Mufasa – Il Re Leone è un prequel che chiude il cerchio

La recensione di Mufasa – Il Re Leone, il prequel diretto da Barry Jenkins che raccoglie l’eredità del live action di Jon Favreau.
Mufasa - Il Re Leone: la recensione del prequel di Barry Jenkins

Articolo pubblicato il 21 Dicembre 2024 da Andrea Barone

Dopo il grande successo al botteghino del remake live action di Il Re Leone diretto da Jon Favreau, la Disney ha attualmente intenzione di creare una nuova potenziale grande saga basata su uno dei suoi film d’animazione più importanti di sempre. Attraverso questa ambizione è stato concepito Mufasa: Il Re Leone, il primo prequel di un remake live action Disney e terzo tentativo di approcciarsi nuovamente ad un rifacimento dopo il successo del capitolo precedente (prima di esso infatti sono stati prodotti La Carica Dei 102: Un Nuovo Colpo Di Coda di Kevin Lima e Maleficent: Signora Del Male di Joachim Rønning). A seguire la recensione del blockbuster diretto stavolta da Barry Jenkins.

La trama di Mufasa – Il Re Leone

Mufasa: Il Re Leone è anche un sequel, dal momento che inizia poco tempo dopo gli eventi del film precedente e viene presentata Kiara, la figlia di Simba. Tuttavia la maggior parte della narrazione del film si concentra su un racconto di Rafiki, il quale, tramite lunghi flashback, narra le origini di Mufasa, così di conseguenza a prevaricare è la struttura tipica di un prequel. Come per i precedenti sequel menzionati, anche questo lungometraggio si basa su vicende inedite nei film d’animazione, con l’eccezione di alcuni elementi ispirati alla collana di libri The Lion King: Six New Adventures. Inoltre, nonostante sia pubblicizzato come un live action e pur utilizzando un’impostazione fotorealistica, l’opera non presenta alcuna scena girata con un attore in carne ed ossa sul set, quindi va comunque considerata un film d’animazione in quanto realizzato totalmente in CGI. Mufasa: Il Re Leone presenta la seguente trama:

Rafiki racconta a Kiara, Timon e Pumba l’ascesa di quello che è stato uno dei più grandi re delle Terre del Branco: Mufasa, il padre di Simba. Attraverso i flashback, riviviamo la storia di un cucciolo orfano, perso e solo fino a quando incontra un leone comprensivo di nome Taka, erede di una stirpe reale (che in futuro sarà conosciuto come Scar). Mufasa e Taka legano, divenendo fratelli anche se contro il volere del re Obasi, il quale vede il nuovo arrivato soltanto come un randagio, quindi non paragonabile ai membri di sangue reale ed indegno di essere suo figlio, mentre la regina Eshe prende molto più a cuore il leoncino. Dopo essere divenuti adolescenti, Mufasa e Taka sono costretti a lasciare la loro terra perché braccati da un branco di leoni prepotenti guidati da Re Kiros, il quale è pronto a pretendere la sua vendetta uccidendo gli ultimi felini rimasti.

Recensione: Mufasa - Il Re Leone

La recensione di Mufasa – Il Re Leone

Barry Jenkins, pur mantenendo coerenza con il film precedente, abbandona l’approccio sperimentale di Jon Favreau con l’eccessivo realismo, ridando l’espressività agli animali che si lasciano andare con movimenti facciali decisamente più antropomorfi, rifacendosi quindi al lavoro svolto nel remake live action di Il Libro Della Giungla (sempre diretto da Favreau). La scelta è decisamente più adatta all’operazione, soprattutto perché il pubblico avrebbe potuto avere più difficoltà ad intuire il lato emotivo degli animali senza un altro film alla base, dal momento che sequenze apparentemente fredde del remake di Favreau erano ammorbidite dal ricordo del film originale. Con questo approccio quindi è sicura una maggiore sintonia con i personaggi. Inoltre, pur essendo al suo primo lavoro in un progetto ad alto budget dopo aver lavorato a opere indipendenti, Barry Jenkins si dimostra molto bravo nei movimenti di macchina, sbizzarrendosi soprattutto nelle scene più dinamiche come quella del volto di Mufasa riflesso sulle prime gocce di pioggia, oppure negli inseguimenti tra felini carichi di tensione con la cinepresa che riesce a catturare le azioni dei personaggi senza mai abbandonare l’intensità dei volti attraverso primi piani molto interessanti. Il discorso è diverso quando si tratta dei combattimenti, perché se Jon Favreau era bravissimo a far sentire i colpi delle zanne e degli artigli senza versare una goccia di sangue, Jenkins sembra più timido sulla cosa, lasciando durare poco i confronti tra gli animali e risolvendo le cose attraverso il fuoricampo. Nulla da dire invece sulle panoramiche, le quali sono molto belle da vedere attraverso ottimi pianosequenza, nonostante non si raggiunga mai l’eccellenza immersiva di Jon Favreau con le pianure riprese nel film precedente, ma il confronto appare anche svantaggioso dal momento che ormai è un maestro della tecnica nei blockbuster a differenza di Jenkins che è alla sua prima esperienza.

Tuttavia bisogna ammettere che la CGI non è potente quanto il film originale, nel quale era impossibile riuscire a distinguere le riprese virtuali da quelle di un documentario realistico. Il lavoro svolto negli effetti visivi in questo film risulta ben fatto, ma gli animali hanno più momenti in cui non sembrano perfetti nonostante l’impegno. Definire gli effetti visivi malfatti sarebbe disonestà intellettuale perché si tratta di un lavoro comunque sopra la media, ma allo stesso tempo si ha la sensazione che, rispetto ai già citati Il Re Leone e Il Libro Della Giungla, questo non risulterà indimenticabile negli anni a venire se si parla esclusivamente del lato tecnico. Jenkins però si dimostra un passo in avanti nella gestione dei momenti musicali, non soltanto perché le canzoni di Lin-Manuel Miranda sono decisamente orecchiabili, ma soprattutto perché le sequenze in cui gli animali cantano sono molto più energiche grazie ad un intelligente sfruttamento dell’ambiente circostante che riesce ad aggirare il limite del realismo degli animali, come per sempio la scena in cui Tara canta mentre viene quasi immerso dalla neve delle montagne. Per quanto riguarda il doppiaggio italiano, il lavoro svolto è egregio, soprattutto per la scelta di aver chiamato dei volti di spicco per i protagonisti (Luca Marinelli doppia Mufasa ed Elodie doppia Sarabi) che però hanno anche delle importanti esperienze recitative, diversamente da Marco Mengoni ed Elisa (doppiatori di Simba e Nala) che apparivano molto goffi (e qui, nelle poche scene in cui appaiono, non sono da meno nonostante dei miglioramenti).

Mufasa - Il Re Leone: la recensione del live action di Barry Jenkins

Se sul lato visivo, pur variando determinate soluzioni estetiche, non stupisce di vedere un determinato approccio coerente con quello che si aspettano gli spettatori, sorprende invece il lato fortemente politico che sembra essere chiaramente ispirato al lavoro svolto da Ryan Coogler in Black Panther. Infatti la storia di Mufasa inizia con una famiglia che combatte la siccità sognando di andare in un posto lontano con molte più risorse, tanto che ad un certo punto Jenkins utilizza la magia degli effetti visivi per dare consistenza fisica all’immaginazione di Mufasa quando pensa alla terra in cui un giorno vorrebbe andare. Attraverso una struttura da road movie, Mufasa infatti non è altro che un immigrato che prima lascia una casa colpita dalla mancanza di viveri (l’assenza di acqua è da sempre un grave problema in diverse zone dell’Africa) e poi ne abbandona un’altra in seguito all’invasione di dittatori che uccidono i propri simili (un chiaro riferimento alle costanti guerre nei paesi del terzo mondo). A Mufasa si aggregano altri personaggi appartenenti all’iconografia di Il Re Leone, tutti in fuga da un mondo che, al di là del motivo di base, non esiste più. La ricerca di un nuova speranza è il loro principale obiettivo e da qui si crea il discorso del Cerchio della Vita, celebre concetto dell’originale opera d’animazione in cui ogni vita, anche la più piccola, ha il potere di influenzare l’altra nel perfetto equilibrio della natura. In questo caso si affronta l’importanza della comunità nell’intervenire nelle sorti di altri individui anche quando il problema non sembra coinvolgere tutti quanti. Jenkins infatti rimarca come la costante indifferenza non sia altro che un perfetto lasciapassare per i forti che tiranneggiano sui più deboli. Gli animali sono tutti diversi, eppure tanti si aiutano a vicenda, proprio come dovrebbero fare i popoli di varie nazioni che dovrebbero intervenire ed aiutare altri paesi molto più svantaggiati soltanto perché si trovano in zone lontane dalle civiltà più ricche.

Queste tematiche, coerenti con la poetica di Barry Jenkins che non rinuncia a fare l’autore nemmeno in un progetto destinato al grande pubblico come questo, si riflette soprattutto nella caratterizzazione di Mufasa. Il personaggio è infatti un orfano arrivato da un’altra terra che viene disprezzato in quanto diverso, proprio come Chiron (un omosessuale) in Moonlight e Fonny (un afroamericano) in Se La Strada Potesse Parlare. Eppure, nonostante il suo essere perseguitato dal razzismo e le sue umili origini, è il più saggio di tutti i giovani leoni, anche se non mancano le sue fragilità dettate dalle insicurezze del proprio cammino. Jenkins dimostra che non è il sangue ad evidenziare il proprio valore, bensì le scelte che si compiono, come quelle che porteranno Mufasa a diventare uno dei più importanti re della Savana. Anche gli immigrati possono dunque diventare il più importante punto di riferimento per una società che tende ad escluderli. Anche Rafiki infatti è un altro immigrato, cacciato dal proprio branco solamente perché lui è uno sciamano che vede la natura con occhi diversi. Una delle caratteristiche di Mufasa è quella di fiutare le cose ad una lunga distanza, una simbologia del suo sapere essere molto più sensibile guardando le persone al di là delle apparenze, proprio come Rafiki vede in un umile leone il volto di un re. Il sapersi aprire agli altri crea legami molto più forti di quelli imposti dalla società e la forza di volontà delle persone giuste, qualsiasi sia il luogo di provenienza, getta le vere fondamenti del futuro. A questo splendido concetto di fratellanza si aggiunge anche il dettaglio che Mufasa sia cresciuto insieme alle leonesse, poiché non considerato degno di stare insieme ai maschi regali del branco. Eppure questo lato del branco non solo lo ha accolto, ma lo ha saputo educare con molta più giustizia degli altri leoni, cosa che rimarca anche una forte componente femminista, in coerenza con tutto il discorso che dimostra come siano gli emarginati a prendere le redini della comunità in una nuova ascesa.

I personaggi di Mufasa – Il Re Leone

Se Mufasa è caratterizzato molto bene, le cose si fanno più complicate con Taka, ovvero il futuro Scar. Il legame tra i due ha un’ottima presentazione e le scene in cui sono dei cuccioli sanno essere piene di tenerezza ed empatia. Stessa cosa vale per il contrasto tra l’educazione di Mufasa e quella di Taka: quest’ultimo infatti è costretto a sentire, seppur con riluttanza, i consigli del padre che, in quanto re, esorta il figlio ad essere spietato e ad ingannare il prossimo. Infatti è molto interessante il mondo in cui re Obasi sia dipinto come un essere razzista che ama poltrire tutto il giorno lasciando fare il lavoro agli altri, rispecchiando numerosi politici che sono purtroppo presenti nella vita reale. Molto interessante anche il mondo in cui Taka si senta molto meno bravo di Mufasa, passando la maggior parte del suo tempo a sentirsi giudicato dagli altri poiché non all’altezza di quello che la gente si aspetta, in quanto futuro re. Questi spunti fanno entrare in profonda empatia con il personaggio che però viene penalizzato da una discesa nell’oscurità che nello svolgimento avviene troppo velocemente, creando destabilizzazione. Il futuro villain si riprende nel terzo atto, tornando coerente con quanto mostrato nella prima parte e concentrandosi sulla ricerca di un legame che rischia sempre più di essere spezzato, marcando la tragicità del personaggio. Se l’origine delle sue cicatrici è molto convincente, risulta invece pessima la risoluzione finale legata al motivo per cui sia chiamato Scar, unico momento in cui anche la figura di Mufasa sembra diventare improvvisamente un altro personaggio e risultando fortemente anticlimatica.

Se Taka risulta essere molto affascinante, seppur con diverse riserve, la parte peggiore del film riguarda proprio il branco degli Emarginati, i leoni bianchi soprannominati così perché disprezzati in quanto diversi. La loro messiscena è potente e appaiono decisamente temibili nella loro tirannia, così come Re Kiros risulta essere carismatico. Molto bella anche l’idea estetica perché, in quanto leoni albini, omaggiano Kimba: Il Leone Bianco, manga di Osamu Tezuka che è stato la principale ispirazione del film d’animazione originale insieme a L’Amleto di William Shakespeare. Il problema è che questi leoni non vengono approfonditi al di fuori della superficie e tutto il lato sociale riguardante il loro essere diventati tiranni a causa del razzismo subito negli anni viene riassunto in una sola didascalica frase di Rafiki. In nessun dialogo Re Kiros tirerà mai fuori questa questione, facendo avvertire un forte senso di spreco. A loro si aggiunge anche il personaggio di Sarabi, la quale risulta abbastanza banale nonostante sia protagonista di scene d’azione notevoli. Molto bella invece Kiara, la figlia di Simba e Nala, poiché il suo interesse nell’ascoltare la storia del suo nonno mostra l’importanza dei legami che non sono creati soltanto dalle esperienze, ma anche dalle storie raccontate. Infatti Kiara ha paura a causa della prima volta in cui è senza i suoi genitori, partiti per un lungo viaggio, ma il racconto su Mufasa riesce a darle forza per crescere. Le storie, create dalla letteratura e dal cinema che sono linguaggi universali, servono quindi ad unire ancora di più persone che appartengono a terre diverse, proprio come la vita e la morte separano Kiara e Mufasa. Ogni atto di giustizia e di coraggio, raccontato poi dagli artisti e dai saggi come Rafiki, rimane per sempre grazie all’ispirazione delle vecchie generazioni sulle nuove. Dalle critiche positive rivolte agli intermezzi con il macaco e la piccola leonessa si escludono le interruzioni di Timon e Pumbaa che, diversamente da altre opere in cui sono apparsi, risultano inopportune e spezzano fin troppo il racconto.

Mufasa - Il Re Leone: la recensione del prequel Disney

Mufasa: Il Re Leone presenta una componente tecnica sopra la media ma con dei passi indietro rispetto al suo predecessore ed importanti caratterizzazioni dei personaggi sarebbero potute essere più profonde e meno confuse. Tuttavia la poetica di Barry Jenkins, la quale presenta un’ambizione politica molto matura per un film rivolto alle famiglie ed un eccellente approfondimento del protagonista, rende l’intera operazione ambiziosa e meritevole di essere guardata.

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Mufasa - Il Re Leone: la recensione del film di Barry Jenkins
Mufasa - Il Re Leone
Mufasa – Il Re Leone

Rafiki racconta a Kiara le origini di Mufasa, un leone proveniente da un'altra terra che dovrà affrontare numerosi pregiudizi per dimostrarsi più saggio e giusto di molti altri suoi simili.

Voto del redattore:

7.5 / 10

Data di rilascio:

19/12/2024

Regia:

Barry Jenkins

Cast:

Aaron Pierre, Kelvin Harrison Jr, John Kani, Tiffany Boone, Mads Mikkelsen, Blue Ivy Carter, Seth Rogen, Billy Eichner, Preston Nyman

Genere:

Animazione, road movie, musical, drammatico

PRO

L’espressività degli animali
La caratterizzazione di Mufasa
Le tematiche legate all’emarginazione e all’immigrazione
Le musiche di Lin-Manuel Miranda
Una CGI non sempre perfetta
Il mancato approfondimento dei leoni bianchi
L’evoluzione di Taka troppo affrettata
Alcune gag di Timon e Pumbaa