatu è finalmente tornata ad oscurare il grande schermo. Un mito dal fascino immortale, con il Classico diretto da Friedrich Wilhelm Murnau che rappresenta uno degli esempi più illustri della potenza cinematografica. Senza “ombra” di dubbio si tratta di una delle opere fondanti, fondamentali ed avanguardistiche del panorama dell’orrore, tra le prime che hanno saputo imprimere la naturale paura dell’essere umano su pellicola. Il suo vero e terrificante protagonista Orlok non è altro che la Morte e, di conseguenza, l’incarnazione stessa della Paura, per una sensazione ed un sentimento tanto respingente quanto necessario e paradossalmente vitale.
Ne sa qualcosa Robert Eggers, regista newyorkese e tra i più importanti autori della sua generazione, che con il suo 4° film arriva a coronare il suo sogno. Sono infatti passati 10 anni da quando Nosferatu entrò in fase di sviluppo, con il remake del capolavoro di Murnau che sarebbe dovuto essere la seconda regia per Eggers dopo il suo sorprendente debutto con The Witch, per un progetto destinato tuttavia ad arenarsi senza che il suo comandante abbia mai abbandonato la sua Demeter. Davvero impossibile cercare in questo caso una scialuppa di salvataggio, per fuggire da quello che rappresenta per Robert Eggers il sogno nello scrigno, il progetto di una vita come per ogni altro grande autore chiamato a confrontarsi con i giganti del passato.
Ammirato da bambino in una VHS, il mito di Nosferatu ha infatti stregato e condizionato il percorso del regista, tanto da portarlo a dirigerne una versione teatrale ai tempi della scuola. Dando un’occhiata alla sua filmografia (poco numerosa eppure già dalle dimensioni artistiche fuori dal comune) e come potrebbe essere stato ad esempio con il personaggio di Hellboy per Guillermo Del Toro, l’iconografia del Conte Orlok rappresenterebbe infatti la perfetta mascotte per manifestare il puro cinema di Robert Eggers.
Ciò non solo in riferimento alle straordinarie caratteristiche estetiche, ogni volta esaltate attraverso un mirabile rispetto della storia del cinema espressionista, quanto soprattutto per le sfaccettature emotive ed i crampi allo stomaco che questo racconto gotico riesce a sprigionare ad ogni occasione. Il regista riesuma dalla tomba quello che è il Classico dei classici, nel pieno delle sue eccellenti capacità: rispettare ma, al contempo, avere il carattere di osare e personalizzare. In Nosferatu vengono infatti ripresentati con una certa fedeltà quelli che sono i momenti salienti della secolare storia, i principali sviluppi narrativi, presentando dichiarati e spassionati omaggi a chi ha contribuito a rendere il cinema intramontabile.
Tuttavia, a differenza di molte altre operazioni nostalgiche di questo tipo, nel film viene completamente azzerato il fatale effetto deja-vu, con Eggers che riesce ad introdurre la sua personale visione e la sua sensibilità nella costruzione delle inquadrature, nei dettagli di scena e nell’apporto stilistico. Nosferatu rappresenta così un perfetto esempio di come ci si debba muovere per realizzare un remake, un incastro oliato tra il rispetto del passato ed il suo rinnovamento al presente. Il Conte Orlok presente in questo film (se non la generale iconografia del vampiro) è unico nel suo genere, con Eggers che fa ritorno all’orrore puro dal suo formidabile esordio.
Non solo. Il materiale originale viene rispettato e al suo tempo stravolto, con il regista che inserisce la sua personale firma pur tendendo a discostarsi dal resto della sua filmografia, continuando a registrare una crescita artistica capace di mutare ogni volta. Dal punto di vista più meramente tematico, infatti, gli altri 3 film scritti e diretti da Eggers vengono in qualche modo accomunati da una stessa visione mentre, con Nosferatu, questa poetica si aggira ovviamente come un’ombra senza che venga marchiata a fuoco.
La recensione di Nosferatu: il cinema animale di Robert Eggers
<<Il Male vive dentro di noi, o proviene dall’Aldilà?>>. Questo è il quesito che una sempre più spenta Ellen rivolge a chi pensa possa conoscere la risposta all’eterno enigma. Una base sostanziale per interrogarsi se un essere umano nasca con un vero male all’interno di sé, quel sacrale peccato originale, oppure se tale oscurità provenga da fattori esterni, dall’ombra di una mano pronta ad espandersi per catturare il mondo, una città, una casa, un cuore. Sarebbe davvero sconfinato il ventaglio di temi e tematiche messo a disposizione dalla visione di Nosferatu.
Il film mostrerebbe infatti il fianco ad un’ampia discussione sul tema della paura, sull’isteria di massa, sulle relazioni tossiche che vedono il ritorno di un amante “demoniaco”, nonché sull’intrigante caccia alle streghe nella repressione della libertà sessuale. Tuttavia, l’obiettivo dichiarato da un film non deve necessariamente essere la ricerca di un qualche messaggio promozionale, anche come dichiarato dallo stesso regista. Il film stesso arriva infatti a rappresentare il male puro, senza eccessive manipolazioni, frutto di sensazioni, suggestioni, amore e respingimento verso l’orrore, il quale viene completamente accolto a finestre spalancate.
Come accennato, il registro di “purezza” nel raccontare questa fiaba tenderebbe anche a discostarsi dalla precedente filmografia del regista. In epoche storiche diverse, The Witch – The Lighthouse – The Northaman vengono in qualche modo legati assieme dalla mano della superstizione. In modi e circostanze ovviamente autonome, che sia il credo di una comunità puritana, i racconti popolari dei marinai o le leggende e miti norreni, in tali opere il mondo fantastico e dell’irreale riesce a sprigionare la forza a sufficienza per condizionare e guidare concretamente la vita degli uomini. Tutti gli elementi fantastici all’interno di questi 3 film, di fatto, vengono esposti sempre con una certa ambiguità nel rendere trasparente la linea di confine che separa ciò che è realmente vero da ciò che si vuole credere sia vero.
In Nosferatu le carte in tavola cambiano radicalmente, nonostante il materiale sarebbe risultato in tal senso a dir poco congeniale. Il vampiro esiste realmente, oppure diventa una semplice scusa utilizzata dalle credenze popolari per cercare di spiegare la diffusione della peste? Tuttavia, nel nuovo film di Robert Eggers questa ambiguità non è presente, il mostro esiste ed espande la sua mano sulla città, sul mondo. Ma allora dov’è il marchio dell’autore in quest’opera di puro orrore? In base a quanto detto, sarebbe decisamente errato arrivare alla conclusione che Nosferatu rappresenti una mosca bianca all’interno della filmografia del regista.
Ciò che è fortemente emerso dai precedenti 3 film, infatti, è la sua maniacale devozione verso la ricostruzione storica che, al di là delle altre impressioni sicuramente più tecniche (alle quali si arriverà a breve), rappresenta la vera arma vincente. Con tale aspetto, infatti, non si vuole solo fare un plauso all’instancabile accuratezza di voler rappresentare la messa in scena con tutti i dettagli costumistici e scenografici al loro posto, ma si deve sottolineare un ulteriore pregio intellettuale. Come accennato, infatti, la versione di Eggers del Conte Orlok è unica nel suo genere, mostrando un mirabile coraggio e carattere nello stravolgere in questo caso il materiale originale.
Tanto l’estetica e l’abbigliamento, quanto nel modo di porsi, il diabolico personaggio del film non è infatti altro che un non-morto, un essere umano maledetto dal non poter ricevere il suo ultimo sospiro. Di conseguenza, successivamente ad un’accurata ricerca di quadri, rappresentazioni e testimonianze scritte ed illustrate, la “reference” non poteva che essere dunque quella di un nobile vissuto nella terra dell’est Europa secoli prima, con il nome di Vlad III di Valacchia quale quello più noto e riconoscibile (e sì, come la maggioranza dei maggiorenni della Transilvania porta naturalmente i baffi, come il Dracula nello stesso romanzo di Bram Stoker).
Ancora una volta questa maniacale perseveranza nella ricercatezza storica, inoltre, compie un ulteriore stravolgimento per quanto concerne l’ormai standardizzata figura del vampiro al cinema. Nel Nosferatu di Eggers, infatti, il delicato romanticismo e l’eleganza aristocratica si dissolvono nell’oscurità, non presentando alcun cilindro a coprire un’ordinata pettinatura, nessun bastone da passeggio regale, nessun tormento d’amore esistenziale o un romantico paroliere. La creatura è un cadavere putrido e quasi scheletrico in movimento, andando a scavare nel più antico folklore della figura dello strigoi come descritta nei secoli. Trattasi di un mostro terrificante, disgustoso e dall’implacabile e violenta sete di sangue, creando con questo Orlok la vera incarnazione della Morte. Ma, ancora una volta, emerge la personalità di Eggers nel film, arrivando a quell’ombra poetica che rivitalizza anche questo suo lavoro.
Molto importanti infatti nel cinema del regista è il ruolo degli animali, quale più forte anello di congiunzione tra la natura primordiale e l’essere umano vivente. Un semplice caprone, un gabbiano o i corvi di Odino diventano così gli agenti scatenanti del destino, con Eggers che con Nosferatu non sceglie di optare più semplicemente ed immediatamente su qualche pipistrello, ma su gatti e roditori. Quest’ultimi rappresentano la massa, causa e conseguenza della diffusione della paura e della malattia mentre il gatto, storicamente legato ed affiliato all’occulto, ne è il sadico predatore. Dal manto corvino, la bestia arriva anche ad addomesticare i suoi mastini e porta avanti il suo personale gioco del gatto col topo fino al raggiungimento del suo premio derivante dal patto stretto.
Se non per uccidere e staccare le carni dal corpo, il vampiro di Eggers non morde tradizionalmente al collo, ma va dritto al cuore (anche letteralmente) della pulsione sessuale. L’istinto sicuramente più antico e primordiale dell’essere umano, quello che porta al rinnovamento della specie, ma che qui si tramuta nel racconto gotico di un’ossessione. Il desiderio perde di amore o sentimento e si trasforma mostruosamente in un “puro” (ancora il concetto di purezza) risveglio bestiale, il quale porta ad una visione fisicamente violenta, putrida, marcia ed insalubre.
La recensione di Nosferatu: una pura sinfonia dell’orrore
Quello di Robert Eggers è dunque un cinema dove gli animali, direttamente o indirettamente, ricoprono un ruolo determinante nella funzione narrativa del racconto. Sulla stessa lunghezza d’onda, inoltre, c’è poi la fondamentale incisività sulla scena della forza della Natura. Dagli scorci innevati alla solitudine del mare, dal fuoco di un camino acceso che illumina le tenebre fino ai bagliori lunari e al salvifico sorgere del sole, la composizione estetica delle immagini di Nosferatu rasenta in tal senso la perfezione. A dir poco impressionante l’apporto emotivo che il fidato collaboratore del regista, Jarin Blaschke, riesce ad evocare ad ogni visione, adottando qui una speciale palette cromatica desaturata e spettrale che tende a spegnersi a poco a poco, prosciugata allo stesso modo dell’energia vitale della sua protagonista.
A conferire ulteriore potenza evocativa all’immagine è poi l’impressionante autenticità nella costruzione scenografica, tanto a livello di imponenza quanto nella cura dei dettagli. Ma la visione del nuovo Nosferatu non rappresenta “solo” una carrellata di cartoline da appendere comodamente in casa, mostrando anche e soprattutto il tocco e la classe del suo formidabile regista. La sbalorditiva arte pittorica su schermo si pregia infatti di alte idee visive e concettuali: dall’impressionante intro del film (instant cult), fino al bacio che sugella la mostruosa unione terminale, sono innumerevoli le suggestioni provocate dal regista durante l’arco dei volanti 132 minuti, con la fatale e potente inquadratura di chiusura che continua a caratterizzare il cinema di un genio.
Nel curare la geometria dell’inquadratura nella profondità di campo, Eggers continua a privilegiare long-take di assoluto rigore (la scena dell’esorcismo, una delle tante, è impressionante), cimentandosi inoltre in un teatro delle ombre. Non solo il fatto di mantenere a lungo nascosta la reale maschera del Demone, ma proprio dal punto di vista di transizioni ed effetti di prestigio sono davvero molti i colpi messi a segno per restituire una visione fortemente fluida eppure, allo stesso tempo, claustrofobica. Al di là del formato utilizzato per lo schermo (lo stesso infatti di The Witch) il montaggio resta strozzato in gola e, nonostante possa superficialmente sembrare in alcuni momenti, la visione del film non presenta effettivamente un attimo di respiro.
Anche le scene più posate sono ricolme di una certa violenza psicologica, conferita principalmente dall’opprimente sonoro e/o dalla composizione dell’immagine, non permettendo di dimenticare la costante presenza dell’ombra. Poderosamente coinvolgente in tal senso anche la colonna sonora di Robin Carolan (che lavorò assieme a Sebastian Gainsborough già nel precedente The Northman), con l’intero comparto che risulta determinante. In Nosferatu le parole restano strozzate in gola, i trascinati sospiri diventano macigni, i gemiti una piaga.
Continuando ad elevare il peso artistico, concettuale e tecnico del lavoro di Robert Eggers, non si può che sottolineare anche la sua direzione del cast. Con il suo eccentrico e folle alchimista, la ritrovata maschera di Willem Dafoe non sorprende ormai più da diverso tempo, spalleggiando il regista nel guidare una generazione sempre di giovani attori di grande talento. In “fuga” da progetti più propriamente commerciali, si ricordano innanzitutto i nomi di Aaron Taylor Johnson e di Emma Corin, con Nicholas Hoult che ormai resta saldamente da qualche anno un nome di prim’ordine, dal Giurato numero 2 di Clint Eastwood al prossimo Superman di James Gunn.
Ma in questa passionale e violenta storia d’amore, la scena non poteva che essere rapita dalla macabra coppia protagonista della Morte e della sua fresca amante. Nell’anno di uscita del rifacimento di Rupert Sanders de Il Corvo, Robert Eggers torna a collaborare con la famiglia Skarsgard e trova in Bill un trasformista impressionante. Demone cannibale irriconoscibile, l’attore divenuto particolarmente celebre per il nuovo Pennywise era tenuto a confrontarsi con una spada di Damocle decisamente gravosa, portando in scena un lavoro encomiabile nella costruzione del suo “scomodo” personaggio, tanto nel movimento del corpo quanto soprattutto nella modulazione della sua voce.
Di pari passo, a sorprendere in Nosferatu è poi ovviamente anche il dolore, le vene tirare, gli spasmi e gli occhi evanescenti di Lily-Rose Depp. Figlia dell’iconico Jack Sparrow, l’attrice e modella di origini francesi si può aggiungere di diritto alla scuderia di formidabili scream queen del nuovo cinema horror moderno, guidata probabilmente da colleghe come Mia Goth e dalla Anya Taylor-Joy “scoperta” dallo stesso regista. La gravosa prova fisica e psicologica di Lily-Rose Depp viene ulteriormente caricata, inoltre, qualora ci si immagini il lavoro a monte, sul set, continuando a dare sfogo a quelle determinate movenze e coreografie nei vari long-take.
In conclusione, Nosferatu è il secondo rifacimento del Classico dei classici che porta Eggers a realizzare il suo sogno con enormi risultati, indovinando la strada giusta da seguire per realizzare quello che è concettualmente un ottimo remake. Solenne il rispetto del regista verso il materiale originale e verso la fondante storia del cinema espressionista, il quale non castra il suo estro riuscendo infatti a far percepire l’ombra della sua poetica. Una terrificante sinfonia dell’orrore pura ed essenziale, che mette in scena una claustrofobica evocazione sensoriale, una magniloquente costruzione dell’immagine e la prova fisica e psicologica di un cast di primissimo livello.