Su Netflix, in occasione dell’avvio della nuova stagione NBA, è stata distribuita una nuova docu-serie dedicata al mondo della pallacanestro, con cinque protagonisti d’eccezione: LeBron James, Jayson Tatum, Anthony Edwards, Jimmy Butler e Domantas Sabonis. A metà tra un sunto della stagione NBA 2023/2024 e una panoramica dei cinque giocatori che sicuramente dominano – anche se in modo differente e in diversi aspetti – il campionato della pallacanestro americana, la serie TV rappresenta sicuramente uno spaccato degno di considerazione: ma con quale risultato? Per comprenderlo, si indica di seguito la recensione di Starting 5.
La trama di Starting 5: di che cosa parla la docu-serie Netflix?
Prima di procedere con la recensione di Starting 5, la nuova docu-serie Netflix che vede protagonisti LeBron James, Jayson Tatum, Anthony Edwards, Jimmy Butler e Domantas Sabonis, è importante innanzitutto considerare quale sia la sua trama o, meglio, l’oggetto della narrazione del prodotto Netflix. Ricostruendo gran parte della stagione NBA 2023/2023, i cestisti precedentemente citati vengono colti fin dalle fasi del Media Day (il momento della stagione in cui ci si confronta con i giornalisti e in cui si realizzano quelle foto che costituiranno le icone nelle principali piattaforme dedicate al basket), con un accento sulle diverse personalità e con un sunto anche di quello che è stato il percorso durante la loro vita e carriera. Si passa dall’atteggiamento a tratti infantile di Anthony Edwards e quello genitoriale, ma allo stesso maniacale, di LeBron James, passando per le tradizioni familiari di Domantas Sabonis, gli atteggiamenti eccentrici di Jimmy Butler e la crescita di Jayson Tatum.
La recensione di Starting 5: tanto spettacolo e poca attenzione
C’è una tendenza, nel mondo della pallacanestro americana, che tende a favorire lo spettacolo a tutti i costi, spesso anche in luogo delle norme stesse di quel gioco che viene, così, reinterpretato in diversi momenti della stagione. Nel corso della seconda metà della regular season 2023/2024, ad esempio, è stato completamente rimodulato l’atteggiamento arbitrale a proposito dei fischi per la lunetta, dal momento che ci si stava rendendo conto che giocatori come Embiid beneficiavano di una falla nel sistema per ottenere una media di circa 20 tiri liberi a partita; insomma, quello dell’NBA è un atteggiamento maniacale che mette sempre in primo posto lo spettatore e che tenta di favorire costantemente lo spettacolo. Una sintesi perfetta, che riguarda tanto quel mondo quanto quello della serie Netflix Starting 5, è sottolineato da un’eccezione ormai collaudata nel sistema della pallacanestro americana: l’infrazione di passi mai (o comunque raramente) fischiata, che nel sistema europeo costituisce il motivo di vere e proprie corazzate, in quello americano appare ormai un semplice decoro.
Quasi fosse un’infrazione di passi non fischiata volutamente, Starting 5 è una serie che tradisce se stessa – e le sue regole, ovvero quelle che la porterebbero a raccontare cinque giocatori in egual modo – per favorire la comunicazione dello spettacolo verso lo spettatore. Il risultato non è necessariamente negativo: in alcuni punti, soprattutto quando si ha modo di offrire alcune curiosità sul mondo NBA, Starting 5 colpisce nel segno e diventa molto interessante: che si tratti di LeBron che ama (e si traveste da) Beetlejuice di Michael Keaton, di un Anthony Edwards che salta il cenone natalizio di famiglia per giocare a Fortnite o dei racconti familiari di Jayson Tatum, quel che si osserva piace e non soltanto ai tifosi della pallacanestro americana, che riescono così a veder saziata la propria fame di sapere a proposito del mondo della palla a spicci, ma anche ai conoscitori meno avvezzi a quel mondo, che invece hanno modo di rapportarvisi in maniera più “umana” e meno regolamentata o tecnica.
C’è però anche un risvolto della medaglia, caratterizzato evidentemente da quella stessa tendenza che l’NBA ormai accetta di concedersi negli ultimi anni: l’accentramento radicale della star che, in quanto tale, muove un pubblico molto più ampio di quanto dei role player, pur nella loro forza tecnica, possano fare. Il risultato è atteso e previsto fin dalla prima puntata, con la serie che tende a diventare LeBron-centrica in molti dei punti, soprattutto nel racconto della lunghissima carriera del cestista dei Los Angeles Lakers, oltre che nel rapporto con suo figlio Bronny James, poi scelto con la 55 dai Lakers stessi permettendo la costituzione della prima coppia padre-figlio in attività della storia del basket americano. Il reale punto di forza della serie, spostandosi sul lato squisitamente tecnico, è rappresentato dalle riprese video e audio direttamente dal parquet, che permettono di scoprire anche uno degli elementi sicuramente più curiosi e affascinanti dell’NBA: il trash talking. Per il resto, il formato delle interviste, anche piuttosto blando, restituisce un documentario molto lento, che si prende i suoi tempi e che si concede delle accelerazioni in alcuni momenti che sanno attirare (e gestire) lo spettatore: una perfetta partita da regular season, insomma, in cui sono tante le infrazioni di passi non fischiate.