Articolo pubblicato il 14 Dicembre 2024 da Gabriele Maccauro
Kraven: Il Cacciatore è il nuovo cinecomic Marvel prodotto dalla Sony che tenta di superare una sfida importante: creare un personaggio tratto dai fumetti di Spider-Man che possa essere apprezzato dal grande pubblico anche senza la presenza del celebre arrampicamuri. Fino ad ora l’impresa è riuscita soltanto a Venom, dal momento che Venom: The Last Dance, uscito soltanto pochi mesi fa, è stato un successo al box office. Dall’altra parte Kraven è un villain particolarmente apprezzato dagli appassionati e che recentemente ha ritrovato notorietà grazie al ruolo fondamentale che gli è stato dato nel videogioco Marvel’s Spider-Man 2. Il suo primo stand alone riuscirà a rendergli giustizia? A seguire la recensione del film Marvel con Aaron Taylor-Johnson.
La trama di Kraven – Il Cacciatore
Kraven: Il Cacciatore è il sesto capitolo ambientato nel Sony’s Spider-Man Universe, un universo separato dal Marvel Cinematic Universe nonostante alcune connessioni con esso, anche se il film in questione non presenta riferimenti né ai lungometraggi precedenti e né ai cinecomic della Terra-616 di Kevin Feige. Si tratta dell’esordio cinematografico di Kraven e racconta le origini del personaggio. Il film infatti presenta la seguente trama:
Sergei Kravinoff è il figlio di un potente esponente della mafia russa, Nikolai Kravinoff, con il quale non è mai andato d’accordo a causa della morte di sua madre. Il rapporto invece è diverso con suo fratello Dmitri, che tiene molto a lui anche se si sente oppresso a causa del fatto che Nikolai preferisca Sergei. Dopo aver ottenuto dei poteri che potenziano notevolmente il suo fisico ed i suoi sensi in Africa, Sergei decide di abbandonare la famiglia per vivere un rapporto stretto con la natura, uccidendo bracconieri e mafiosi. A causa di questa sua decisione, l’uomo diventa noto come Kraven il Cacciatore, in quanto essere che “caccia” le persone cattive. Tuttavia, dopo molti anni lontano dal padre, il passato torna a tormentarlo, soprattutto con la comparsa di un criminale molto temibile che è deciso a sfidarlo: Aleksei Sytsevich, soprannominato Rhino.
La recensione di Kraven – Il Cacciatore
La regia di J. C. Chandor riesce a regalare alcuni momenti interessanti (uno su tutti gli occhi di Kraven che sbucano nel buio come in una vera vignetta fumettistica cupa e dark), ma si tratta di rarissimi guizzi in movimenti da macchina da presa standard e costantemente distrutti da una fotografia grigia sgradevole ed un montaggio che taglia le scene in modo troppo netto. Non si capisce per quale motivo sia stato scelto di rendere il film vietato ai minori, dal momento che le poche scene splatter vengono, in larga parte, nascoste dagli scatti di macchina ed il sangue sembra quasi voler inseguire le inquadrature nei pochi istanti in cui le gocce riescono ad apparire comprensibili pur di farsi notare un minimo. La voglia è quella di fare un cinecomic “adulto“, eppure la resa estetica è identica a quella di un blockbuster adatto a tutti, cosa che sottolinea l’estrema confusione che ha colpito questo progetto durante il periodo della sua realizzazione. Se il montaggio sembra eccessivamente dinamico nelle scene d’azione, durante i momenti in cui i personaggi parlano sembra inesistente, con la ripetizione di inquadrature che appaiono infinite, appesantendo il ritmo in una durata ingiustificamente alta. Il primo momento in cui Rhino tenta di trasformarsi, con le persone che lo osservano, sembra talmente lungo che ad un certo punto sembra di assistere alle mutazioni degli anime in cui tutti gli altri personaggi attorno ai protagonisti si fermano per assistere alla trasformazione dell’avversario, una cosa che mal si sposa con un action che tenta di essere urbano. La CGI è una delle più brutte che si siano mai viste al cinema negli ultimi anni: la fisicità degli animali non si avverte mai (in particolare una scena in cui delle antilopi nella Savana sembrano essere uscite da un film direct to video) ed il sangue viene inserito in post-produzione con una resa estremamente posticcia.
Il cast di attori non è neanche malvagio, soprattutto Aaron Taylor-Johnson che è perfetto per la parte e sembra essere l’unico a credere veramente nel progetto. L’unica eccezione è Alessandro Nivola, il quale probabilmente ha raggiunto il momento più basso di tutta la sua carriera con un’impostazione recitativa al limite di qualsiasi caricatura. Il tono del film vuole essere perennemente serio, fatta eccezione di rari momenti comici talmente gratuiti che sembrano scene aggiunte durante i reshoot perché nei test screening il pubblico ha chiesto di ridere almeno una volta. L’opera infatti ha intenzione di avere un’intensa carica drammatica inserendo dinamiche familiari molto delicate tra il protagonista e suo padre, il quale pretende dal figlio una ferocia che quest’ultimo non vorrebbe avere. Alcune scene sono anche scritte in maniera decente, come il momento in cui Dmitri confessa a Nikolai di volergli bene nonostante il suo allontanamento, ma si tratta di pochissimi sprazzi in cui l’opera si ricorda di avere la storia, perché molti momenti vengono occupati da altri personaggi che sembrano provenire da un film completamente diverso. Oltretutto, durante seconda metà del lungometraggio, quando si vuole ritornare nelle dinamiche familari, diversi colpi di scena entrano sempre più in contraddizione con tutto ciò che è stato mostrato durante la prima parte. In particolare il finale distrugge completamente qualsiasi dialogo speso tra Nikolai e Dmitri nelle scene precedenti, ed è la rappresentazione perfetta di come la pretesa di realizzare un sequel possa rovinare la caratterizzazione dei personaggi che già alla base risulta al minimo del minimo sindacale.
Il disastro di Kraven – Il Cacciatore
La caratterizzazione di Rhino rasenta i limiti del ridicolo: il backround del personaggio si lega esclusivamente ad un unico insulto ricevuto durante la sua giovinezza, cosa che sarebbe giustificabile se si trattasse di un film con personaggi che vanno alle elementari, ma qui si sta parlando di eterni rivali adulti e di figure che detengono una condizione di potere privilegiata. Rhino è lo stereotipo dello stereotipo, piatto come un foglio di carta perché il disegno del personaggio non fa altro che esprimere banale pazzia, gettando via qualsiasi possibile sfumatura che lo avrebbe potuto rendere interessante. La sua forma da rinoceronte mutante realizzata con una CGI da denuncia penale è soltanto la punta dell’iceberg, ancora di più all’inspiegabile scena in cui Alessandro Nivola fa una smorfia a caso, forse l’unico momento in cui lo spettatore può pensare che la realizzazione del film sia tutta un unico grande prank, una parodia di cui nemmeno i produttori erano a conoscenza. In assoluto la peggiore trasposizione di sempre per quanto riguarda un villain che proviene dal mondo di Spider-Man. A lui si aggiunge anche lo Straniero, un sicario ossessionato dalla figura di Kraven che si mette sulle sue tracce. Oltre ad essere completamente inutile ai fini della storia e perfetto per ingombrare ulteriormente il ritmo, possiede anche degli inspiegabili superpoteri. Questi ultimi dovrebbero essere delle tecniche ipnotiche, ma la messinscena è talmente pessima che sembra fermare il tempo come se possedesse delle capacità magiche. La confusione regna sovrana anche nella finalità di queste abilità, dal momento che il personaggio si limita semplicemente a comparire dietro alle spalle di tutte le persone che intende uccidere. Lascia senza parole, nel senso più negativo del termine, il fatto che questo assassino venga presentato tre volte prima di incontrare i protagonisti con scene identiche tra loro: se si considera la varietà inesistente dei suoi superpoteri, mancava soltanto che pronunciasse la parola “bubù-settete” dietro ogni apparizione per ricordare al pubblico che si sta assistendo ad una parodia, ma purtroppo il film si prende quasi sempre sul serio.
Da questo pasticcio non sfugge lo stesso protagonista, la cui caratterizzazione non viene mai approfondita bene. L’opera vorrebbe costruire un’ambiguità tra la sua natura da cacciatore di criminali ed il suo legame con il padre mafioso, cercando di fare intuire come i due possano non essere tanto diversi, ma il personaggio non ha mai un momento in cui la sua furia omicida sembra ribaltare davvero il suo animo rispetto alle condizioni precedenti. Anche i suoi poteri non vengono rappresentati bene davanti alle cineprese, con rari momenti in cui lo si vede muoversi come un animale diversamente da molte scene in cui non è diverso da un semplice esperto di arti marziali. Il momento in cui striscia sulle scale a pochi centimetri di distanza da due guardie, senza che queste si accorgano mai di lui, è un’altra scena che fa pensare di stare assistendo ad una parodia involontaria. L’unica abilità interessante, al di là dell’orrenda CGI, è l’utilizzo degli animali con i quali instaura un legame. Non viene dato spazio nemmeno alla natura “spirituale” dei suoi poteri: nei flashback sembra strizzare l’occhio al Superman di Richard Donner come un viaggiatore che improvvisamente si sente il prescelto per qualcosa di più grande che lo richiama, mentre nel presente sembra solo un uomo che ha subito una mutazione. Anche il trauma della madre morta è inserito nel film apposta ed ogni flashback è fortuito, poiché non porterà a nessun confronto interiore nelle decisioni di Kraven. All’inizio del film il personaggio sembra inoltre essere a capo di un’organizzazione che possiede stretti collaboratori, ma questi ultimi spariscono dopo la prima scena d’azione. A tal proposito, Calypso è uno degli aiutanti più inspiegabili di sempre all’interno della storia: Kraven la recluta perché vuole che lei gli trovi dei criminali che sanno essere nascosti, eppure seguire le tracce delle persone dovrebbe proprio essere una delle più importanti caratteristiche di Kraven. Ci sono persino delle scene in cui il protagonista riesce a trovare effettivamente dei villain dal nulla e senza il coinvolgimento di Calypso, quindi a che scopo inserirla nel film? La confusione continua ad essere sovrana in una sceneggiatura completamente pasticciata.
Ovviamente da questo pasticcio il disegno editoriale è completamente assente, con diversi riferimenti alla mitologia di Spider-Man ma nemmeno uno che faccia pensare alla presenza dell’arrampicamuri all’interno del mondo, così come non c’è nessuna citazione a nessun capitolo del Sony’s Spider-Man Universe precedentemente realizzato. Kraven: Il Cacciatore non è soltanto la pietra tombale di un universo del quale non si è mai compreso l’impostazione editoriale (e che attualmente è stato messo in pausa dalla Sony stessa), ma la trama che si contraddice in ogni scena, i dialoghi banalissimi, la pessima messinscena, i villain terribili ed il ritmo estremamente pesante lo rendono uno dei peggiori cinecomic mai realizzati. Se inoltre si considera le grandi potenzialità di Kraven come personaggio sul grande schermo, allo smacco viene aggiunta l’irritazione per lo spreco, dal momento che si poteva utilizzare il cacciatore come villain di un film di Spider-Man ed invece si è andati a parare su un orribile stand alone.