Esce nelle sale italiane il 14 novembre 2024 Giurato numero 2, l’ultimo film diretto dal leggendario attore e regista Clint Eastwood. Sarebbe impossibile riassumere in poche righe il lavoro di una vita intera, tuttavia si può facilmente accomunare il film in questione con diversi lavori del cineasta americano realizzati negli ultimi anni in cui viene analizzato, da diversi punti di vista, il rapporto tra il singolo individuo e il potere statale/giudiziario. Nello specifico non si possono non citare Sully (2016) e Richard Jewell (2019), due film magnifici in cui dei cittadini esemplari vengono messi alla gogna per atti eroici. Giurato numero 2 è costato 35 milioni di dollari ed è stato prodotto dalla Warner Bros. A tal proposito: com’è Giurato numero 2? Di seguito la recensione del film.
La trama di Giurato numero 2, film diretto da Clint Eastwood
Giurato numero 2 è l’ultima opera del regista americano Clint Eastwood, un legal-drama che vede tra i suoi protagonisti Nicholas Hoult, nei panni di un padre di famiglia che si trova chiamato a far parte di una giuria in un caso di omicidio nel quale il suo coinvolgimento è più profondo di quello che sembra. Ma di cosa parla effettivamente il film? Segue la trama di Giurato numero 2 (Juror #2):
Giurato numero 2 segue le vicende del padre di famiglia Justin Kemp (Hoult) che, mentre presta servizio come giurato in un processo per omicidio di alto profilo, si ritrova alle prese con un serio dilemma morale, uno di quelli che potrebbe usare per influenzare il verdetto della giuria e potenzialmente condannare o al contrario liberare l’accusato di assassino.
La recensione di Giurato numero 2, di Clint Eastwood con Nicolas Hoult
Nulla nell’ultimo film di Clint Eastwood è lasciato al caso, ogni dettaglio è studiato a tavolino in quello che vuole evidentemente essere un lascito del regista americano più ricco di quesiti che di risposte. In primo luogo a essere significativo è il momento in cui la storia prende forma. Le elezioni che incombono sulla vita dei personaggi devono essere lette con una duplice chiave di lettura: da un lato quelle avvenute nella realtà hanno motivato Eastwood a interrogarsi nuovamente circa il rapporto tra la morale pubblica e privata statunitense, dall’altro nell’universo filmico l’approssimarsi di questo evento influenzerà in modo più o meno diretto lo svolgimento della pellicola. Ancor più di quanto già avvenuto in Richard Jewell e Sully, Giurato numero 2 si presenta come un trattato sulle istituzioni democratiche americane. La programmaticità dell’opera in tal senso è lampante, ogni personaggio sembra svolgere prima ancora di una funzione drammaturgica una propriamente civile e questo avviene fin dal titolo. Mentre infatti le due pellicole sopracitate rimandano direttamente al nome del protagonista, in questa si mette in evidenza la funzione che è chiamato a svolgere per servire la sua comunità di appartenenza, delineando in questo modo l’approccio filosofico dell’opera.
Ogni protagonista con i suoi mezzi e le sue conoscenze si mette al servizio del Paese e della giustizia, correttamente definita dal giudice “ciò che meglio approssima la verità“. Questa varietà di caratteri si manifesta anche mediante le loro professioni che li definiscono chiaramente nella società civile e, come sempre accade nei film di Eastwood, l’occhio del regista non giudica ma espone soltanto, senza classismo o pregiudizi di sorta.
Il film si rifà, nella sua sezione centrale, in modo plateale al capolavoro di Sidney Lumet La parola ai giurati, tuttavia giungendo a conclusioni quasi diametralmente opposte. Nel film del 1957 la tesi di fondo era che la società statunitense sarebbe stata in grado di superare le proprie divisioni ideologiche, razziali e generazionali addivenendo a una sintesi che l’avrebbe intrinsecamente migliorata. In Giurato numero 2 di questa consapevolezza è rimasto un fievole baluginio martoriato dalle laceranti divisioni odierne che mettono a repentaglio il funzionamento del sistema stesso. Mentre in Sully e Richard Jewell i protagonisti si rivelavano essere paladini della società civile, in Giurato numero 2 Justin Kemp è un uomo dal passato tortuoso, che sceglie a più riprese il proprio bene a dispetto di quello della società. Esteriormente tuttavia Justin è un marito modello e un (futuro) padre ideale che Eastwood descrive magistralmente fin nei minimi dettagli come un uomo la cui indole è sempre tesa a ingraziarsi il prossimo e questo suo carattere riesce perfettamente a districarsi nelle maglie di un sistema giudiziario e investigativo pubblico deficitario che è sottofinanziato e preda di individui il cui fine è far carriera e non compiere la giustizia. Nella seconda parte del film tuttavia (a seguito di un colloquio decisivo con il personaggio interpretato da un ottimo J.K. Simmons) emerge la controparte del protagonista, ovvero Killebrew (Toni Collette). La procuratrice è il vero personaggio a subire un’evoluzione narrativa nel corso del film e la sua trasformazione interiore si rivelerà cruciale per la lettura del finale. Fino a che punto svolgerà il suo ruolo di civil servant riuscendo a tracciare una netta linea tra il suo successo personale e il suo dovere? La complessità di Giurato numero 2 sta proprio nelle sfaccettature dei suoi personaggi che più volte si contraddicono e le cui intenzioni risultano sempre sfuggevoli all’occhio dello spettatore.
Eastwood infatti conclude la pellicola con due morali che collidono fatalmente: quella pubblica contro la privata, l’interesse personale contro quello collettivo. Questo confronto finale avviene con l’ennesima grandissima intuizione registica della sua carriera, un campo e contro campo che lasciano lo spettatore con il cuore il gola e un grandissimo interrogativo. La scelta è quasi dirompente nella sua forza e mette in mostra l’inossidabile lucidità del cineasta che fino al suo ultimo secondo cinematografico continua a porsi quesiti invece di fornire risposte.