Articolo pubblicato il 10 Dicembre 2024 da Andrea Boggione
Tra i titoli premiati alla 42° edizione del Torino Film Festival c’è “Ponyboi”, un film diretto da Esteban Arango (“Blast Beat”, 2020), al suo secondo film dietro la macchina da presa, un riadattamento dell’omonimo cortometraggio di River Gallo, il quale ha scritto la sceneggiatura di questa trasposizione, oltre ad impersonare il protagonista della storia. Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival, il lungometraggio è arrivato anche nelle sale italiane attraverso il precedentemente citato 42° TFF, tra i titoli in concorso. Di seguito la trama e la recensione del film di Esteban Arango.
La trama di “Ponyboi” di Esteban Arango
Ambientato la notte di San Valentino nel New Jersey, Stati Uniti, “Ponyboi” racconta di una giovane sex worker inter-sessuale, River Gallo, che lavora part-time in una lavanderia a gettoni, il suo capo e amante Vinnie (Dylan O’Brien) gestisce anche una rete di prostituzione e organizza un nuovo incontro erotico per Ponyboi. Un appuntamento che cambia notevolmente la vita del sex worker, il quale si ritrova invischiato in qualcosa di più grande di lui ed è costretto a fuggire. Come se non bastasse suo padre è in fin di vita e attraverso la madre chiede a suo figlio di tornare a casa, l’uomo è in cerca del perdono perché non ha mai accettato il percorso intrapreso da Ponyboi.
La recensione del film in concorso al 42 TFF: Ponyboi
All’interno di un’edizione particolare del noto festival piemontese spicca tra i migliori titoli in concorso il nuovo film di Esteban Arango “Ponyboi”: la storia di una sex worker inter-sessuale che tenta di campare lavorando anche in una lavanderia a gettoni, ma una sola notte cambierà tutta la sua esistenza e determinerà il suo futuro. Una pellicola composta da una grana “sporca” e grezza che alterna momenti più accessi e colorati ad altri più crudi e cupi, dove si parla e si affrontano tante tematiche differenti: dal lavoro allo sfruttamento, senza tralasciare l’ambientazione ovvero quell’America dei primi anni 2000. Non manca poi un discorso di fondo che mescola realtà e onirico, le quali determinano il profondo viaggio interiore di Ponyboi.
A dare lustro al film presentato al TFF ci pensa River Gallo, filmmaker, attore, modello e attivista che, oltre ad essere il protagonista, ha dato effettivamente vita a questo progetto cinematografico adattando una sua personale opera d’arte performativa teatrale ed un cortometraggio. La sua prova e performance dona alla pellicola quella forza in più che non può far altro che colpire il cuore del pubblico. Il film, fin dal principio, si presenta come un grande invito a riprendere il controllo della propria vita, trovare o ritrovare sé stessi ed il proprio percorso più personale, confrontarsi continuamente con il proprio passato.
Tutto passa attraverso gli occhi e lo sguardo di Ponyboi, un personaggio di cui viene presentato il personale background per poi approfondire il suo presente e futuro lungo la narrazione. Tutto quello che avviene intorno funge non solo da grande cornice, ma al suo interno si sviluppano storie secondarie o momenti fondamentali per la riuscita della pellicola. Gli stessi Dylan O’Brien, Victoria Pedretti, Indya Moore e Murray Bartlett regalano una serie di performance eccezionali, contrapponendosi alla perfezione con l’esuberanza e la schiettezza della sex worker protagonista, oltre a rappresentare quel legante perfetto per la creazione di un racconto molto stratificato.
L’unica pecca di “Ponyboi” resta il finale: un momento estremamente toccante ed emozionate, ma probabilmente un po’ scontato e fin troppo buonista visto i canoni della storia, almeno fino a quel momento. Un epilogo più aperto a teorie o sguardi al futuro incerto del protagonista avrebbe reso il prodotto nel complesso ancor più accattivante e interessante. Nonostante questo difetto, il film di Arango riesce a proporre sul grande schermo una dura lotta per la libertà e la sopravvivenza, un qualcosa di inaspettato che sconvolge gli equilibri di un racconto apparentemente lineare e poco elaborato, almeno inizialmente.
Ponyboi è un incredibile road movie interiore
“Ponyboi”, nel suo essere River Gallo centrico, è in tutto e per tutto un incredibile road movie interiore, un film che attraverso la storia del protagonista lancia un profondo messaggio di libertà. Tra colori e scintille prende forma un vero e proprio lungo viaggio che lo spettatore intraprende assieme al protagonista, con cui è difficile non empatizzare. Musiche, scenografie, costumi, tutto si amalgama quasi perfettamente e quelle piccole imperfezioni rendono ancor più speciale un film sotto un certo punto di vista psichedelico ed elegante.
Quello che non manca al lungometraggio in concorso al TFF è un proprio ed identificabile stile, una caratteristica unica per un progetto di questo tipo, opera seconda di un autore con per lo più attori emergenti, tolto qualche volto più noto in quel di Hollywood. Tra riflettori ed oscurità prende forma una storia di dolore e sofferenza, ma anche di amore e spirito di rivalsa, un dramma che riesce allo stesso tempo ad unire action, gangster movie e commedia romantica. Non a caso tutto avviene proprio durante la notte di San Valentino, un momento dell’anno perfetto per raccontare amori presenti, passati e potenzialmente futuri, in un mix tra poesia e concretezza che traspare dallo sguardo di un sorprendente River Gallo, la vera rivelazione di questo Torino Film Festival.