Articolo pubblicato il 23 Dicembre 2024 da Bruno Santini
A seguito di un’attesa durata sei settimane, Dune: Prophecy giunge al termine, ponendo al contempo fine anche alla stagione delle serie televisive di rilievo nel 2024, a seguito di quanto osservato con The Penguin e The Day of the Jackal su NOW TV. Con l’adattamento dei romanzi presenti nel ciclo di Legends of Dune, curato da Brian Herbert e Kevin J. Anderson, Dune: Prophecy ha presentato allo spettatore una materia sicuramente molto interessante tanto dal punto di vista visivo quanto in termini prettamente contenutistici, con il risultato di una serie televisiva oggetto di grandissime attenzioni. Ma qual è il suo risultato? Per comprenderlo, vale la pena sottolineare tutto ciò che c’è da sapere circa la trama e la recensione di Dune: Prophecy 1×06, dal titolo Il nemico tirannico.
La trama di Dune: Prophecy 1×06, Il nemico tirannico
Prima di procedere con la recensione di Dune: Prophecy 1×06, come sempre, c’è bisogno di approfondire innanzitutto quale sia la trama dell’episodio in questione, che prende il titolo di Il nemico tirannico. Nella puntata si racconta della resa dei conti tanto attesa e profetizzata da parte di Raquella, con l’Imperatrice Natalya e Desmond Hart che appaiono più che mai alleati nel contrastare anche Javicco, che invece tenta di essere riportato verso la strada della Sorellanza da Francesca. Valya decide, però, di cambiare piano dopo che a lungo ha tentato di conciliare una strada fatta di equilibrio: per farlo, ci sarà bisogno di uccidere Javicco con il gom jabbar mentre Theodosia, in quanto Danzatrice del Volto, agirà nei panni della Principessa Ynez. Quest’ultima, intanto, viene imprigionata da sua madre poiché tenta di liberare il Maestro di spada Keiran Atreides.
Nel passato delle due sorelle si scopre finalmente la verità: Valya ha convinto le altre Sorelle più vicine a credere nella sua strada per diventare Madre Superiora, nonostante queste avessero visto la reale morte di Dorotea, mentre Tula si scopre essere la madre di Desmond Hart. Avendo concepito un figlio con Orry Atreides che vuole strappare dalle grinfie di sua sorella, infatti, la donna complotta per scambiarlo con il figlio morto di un’altra famiglia (presumibilmente del Bene Tleilax), fingendo di aver partorito un figlio senza vita. A seguito di una serie di intrighi e capovolgimenti di scena, Ynez e Keiran scappano, mentre Javicco e Francesca trovano la morte. Intanto, Dorotea prende totalmente possesso di Lila e mostra alle altre Sorelle cosa è successo alle Bene Gesserit di cui sono state perse le tracce, per poi distruggere per sempre Anirul. In occasione della resa dei conti, Valya riesce a fermare il virus di Desmond, lasciando poi a Tula la decisione circa la vita o la morte di suo figlio.
La recensione del sesto episodio di Dune: Prophecy
Il numero di miniserie si è drasticamente alzato negli ultimi anni, con la riduzione degli episodi e il conseguente aumento del minutaggio di questi ultimi. Dune: Prophecy, che porta sullo schermo una materia che avrebbe bisogno di ben tanto tempo e spazio, è certo figlia di un atteggiamento audiovisivo che (sia esso condivisibile o meno) fa parte della contemporaneità a cui si ascrive. Si dice tutto questo per un motivo molto semplice: con 5 episodi di climatica costruzione della materia, che risparmia qua e là qualche personaggio ma che promette tutto per il suo finale (e si badi bene: non c’era certezza di una seconda stagione poi confermata), inevitabilmente il sesto sarebbe stato caratterizzato da una vera e propria esplosione di materia narrata, di elementi e di accadimenti di vario genere. Lo conferma il minutaggio, con ben 77 minuti totali che promettono grandissima narrazione, e il trattamento della storia finale di Dune: Prophecy, che scioglie finalmente gli intricati nodi che erano stati edificati nel corso della stagione.
Al netto di un plot twist piuttosto telefonato (Desmond Hart è il figlio di Tula Harkonnen), non si può fare a meno di notare che la complessità della materia viene ordinata in maniera molto intelligente, là dove c’era il rischio di una serie di pastrocchi che avrebbero deluso lo spettatore, e HBO ne ha grande testimonianza nella sua storia recente di Il Trono di Spade. Con continui rimandi al passato, che permettono di riportare sullo schermo le bravissime attrici che interpretano Tula e Valya Harkonnen da giovani, si riesce anche a generare un controcampo intelligentissimo, che svela quei dettagli non ancora chiariti e che dona corpo alla narrazione, permettendo così di esplicitare maggiormente le ragioni di ogni scelta. La vera bellezza di Dune – quella secondo la quale non esiste necessariamente bene e male, ma soltanto diverse declinazioni di quella violenza che muove l’Universo – si ritrova in un sesto episodio molto ricco, in cui il passaggio legato alla morte di Javicco Corrino (nel suicidio la sua prima vera forma di libertà a seguito di una vita in cui è stato guidato da diversi burattinai) presenta anche un grande picco di emotività.
Con l’episodio 1×06 si mette, dunque, finalmente il punto su una materia molto complessa che aggiunge un nuovo importantissimo tassello alla storia di Dune, portata sullo schermo (fino ad ora, e negli ultimi anni) magistralmente: con una preziosità visiva che si è fatta strada man mano con grande sapienza e anche con qualche formalismo estetico non da poco – viene in mente il modo in cui Harrow Harkonnen conserva le registrazioni di tutti coloro che sono stati nel suo palazzo -, la serie mostra i muscoli e comunica tutte le sue grandi potenzialità, pur con un senso di incompiuto che, però, siamo sicuri verrà risolto nel futuro della serie stessa.
Il futuro di Dune tra fantascienza ed esoterismo
In una delle numerosissime appendici presenti sui libri di Dune, in particolar modo in una del quarto libro della saga di Frank Herbert (L’Imperatore-Dio di Dune) si può leggere un passo da I diari rubati di Leto II Atreides, che recita: “Alcuni affermano che io non ho una coscienza. Mentono, anche a se stessi. Io sono l’unica coscienza che sia mai esistita. Come il vino conserva il profumo della sua botte, io conservo l’essenza della mia genesi più antica, il seme della coscienza. È questo, ciò che mi fa sacro. Io sono un Dio perché sono l’unico a conoscere davvero il proprio retaggio!”
Nell’ambito della storia della fantascienza, quella di Dune è stata una delle realtà più complesse e tortuose, sia per la difficoltà di portare sullo schermo una materia così tanto vasta, sia per un interrogativo di fondo che ha reso complicata la realizzazione di un gran numero di opere dedicate alla storia letteraria di Dune: qual è il reale limite tra la fantascienza e l’indagine socio-politica che Frank Herbert ha tentato di realizzare nella sua opera? Il motivo è tutt’altro che banale, dal momento che è proprio nel trattamento svilente della materia che sono stati riscontrati i limiti più grandi di Dune; in un certo senso, potremmo definire Dune: Prophecy un prodotto ibrido tra due visioni produttive, che da un lato ricercano la spettacolarizzazione visiva per offrire allo spettatore un qualcosa di genuinamente attrattivo, dall’altro tentano di perseguire una strada di compassata attesa, di ripiegamento su se stessi e di emblemi metaforici e allegorici sulla situazione geopolitica attuale (e sempre, inesorabilmente, attuale come sembra insegnare Frank Herbert). Intrighi, macchinazioni e giochi di potere sono tutti parte di uno stesso piano conciliante, che tenta di portare lo spettatore ad un risultato che non sia solo ed esclusivamente “bello”, ma che abbia in sé anche i connotati di importanza.
Una visione prospettiva, potremmo definirla quasi tentando di attualizzare il Sentiero Dorato di Letiana memoria, che porta ai posteri un fardello molto importante: riconoscere che quella che stiamo vivendo è – nel complesso – una delle storie cinematografiche e televisive più incredibili a cui sia stato possibile dare merito nel corso degli anni. Quella di Dune, intesa come materia nel suo complesso, è una realtà da blockbuster puro, che finalmente ha saputo risolvere i suoi problemi con il peso complessivo della narrazione e della filosofia, creando un equilibrio perfetto e dosato – certo talvolta tendente a impurità -, che ha ancora tanto da raccontare ed esplorare (che si tratti di passato, futuro e presente) e addirittura reinventare; ciò che Dune: Prophecy ha insegnato, in effetti, è che dall’insegnamento del libro è possibile creare una materia totalmente nuova, forse addirittura migliore, che sappia riattualizzare l’intera storia della saga attraverso nuove vesti. Il futuro ha ancora tanto da raccontare, e non si può far altro che attenderlo.