Dopo l’inaspettato successo di Terrifier 2, Art il Clown è ritornato a terrorizzare gli spettatori nelle sale, comprese quelle italiane. La fama del villain si è ormai estesa in tutto il mondo ed il killer è divenuto iconico quanto figure come Freddy Krueger, Pinhead e Annabelle. Il sequel di Damien Leone è infatti uno straordinario successo al box office e la sua corsa non si è ancora arrestata, continuando a sconvolgere i canoni di Hollywood, industria che ancora stenta a credere quanto una saga che appartiene ad una nicchia precisa del cinema indipendente sia divenuta così popolare. Ma oltre alla grande intelligenza produttiva il film sarà riuscito a mostrare anche qualcosa di più? A seguire la recensione in anteprima di Terrifier 3.
La trama di Terrifier 3
Terrifier 3 è il terzo capitolo dell’iconica saga creata da Damien Leone con protagonista Art il Clown (escludendo Terrifier: L’Inizio, il quale è una raccolta antologica che contiene i primi cortometraggi a bassissimo budget in cui è apparso il pagliaccio e che è apparentemente sconnesso dalla linea narrativa). Gli eventi del film sono ambientati cinque anni dopo quelli del secondo ed infatti l’horror presenta la seguente trama:
Dopo essere sopravvissuti alla furia omicida di Art Il Clown, Sienna e il fratello Jonathan tentano di ricostruire la propria vita e godersi il Natale: infatti la sorella maggiore andrà a passare le feste dai suoi zii che abitano con la tenera nipotina Gabbie. Lo spietato clown però non è morto come loro credono e stavolta ha dalla sua parte anche Victoria, la donna protagonista del primo film che è completamente impazzita dopo essere stata sfigurata per sempre, divenendo anch’essa una carnefice sanguinaria. Entrambi infatti hanno altri piani per i poveri ragazzi che torneranno ad essere tormentati, ma non prima che la coppia perversa faccia una nuova strage, portando nella cittadina un Natale che sarà impossibile da dimenticare…
La recensione di Terrifier 3
Damien Leone ritorna a dimostrare una grande abilità nel saper giocare con la tensione, cosa che compie fin dal bellissimo inizio che omaggia il cult Natale Di Sangue di Charles E. Sellier. Nel prologo infatti Art uccide in modo graduale: prima la macchina da presa cattura soltanto i suoni dell’accetta del killer, facendo percepire quello che sta accadendo, poi le riprese si evolvono, continuando a far avvertire i suoni ma con l’arma ed il corpo che sono presenti nell’inquadratura mentre le ferite vengono nascoste. Successivamente l’attacco di Art si trasforma in un’esplosione di violenza con arti mutilate e fiumi di sangue che schizzano all’interno dell’abitazione. Infine l’autore termina la sua ferocia tornando nuovamente nell’impostazione del “non vedo“, ma stavolta, a differenza dell’uso del sonoro realizzato prima, nella sequenza finale porta l’occhio della telecamera verso un solo dettaglio che esprime tutta l’angoscia provata all’interno della scena. Damien Leone riassume più modi di girare un film horror in un’unica strage terribile quanto geniale. I momenti splatter sono creati attraverso un make-up meravigliosamente realistico e stavolta, anche quando nelle parti in cui c’è una forte esagerazione accompagnata da un’ironia macabra, le gravi ferite create da Art non fanno percepire quei momenti tarantiniani che erano presenti nel secondo capitolo e che cancellavano parte della perversione espressa dal villain. Stavolta infatti c’è maggiore equilibrio ed è percepibile qualsiasi oggetto che penetra nella carne delle povere vittime, anche grazie all’eccellente sonoro già citato in precedenza.
La maggior parte della regia di Damien Leone è costruita attraverso il semplice uso di tre inquadrature: primi piani, piani medi e dettagli. Questa impostazione è tipica del cinema indipendente a bassissimo budget, cosa che, nei capitoli precedenti, permetteva a diversi contestatori della saga di accusare il regista di non essere capace di andare al di là di sequenze “scolastiche“. Inoltre si ricorda che i capitoli precedenti partono proprio dal cinema più indipendente che ci sia: il primo capitolo era costato 35.000 dollari, mentre il secondo 250.000, cifra che, per quanto fosse aumentata, era sempre risibile rispetto alle più basse produzioni horror di Hollywood. Se però tali budget permettevano ai contestatori di ritenere il lato visivo di Leone un limite del suo cinema, questo terzo capitolo è invece girato con 2 milioni di dollari, cioè il doppio del budget speso per la realizzazione dell’amato X: A Sexy Horror Story. Quando i soldi aumentano così tanto, è chiaro che la perseveranza del regista in questa impostazione visiva non sia un limite, bensì una scelta stilistica ben precisa, cosa che viene evidenziata anche dalla fotografia di George Steuber che è volutamente sgranata, aumentando quel grezzo senso di vintage. L’obiettivo di Damien Leone è quello di servirsi del cinema underground per invitare lo spettatore a capire che questo stile grezzo può nascondere in realtà tanti elementi positivi: una volta che si è stregati da Terrifier, si comprende che quelle pellicole sporche e perverse, spesso fatte con due lire e con uno sfogo di violenza inaudita che tira fuori ogni limite della censura, possono essere divertenti ed espressive quanto il cinema horror mainstream cercato dagli spettatori e quanto il cinema d’autore premiato dai festival.
Damien Leone vuole quindi trasformare il cinema underground in cinema popolare, non tradendo quella sporcizia che caratterizza non solo le sue opere, ma l’indipendenza di un intero sistema che molto spesso viene ignorato. Gli stessi omicidi realizzati da Art si spingono verso le più crudeli morti da torture porn, le quali sono sempre state una caratteristica dei registi horror indipendenti che, proprio perché appartengono ad un circuito a basso budget relegato ai siti streaming ed al direct to video, si lasciano andare a qualsiasi maciullamento dei corpi dei personaggi che in altri contesti non potrebbero fare. Infatti se si pensa anche solo al cinema italiano indipendente girato con poche migliaia di euro, vengono in mente anche i film di Davide Pesca che, in un mercato formato da pochissimi spettatori estremi, non smettono mai di inserire sequenze che si abbandonano a momenti disgustosi e rivoltanti. Per quanto la qualità (povera) di Davide Pesca non solo non possa essere paragonata al grande talento di Leone, ma non valga nemmeno quella di cineasti italiani ben più interessanti come Fabrizio La Monica e Federico Sfascia, è indubbio che il fascino che il regista pone per la violenza appartenga ad un cinema che inserisce nello scandalo la sua maggiore espressione e che Damien Leone vuole proteggere ed elevare a tutti i costi. Infatti la distribuzione di Terrifier 3 ha persino sfidato la censura, rifiutandosi di far classificare in America il rating del film, il quale comunque ha attirato l’attenzione grazie alla popolarità del secondo ed alla grande campagna dei social, confermando quanto il sequel sappia aggirare il sistema ed uscire fuori dagli schemi proprio come fa già visivamente.
Ciò viene evidenziato anche negli avvenimenti del film, perché tutti i personaggi che vengono inquadrati nella telecamera, uomini, donne, adolescenti o bambini che siano, possono essere uccisi dal clown, non si fanno distinzioni dovute alla moralità o al senso della decenza. Tutti possono essere vittime, perché la cinepresa di Damien Leone, unita all’eccellente make-up già citato, non si pone alcun limite. Nessuno è al sicuro e nessun cliché tipico del genere è obbligato a salvare i personaggi, tenendo costante l’ansia per la loro sorte fino alla fine del film. Come Art il Clown tortura le povere vittime, si può pensare che così Terrifier 3 tortura invece l’industria di Hollywood, sfidandola dove il cinema horror americano popolare contemporaneo non poteva spingersi fino ad ora. Il minimalismo di Damien Leone diventa quindi un segno distintivo della propria mano autoriale.
La cattiveria beffarda di Art il Clown in Terrifier 3
Ancora una volta Art il Clown si dimostra essere un villain formidabile, con David Howard Thornton che realizza nuovamente una delle più grandi performance mai ottenute per il concepimento di un’icona horror attraverso espressioni facciali con tempi perfetti e movenze da mimo inquietanti e divertenti allo stesso tempo. Ormai il volto di Thornton è l’anima del personaggio quanto quello di Robert Englund lo è per Freddy Krueger. È incredibile come il killer si alterni tra momenti ironici in cui il film sembra quasi trasformarsi in una commedia a quelli in cui torna ad essere un horror puro dove la gente soffre. Art è un bambino che gioca con i suoi giocattoli, cosa che viene dimostrata nell’esilarante scena in cui impazzisce di gioia appena vede un uomo vestito da Babbo Natale. Durante le feste, accompagnate da canti natalizi che fungono da contrasto ai momenti più crudeli (cosa che del resto avveniva anche nel capolavoro Black Christmas: Un Natale Rosso Sangue di Bob Clark), Art paragona i falli degli uomini con la sua motosega che penetra l’interno dei corpi, così come usa le budella come decorazioni natalizie da appendere agli alberi. Art trasforma ciò che viene considerato bello in qualcosa di orribile, ma quel qualcosa di orribile è invece bello per Art. Infatti il killer, vestito anch’esso da Babbo Natale, porta terrore alle persone e di conseguenza gioia a sé stesso. Se le vittime soffrono, è di certo il clown assassino a passare un Natale meraviglioso: infatti non è un caso che il pagliaccio faccia la forma di un angelo agitando le gambe e le braccia nel sangue di una sua vittima piuttosto che nella neve.
Questa alternanza tra bellezza e orrore è ciò che ormai definisce tutta la saga. Damien Leone infatti dimostra come l’esagerazione dello splatter, definita vomitevole da alcuni, sia fonte di divertimento per altri, tra cui lo stesso Art. Del resto questi due punti di vista avvengono in contemporanea proprio con le proiezioni di Terrifier 3, perché da un lato gli spettatori reagiscono spaventati ed intrattenuti dal film, mentre altri sono così disgustati da abbandonare la sala, cosa successa anche durante le anteprime italiane. Questo terzo capitolo è la consacrazione definitiva della personalità di Art, per il quale viene anche approfondita la mitologia. Infatti alcuni dialoghi spiegano la reale natura delle vittime del clown, ma quelle poche frasi esplicite servono a gettare le basi affinché lo spettatore metta insieme gli indizi da solo per capire che cosa il villain sia, in modo da non rendere il tutto eccessivamente didascalico e mantenere un’interessante ambiguità. Le uccisioni, oltre ad essere enormemente creative, sono in larga parte imprevedibili nel modo in cui vengono applicate, aumentando l’inquietudine del gore. Inoltre c’è anche una critica forte nei confronti dell’ossessione verso i serial killer ed i casi di cronaca, con gli spettatori che si appassionano agli avvenimenti di Sienna e di Jonathan, venendo intrattenuti da queste storie che sono accadute ma allo stesso tempo mancando di rispetto ai due personaggi, i quali affrontano ancora il ricordo delle vicende con estremo dolore. Si desidera osservare da vicino avvenimenti così macabri, ma di certo è tutta un’altra storia vivere quelle stesse vicende, con Art che si fa beffe di chi prova fascino per lui. Ancora una volta Damien Leone mostra due lati creati dagli omicidi: l’attrazione per il male e le conseguenze di quest’ultimo, cosa che era stata accennata già in Terrifier: L’Inizio, il suo film d’esordio precedentemente citato. È buffo che nel 2024 sia questo film che Joker: À Deux, entrambe opere con clown assassini uscite nello stesso periodo, abbiano trattato lo stesso tema seppur in modi diversi.
La final girl di Terrifier 3
Sienna Shaw, interpretata da una bravissima Lauren LaVera, non è riuscita ancora a superare il trauma della lotta in Terrifier 2, avendo allucinazioni che creano in lei una vera e propria violenza psicologica, cosa che viene applicata anche da Art per indebolirla maggiormente. Sienna rappresenta una vittima che viene distrutta dalla violenza gratuita applicata dal male, il quale, dopo essersi imposto prepotentemente nella vita di un innocente, continua a fare dei grossi danni. Una delle frasi ricorrenti contro Sienna è infatti l’idea che sia lei la causa delle sue vittime, perché essendo Art attratta da lei allora le persone attorno muoiono. Si tratta della tipica orribile scusa che viene applicata alla vittima che subisce una violenza e che poi, a causa dei pregiudizi della gente, sembra obbligata a sentirsi in colpa per la sua stessa esistenza. Infatti colpiscono al cuore le scene in cui Sienna soffre e si sente a disagio perché i suoi stessi parenti hanno difficoltà ad accogliere quella che sembra una malata. Se Sienna ha estrema difficoltà a combattere il male che continua a tormentarla, dall’altra parte Victoria Heyes, protagonista del primo film, è divenuta un burattino di Art, provando gioia per le uccisioni del killer e divenendone complice, quasi come se fossero entrambi divenuti Bonnie e Clyde. L’omicidio subito ha talmente contagiato Victoria, la cui psiche è ormai definitivamente andata a causa del volto sfigurato dal clown, che la vittima diviene lei stessa origine dei successivi omicidi.
Ancora una volta Damien Leone mostra due lati diversi dell’accoglienza nei confronti della violenza: Victoria non è altro che il lato oscuro di Sienna se quest’ultima fosse crollata definitivamente, anche se la final girl del primo film ha avuto un destino molto più tragico di quello successo a Sienna nel secondo capitolo. L’autore però estende il significato di Sienna, inserendo espliciti riferimenti alla religione e paragonando la protagonista a Gesù Cristo. La cosa ironica è che per i due killer tale caratteristica è fonte di scherno, perché il figlio di Dio, sulla croce, sembra apparentemente inutile essendo ferito e non potendo fare nulla, esattamente come Satana schernisce il sacrificio in alcune riletture cinematografiche della Bibbia (si pensi a La Passione Di Cristo di Mel Gibson). Di conseguenza Sienna deve scegliere tra l’arrendersi al peso della propria croce oppure alzarsi e divenire non solo una martire, ma una vera e propria salvatrice che sceglie di ribellarsi al male debellando Art dal mondo e risparmiando quindi altre sofferenze ad ulteriori persone. La donna violentata che sceglie di ribellarsi all’oppressione diviene quindi una figura divina, la più alta icona da rispettare. La lotta tra Sienna e Art rappresenta il divario tra bene e male che riprende le figure di Gesù Cristo e di Satana, con la differenza che il primo mostra umanità e gentilezza, mentre il secondo soltanto irrazionale ferocia e distruzione.
A Gesù Cristo viene affiancato però un angelo, ovvero Gabbie, la piccola cugina di Sienna. Lei infatti vede nella cugina più grande una guerriera che ha combattuto, per questo nutre in lei una grande ammirazione, tanto che è la ragazza più attenta alla sua sensibilità e pone costante interesse in quello che ha da dire, non vedendola come una pazza. Se Sienna mette paura nei genitori di Gabbie, per la bambina la ragazza è affascinante perché ha sofferto e dalla sua sofferenza è rinata, divenendo un punto di riferimento per lei. Infatti Gabbie è anche una bambina che ama sentire e raccontare storie, mentre Sienna adora truccare e costruire costumi, quindi c’è anche la sensibilità dell’artista che accomuna entrambi. Non è un caso che il costume da cosplayer di Sienna presente nel secondo film, il quale torna ad essere citato in questo terzo capitolo, sia nato da una storia a fumetti richiesta da Sienna stessa al padre disegnatore quando era bambina, poiché sentiva il bisogno di un personaggio che potesse rappresentarla. Damien Leone rimarca quindi la figura dell’eroina ed evidenzia il significato che questi eroi hanno verso le nuove generazioni. La visione pop dell’eroe viene paragonata a quella più sensibile e delicata che viene raccontata nelle religioni, elevando la figura della final girl all’ennesima potenza. Infatti Victoria, in quanto ex final girl, è un angelo caduto che si trasforma in demone, mentre Sienna si trasforma nel messia che salverà l’umanità. Profanazione e santificazione si mischiano in un unico profondo contrasto in cui i due lati a volte quasi non si distinguono, ma il femminismo raccontato da Damien Leone è estremamente evidente.
Il motivo per cui Damien Leone sceglie di far durare il suo slasher due ore (con una scorrevolezza maggiore rispetto a quella del film precedente) è perché pone molta attenzione all’approfondimento emotivo dei suoi personaggi. Anche alle figure secondarie vengono dati momenti di umanità in cui molti ci si possono immedesimare, in modo che le cattiverie di Art appaiano ancora più tragiche e non siano limitate ad un semplice divertimento perverso del quale lo spettatore deve godere. Un’altra splendida caratteristica del film è l’alternanza tra sogno e realtà: nella psiche di Sienna avvengono infatti forti allucinazioni ed a volte l’intelligente montaggio rende difficile distinguere la fase paranormale (con ulteriori omaggi a Nightmare: Dal Profondo Della Notte di Wes Craven) da quella che avviene nel mondo terreno. L’impostazione narrativa di queste differenze sottili richiamano ad espedienti usati nel cinema di Rob Zombie (si pensi ad Halloween II) ed infatti non è un caso che nel cast del film sia presente Daniel Roebuck, un caratterista che negli ultimi anni è stato proprio un assiduo collaboratore del regista appena citato.
Terrifier 3 è un horror realizzato con una tecnica ottima ed un’opera profonda che possiede tutti i contrasti del cinema: è elegante e grezzo, è pauroso e comico, è volgare e sensibile. Presenta ambizioni del cinema d’autore ma anche la semplicità del cinema popolare, presenta omaggi ai classici dell’horror ma allo stesso tempo li ribalta con l’eccesso dello stile underground. Sfida le convenzioni commerciali di Hollywood ma è anche intelligentissimo sul piano produttivo. Così anarchico ma anche così tanto quadrato. Art Il Clown è tornato per ricordarci che tutto è arte, esattamente come questo film che entra di prepotenza nella lista dei sequel horror più belli di sempre. Che sia destinato a cambiare il genere horror o che sia semplicemente un caso isolato, la saga di Damien Leone rimane un miracolo nel cinema contemporaneo.