Presentato in anteprima internazionale alla quarantanovesima edizione del Toronto International Film Festival, ispirato da fatti realmente accaduti, rilasciato in tutto il mondo direttamente sulla piattaforma digitale Netflix a partire dal 27 settembre 2024. Alla produzione ha collaborato la stella del campionato NBA LeBron James (Space Jam – New legends), tramite l’etichetta cinematografica The SpringHill Company, fondata insieme a Maverick Carter. Ma qual è il risultato di Rez Ball? Di seguito la trama ufficiale e la recensione del film diretto da Sydney Freeland.
La trama di Rez Ball, il film di Sydney Freeland
Oltre ad essere tratta da una storia vera, la pellicola è anche la trasposizione della biografia intitolata: Canyon Dreams, scritta dal giornalista del New York Times Michael Powell nel 2019. Di cosa parla quindi Rez Ball? Di seguito la trama ufficiale del film scritto e diretto da Sydney Freeland (Drunktown’s Finest):
“Nel cuore di Chuska, in Nuovo Messico, la squadra di basket liceale dalla lunga tradizione nativo americana dei Chuska Warriors affronta la sua sfida più grande. Dopo aver perso il suo giocatore di punta la squadra deve unirsi più che mai per realizzare il sogno di vincere il campionato nazionale. Ma non si tratta solo di un sport: è un percorso di resilienza e unità, una vera storia di lotta che affonda le sue radici nella cultura dei nativi americani.”
La recensione di Rez Ball, il biopic prodotto da LeBron James
Le avventure sportive raccontate su grande schermo, sia di un singolo atleta sia di una squadra, generalmente rappresentano una storia di riscatto sociale, soprattutto per quelle minoranze escluse dalla società, relegate a vivere in situazioni disagianti, lontane dalle opportunità che contano. Basandosi anche questa volta su fatti realmente accaduti, ad essere protagonista è la comunità nativa americana, costretta a fronteggiare problemi interni tra i suoi abitanti, come per esempio il diffuso alcolismo, la disoccupazione, precocità genitoriale e l’alto tasso di suicidio tra i giovani.
Tutti questi aspetti sono presenti nella pellicola diretta da Sydney Freeland, a cui si aggiungono tematiche come l’elaborazione del lutto, il sessismo ed il coming of age; il problema maggiore è che nessuna di queste è approfondita come meriterebbe, ogni argomento viene sfiorato solamente in superficie, come se ognuno di essi facesse parte di una lunga lista della spesa su cui mettere poi la spunta in matita. L’obiettivo è sì di sensibilizzare gli spettatori, facendolo però nella maniera più semplicistica possibile, edulcorando al massimo ogni circostanza, nella convinzione che il soggetto sia di partenza sufficiente a destare interesse e commozione.
La semplicità si trasforma in semplicismo, per una storia che sicuramente meritava di essere trasposta, ma purtroppo è mancata la capacità di trasmetterle un’identità, perdendosi fin da subito nell’anonimato, troppo simile ad operazioni cinematografiche precedenti, senza alcun dettaglio che possa contraddistinguerla dalle altre. Non si trova rifugio nemmeno nelle corpose sequenze di pallacanestro, in linea di massima scialbe ed inconsistenti, assolutamente non in grado di generare suspence o adrenalina, necessarie per colmare la prevedibilità dell’epilogo; al contrario, proprio nelle scene di partita si consumano i peggiori cliché narrativi di questo genere, soprattutto se il contesto riguarda i maschi adolescenti/giovani, con continue dimostrazioni di virilità e provocazioni nel bel mezzo dell’azione, manco si stesse assistendo alla visione di una serie animata giapponese, causando, inconsapevolmente o meno, un manicheismo netto, non solo poco credibile ma addirittura ridicolo.
Di positivo sicuramente va sottolineato il modo in cui i personaggi riscoprono la bellezza e la peculiarità della propria cultura; anche se il desiderio di raggiungere la “civiltà metropolitana” è forte, cosi come la volontà di integrarsi con la maggioranza, non occorre indebolire il legame con le tradizioni del luogo, poiché il segreto della diversità sta esattamente nel mantenere viva l’individualità, esaltandone le caratteristiche in grado di renderla speciale, nonostante agli occhi esterni possa apparire come svantaggio, se non addirittura pretesto per l’esclusione.