A seguito della squalifica che ha interessato Nicolò Fagioli per 7 mesi di campionato di Serie A, si era parlato della possibilità di un documentario che riguardasse la sua storia, che sarebbe stato presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia. Così è stato e, con la produzione di Juventus Creator Lab. (lo studio incaricato anche dei principali video e contributi grafici della società) e la regia di Francesco Cavagnino, è stato distribuito in streaming FRAGILE – La storia di Nicolò Fagioli, un documentario dalla durata di 42 minuti sul calciatore della Juventus. Ma qual è il risultato di ciò che si può osservare sulla piattaforma?
La trama di FRAGILE – La storia di Nicolò Fagioli: di che parla il documentario sul centrocampista della Juventus?
Prima di proseguire con la recensione di FRAGILE – La storia di Nicolò Fagioli, è bene considerare innanzitutto quale sia la trama di questo lavoro prodotto da Juventus Creator Lab. Per comprenderla bisogna considerare quel momento in cui, a seguito delle indagini della Procura di Torino e di quelle dichiarazioni diventate note di Fabrizio Corona, Nicolò Fagioli (e non solo, stessa sorte è toccata anche a Sandro Tonali) è stato squalificato per scommesse realizzate su piattaforme di gambling illegali, che hanno interessato anche partite in cui è sceso in campo. A partire da quel momento, il documentario si occupa di ricostruire parte della storia attraverso le reazioni di familiari, amici e compagni di squadra, con un focus anche determinato dall’intervento dello psicoterapeuta del calciatore e di Walter Veltroni, che ne traccia un profilo dal punto di vista psicologico.
La recensione di FRAGILE – La storia di Nicolò Fagioli: un me ne lavo le mani di biblica memoria
Il momento in cui la Serie A ha conosciuto, nel corso della stagione 2023/2024, il suo ennesimo scandalo è stato accolto in maniera molto particolare da parte di giornalisti e addetti ai lavori, con la (nuova) discesa in campo di Fabrizio Corona accolto come fine e unico conoscitore della verità relativa alle scommesse illegali che sono state realizzate tra numerosi calciatori di Serie A. Quello di Nicolò Fagioli è stato il primo nome offerto, ma non l’unico: accanto a quello di Sandro Tonali, anch’egli squalificato così come il connazionale, si è parlato di tanti altri profili per cui la sorte è stata differente e le indagini hanno portato ad un nulla di fatto. Che capitalizzare su ogni evento sia il mantra di un mestiere che fa dell’eccessivamente mediatico la sua vocazione non è di certo una sorpresa, ma è stato quanto meno curioso osservare che – ad occuparsi di un documentario che avrebbe parlato della storia del calciatore – sarebbe stata proprio la Juventus stessa, per mezzo del suo Creators Lab. generalmente impegnato in produzione di video e contenuti grafici per la società.
Del resto, quella che si osserva è la seconda collaborazione tra Juventus e Amazon Prime Video, con la prima che aveva visto le telecamere entrare negli spogliatoi e nei meandri del club per raccontare la realtà non vista della squadra: il risultato, in quel caso, era stato profondamente stucchevole, dunque appariva certamente necessario porgere anche l’altra guancia per una storia che interessa non tanto il non detto di una squadra, quanto il detto troppo poco a proposito del calciatore. 42 minuti sono decisamente pochi per questo lavoro, ma anche fin troppi per quello che è lo stile e il valore che il documentario porta con sé; nel tentare di delineare, anche senza troppo approfondimento, la storia del calciatore e il momento in cui si giunge alla squalifica, due sono i punti cardine del documentario: associare immediatamente la ludopatia ad una funzione clinica e psichiatrica da un lato, lavarsene le mani dall’altro. Con la seconda operazione che riesce sicuramente in maniera più convincente, poiché ogni voce sembra richiamarne l’eco, ciò che si trova al centro del tutto è proprio Nicolò Fagioli, colto tra qualche pettinata di capelli e qualche guizzo in campo che però non sembra mai del tutto interessante. Sì, perché l’oggetto dell’interesse del documentario diventa ben presto non il racconto del dramma calcistico, sportivo e anche penale del centrocampista della Juventus, ma il tentativo della Juventus stessa di divincolarsi da qualsiasi accusa relativa a coinvolgimento o supporto del calciatore.
Un lavarsene le mani di biblica memoria, dove non c’è di certo (in questo caso) da mettere alla gogna o sulla croce qualcuno: l’evento è dato, i fatti sono accaduti e nel raccogliere i cocci, FRAGILE – La storia di Nicolò Fagioli avrebbe potuto semplicemente elencare il tutto, non assumendo una pretesa di commento o di valutazione tanto clinica quanto etica di tutto ciò che si osserva; invece, si sceglie il peggio sotto tutti i punti di vista: nel tentare di ricostruire il quadro psichiatrico del calciatore si simulano (si vuole sperare) delle sedute tra Fagioli e il suo terapista, venendo meno al principio fondamentale secondo il quale la terapia rappresenta un aspetto di privacy della persona; di fatti, il suo medico curante spiattella ai quattro venti contenuti delle sedute e valutazioni cliniche del calciatore, probabilmente non soltanto deturpando soltanto l’immagine moralista del documentario, ma contravvenendo anche ai cardini del lavoro di uno psichiatra. E ancora, famigliari e fidanzata sono (evidentemente) colti in una fase di impasse, a metà tra quell’affetto che sono incapaci di dimostrare e quelle frasi di rito che hanno necessità di pronunciare – per motivi che non si ha bisogno di spiegare – per condannare ogni atto di Nicolò Fagioli; appare francamente destabilizzante sentir parlare un fratello le cui uniche dichiarazioni sono di invidia e disprezzo per un caro, così come l’effetto è il medesimo quando le parole di un padre o di una madre fanno riferimento al solo errore di un figlio, non mettendo mai in discussione qualsiasi altro punto. C’è chi urlerebbe allo scandalistico poiché si vuole nascondere qualcosa – e non si vuol fare lo stesso in questa sede -, ma è evidente che, al di là dei contenuti, sia la forma dell’intero documentario il problema: banale, piatta, trita e ritrita, con dichiarazioni concordate e frasi da slogan (ha mentito a tutti, si affretta a dire con pochissime parole Manuel Locatelli), che hanno l’obiettivo non di documentare – e dunque si tradisce la formula basica del lavoro stesso – ma di fornire quasi una dichiarazione di non responsabilità dell’ambiente societario, che nei fatti si mostra con il solo Giuntoli che assicura un rinnovo di contratto al calciatore. Quella che si osserva è una vergogna mediatica, lo si dice senza troppa ipocrisia, che lucra sul dolore, che minimizza il problema (pur riconoscendolo), che non approfondisce le cause e gli aspetti necessari e che ha, come unica finalità, quella di proteggere un ambiente che – a dire il vero – nessuno aveva attaccato. E la vera vittima, indipendentemente da cosa si possa pensare del caso Fagioli, di tutta questa storia viene lasciata, senza neanche troppo riflettere, in preda alla gogna pubblica.