Articolo pubblicato il 20 Dicembre 2024 da Vittorio Pigini
Presentato in anteprima al 51° Telluride Film Festival, Conclave è il nuovo film del regista austriaco Edward Berger con protagonista Ralph Fiennes. Reduce dall’enorme successo ottenuto con Niente di nuovo sul fronte Occidentale, il regista porta sul grande schermo l’adattamento dell’omonimo romanzo di Robert Harris, per una serrata partita a scacchi nelle sale di potere vaticane. Al momento, il film sta continuando a registrare apprezzamenti specialmente dalla critica, con l’arrivo di 6 candidature ai prossimi Golden Globes, tra cui Miglior Film Drammatico e Miglior Regista. Ecco di seguito la recensione di Conclave, con protagonista il celebre attore britannico Ralph Fiennes.
La trama di Conclave, il film con Ralph Fiennes
Su sceneggiatura dello scrittore e drammaturgo inglese Peter Straughan (Premio BAFTA e candidato all’Oscar per La Talpa del 2011), Conclave è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Robert Harris. Alla morte del Papa, il collegio cardinalizio è chiamato a nominare il nuovo pontefice, con la direzione del conclave riposta sulla guida del decano Thomas Lawrence. Nei giorni di votazione inizia così una vera e propria guerra politica per ottenere l’ambito ruolo, con Lawrence che non dovrà solo cercare di amministrare il corretto svolgimento del conclave, ma dovrà anche fare i conti con le proprie fragilità e tormenti interiori. In tale scenario, a scombussolare il già incrinato ordine procedimentale è l’arrivo inaspettato di Vincent Benitez, segretamente nominato dal Papa come arcivescovo di Kabul.

La recensione di Conclave: tutto di nuovo sul fronte del Vaticano
<<Chi tra voi è senza peccato scagli la pietra per primo.>>.
Un estratto dai Testi Sacri che porterebbe a definire utopica quella “pietra”, indicando come nessun essere umano possa sfuggire veramente al “peccato” e dove diviene fondamentale riuscire a farsi un esame di coscienza. Di riflesso, non sfuggirebbe da quella condizione nemmeno l’allegorica pietra sulla quale viene edificata la Chiesa stessa di Roma, formata e vitalizzata nei millenni da semplici esseri umani, fragili ed ambiziosi. Con l’avvicinarsi del nuovo Giubileo (in un anno in cui il cattolicesimo arriva sul grande schermo con titoli horror come The First Omen e Immaculate) Conclave di Edward Berger va dritto al sodo nel smascherare la bramosia di potere (soprattutto celata) dell’essere umano, nel luogo forse più sacro della Terra.
Ed è proprio questa l’operazione forse più affascinante dell’opera diretta dal regista austriaco, ovvero svelare le ombre (più che luci) di un mondo ancora oggi profondamente nascosto e misterioso, abitato da semplici uomini che, in quanto tale, non possono sfuggire alla fragilità e sensibilità emotiva, all’ambizione e alla corruzione. Il regista entra direttamente all’interno del cuore del Vaticano, mostrando gesti comuni come una sigaretta accesa nel cortile, la preparazione di pasta fresca in cucina, prendersi un caffè e rendere normale un ambiente fuori dal normale ormai da millenni. E cosa potrà mai esserci di così “normale” nell’essere umano se non il primordiale istinto di prevalere, di prevaricare, di ottenere sempre maggior potere anche attraverso la violenza?
Nel film, infatti, si assiste a quella che viene suggerita a gran voce come una vera e propria Guerra, a colpi di voto su voto, indicando anche come ogni cardinale abbia già scelto il proprio nome da usare una volta eletto Papa, anche coloro che pensano di non meritare o non voler ricoprire quell’ingombrante incarico. Nel corso dei decenni il cinema ha più volte portato sul grande schermo spy-movie, visioni su cospirazioni e/o su elezioni politiche; tuttavia resta innegabile come, osservare tali dinamiche in uomini di fede e fisici rappresentanti del volere di Dio in Terra, acquisisca tutto un altro peso specifico.
Come anche suggerito dal giallissimo titolo immortalato a caratteri cubitali, il regista porta così avanti il suo nuovo “war-movie” attraverso il registro di un serratissimo thriller ricco di colpi di scena. Una battaglia politica che si intrufolerebbe nel mistero della camera chiusa dalla fondamentale eredità letteraria anglofona. Il palazzo del potere diviene un pericolante castello di carte e scartoffie, pronto a crollare ad ogni soffiata e con le pedine della scacchiera destinate a cadere voto dopo voto.
La recensione di Conclave: temere la certezza
In questo scenario apocalittico, enfatizzato dall’ambientazione fuori dal tempo e racchiusa unicamente in uno spazio claustrofobico e senza una visione dell’esterno, a scontrarsi per eleggere la nuova massima guida spirituale sono gli ideali dei concorrenti in gioco. In questa partita Conclave sfodera il suo asso nella manica, ovvero la costruzione di dialoghi solenni, velenosi e densi di significato che riescono a sorreggere il lato più spirituale con una mano e quello più concretamente politico con l’altra. Sfruttando soprattutto la fragilità e la saggezza del personaggio di Thomas (sul quale si tornerà inevitabilmente a breve), il film instaura un duello ideologicamente sanguinante tra passato e futuro, tra certezza e dubbio.
Conclave ribadisce a più riprese come la certezza e sicurezza delle proprie idee sia essa stessa una causa scatenante del conflitto, cercando di vincere coloro che non difendono la stessa ferma posizione. Il dubbio, al contrario, conduce inevitabilmente al confronto, all’indomabile ricerca di qualcuno che possa suggerire una risposta alle proprie domande, a voler ascoltare una voce in più. Un duello secolare, che in termini politici si potrebbe tranquillamente ridurre ad una visione conservatrice da un lato (la certezza del passato da restaurare) e quella maggiormente volta al futuro dall’altro (il domani come inevitabile rappresentazione del dubbio).
Emblematico come in tal senso il vero “villain” da sconfiggere in Conclave si riveli essere il nostalgico Tedesco di Pietro Castellitto, nonostante le alternative dell’ahimè celebre “meno peggio” continuino a cadere. Mettendo a segno un colpo di scena determinante nel finale, uno dei tanti, il film riesce a coronare come nuova guida spirituale l’incarnazione stessa del dubbio. Con una “semplice” mossa, il regista e lo sceneggiatore riescono a sferrare due bombe non insignificanti.
Nell’angolo rosso e terreno, Conclave porta lo spettatore a dubitare (soprattutto di se stesso) e cercare il confronto per evitare un nuovo, reiterato ed inutile spargimento di sangue, sia esso bellico sia metaforico e conflittuale. Nell’angolo blu e spirituale, il film ammonisce direttamente gli uomini di fede, i quali troppo spesso prendono le vesti di burocrati e politici per indirizzare l’Istituzione nel migliore dei modi, dimenticando quel dubbio e quel mistero che rendono di fatto immortale l’essenza stessa della fede da millenni.

La recensione di Conclave: una partita a scacchi dove la cupezza muove per prima
Nel congiungere questo enorme insieme di temi e riferimenti politici, sociali e religiosi, la sceneggiatura di Peter Straughan opera un lavoro encomiabile. Tuttavia non sfuggono determinati elementi che, più che veri e propri punti critici, costituirebbero sbavature ed inciampi che, in ogni caso, non inficiano sull’enorme pregio stilistico e contenutistico di Conclave. Si fa riferimento ad alcuni passaggi nello sviluppo narrativo alquanto forzati (ad esempio come il report custodito dietro la testiera del letto, soprattutto nel modo in cui viene scoperto), oppure a scelte di per sé necessarie ma che avrebbero goduto sicuramente di un trattamento più accurato (tutte le rivelazioni avvengono off-screen, per un meccanismo che inizia a perdere colpi se continuamente reiterato).
Inoltre, per quanto la ricostruzione “distopica” dell’ambientazione sia estremamente affascinante, il momento che mostra maggiormente il fianco nella visione di Conclave potrebbe essere quello della discussione sullo scoppio della seconda bomba. Non si fa riferimento in tal caso al duello verbale tra Tedesco e Benitez, anzi, quanto più alla specifica identificazione dei terroristi islamici. Un’aggiunta, questa, che farebbe perdere smalto all’alta riflessione sulla “guerra di religione” in corso ed intesa in senso generale ed astratto (tema del quale si riconduce, qui sì in termini astratti, il personaggio di Benitez nella sua rigorosa risposta). Lasciare superficialmente il termine “Islam” nelle parole di Tedesco, non venendo poi contraddetto nel merito ma in termini appunto astratti, porterebbe infatti ad estrazioni ambigue e decisamente poco eleganti, tenendo tuttavia a mente come questa sia una possibile sovralettura per sua natura opinabile.
Ad essere poco opinabile è invece il comparto tecnico di un’opera imponente come Conclave, tanto nella messa in scena quanto nell’apporto emotivo del suo cast. A tal proposito, il film punta molto sulle spalle del suo protagonista (un enorme Ralph Fiennes), seguendolo da dietro fin dalle prime inquadrature per cercare di enfatizzare anche e soprattutto il peso che è costretto a sorreggere. Da Lord Voldemort a Decano del Papa, la carriera straordinaria dell’attore britannico parla da sola, costruendo qui un personaggio rigoroso, saggio, eppur costantemente tormentato dal dubbio e dalla paura.
Ambasciator porta pena, con il regista che si sofferma su dettagli di mani tremanti e nervi tesi per restituire un Lawrence in cerca della (propria) guida spirituale. Un Fiennes da Oscar fa poi tutto il resto, mostrando una semplicità disarmante con la quale cambia radicalmente espressione, giusto attraverso una semplice smorfia ed uno sguardo inclinato. Il celebre candidato premio Oscar per Il paziente inglese e Schindler’s List, tuttavia, si trova in ottima compagnia, guidando non solo il conclave ma un cast di attori con nomi di altissimo profilo.
Fra Stanley Tucci, John Lithgow, Isabella Rossellini e molti altri, a rapire la scena è anche il “nostro” Pietro Castellitto, per un Tedesco che sfugge dalla “macchia comica” e si traduce in un personaggio mefistofelico, energico e tematicamente fondamentale. Tornando poi sull’architettura della messa in scena, Conclave gode innanzitutto di una formidabile ricostruzione del setting, del quale la regia enfatizza ogni angolo senza ricoprire un ruolo secondario. Di alto profilo infatti il modo in cui Edward Berger gestisce la geometria dei claustrofobici spazi, tra long take, inquadrature strategiche e zoom invasivi.
Ne fuoriesce così una composizione dell’immagine a tratti sbalorditiva, dove gioca un ruolo determinante il lavoro di Stéphane Fontaine. A dir poco funzionale la cupa e soffusa fotografia del film, volta a dare vigore alle ombre ed al nascosto della stessa narrazione, oltre che nell’animo dei personaggi in scena. Ma se l’oliatissimo montaggio e l’evocativa forza immaginifica riescono a conferire alto spessore a Conclave, la profondità e l’intensità della sua visione deve anche ringraziare il suo comparto sonoro. Attraverso una corsa sfrenata di archi vibranti, le musiche composte da Volker Bertelmann (Monkey Man e premio Oscar per Niente di nuovo sul fronte Occidentale) sferrano stoccate decisive, con lo spazio che viene riempito dal sonoro anche per quanto riguarda i respiri affannati, i sussurri e soprattutto gli ingombranti silenzi spezzati dallo scorrere della penna su carta.
In conclusione, dopo l’enorme successo ottenuto con il film del 2023, il regista austriaco Edward Berger rincara la dose con un nuovo “war-movie” ambientato tra le misteriose sale del potere vaticane, per una guerra ideologica esplosa voto su voto. Conclave si mostra come un’opera imponente e perfettamente calibrata sotto tutti i suoi aspetti, siano essi più prettamente tecnici oppure emotivi. A guidare l’importante cast ci pensa un mostro di bravura ed eleganza come Ralph Fiennes: difficile dire se si tratti della sua miglior interpretazione, dando un’occhiata alla sua leggendaria carriera, ma l’attore britannico resta determinante in scena dal primo all’ultimo istante.