Presentata fuori concorso a Venezia81, M. il figlio del secolo è una delle serie tv di produzione europea più ambiziose dell’anno. Il voler trattare un personaggio come Mussolini ha portato la stampa a puntare i riflettori su quest’opera di prossima uscita, diretta da un regista non estraneo alla realizzazione di film in costume. Joe Wright si è infatti distinto fin dagli inizi della sua carriera affrontando il grande romanzo ottocentesco (Orgoglio e pregiudizio, Anna Karenina) per poi cimentarsi anche con la storia vera e propria, in uno dei biopic più interessanti degli ultimi anni (L’ora più buia) interpretato da uno straordinario Gary Oldman nelle vesti di Winston Churchill. In questo caso tuttavia il regista britannico ha dovuto dirigere un cast integralmente italiano, in cui, tra i vari interpreti, spicca il nome di Luca Marinelli che con questo ruolo va ad aggiungere un altro prezioso tassello alla sua notevole carriera già costellata di lavori notevoli (Non essere cattivo, Le otto montagne, Ricordi?)
La narrazione è suddivisa in 8 episodi, ma com’è effettivamente M. il figlio del secolo? Di seguito la recensione della serie TV di Joe Wright.
La trama di M. il figlio del secolo, la serie tv diretta da Joe Wright
Come detto in precedenza, M. il figlio del secolo è tra le serie tv che sono state presentate fuori concorso alla 81esima edizione del Festival internazionale d’arte cinematografica di Venezia. L’opera di Joe Wright è destinata a far discutere a lungo, tuttavia di cosa parla M. il figlio del secolo? La trama ufficiale della serie TV di Joe Wright:
“Un ritratto moderno e graffiante di Mussolini e della sua ascesa politica, dalla fondazione dei Fasci di Combattimento fino all’imposizione della più feroce dittatura che l’Italia abbia conosciuto.”
La recensione di M. il figlio del secolo, il capolavoro di Joe Wright
Dio, patria e famiglia. Questi tre concetti sono sottolineati continuamente dal giovane Mussolini interpretato magistralmente da Luca Marinelli. Eppure è proprio dalla distruzione di queste fondamenta che la meravigliosa serie tv diretta da Joe Wright comincia la sua analisi spietata dell’ideologia fascista che, come più volte ricordato dal suo ideatore all’interno dell’opera, può essere “tutto e il contrario di tutto, in quanto solo gli idioti non cambiano idea”. Ecco che dunque Mussolini viene tratteggiato come un leader blasfemo (rompendo anche nel mainstream il tabù della bestemmia), completamente disinteressato alle sorti dei cittadini che si appresta a guidare (a malapena considerati come carne da cannone), un marito infedele e un padre pessimo. Per diventare il dittatore da tanti odiato e da troppi amato, Mussolini fu costretto infatti a rinnegare tutte le sue convinzioni di continuo (fin dalla sua fede socialista, trasmessagli dal padre) e a tradire e umiliare i suoi commilitoni. M. il figlio del secolo è prima di tutto un’analisi dell’ideologia fascista, delle sue insanabili contraddizioni, dei suoi vaghi riferimenti simbolici e degli individui che l’anno animata.
In tal senso Wright fornisce una rappresentazione dello stato maggiore fascista come di un manipolo di bestie represse, difficilmente in grado di articolare frasi di senso compiuto e che, se non fossero forniti riferimenti temporali, sembrerebbe emergere dagli aridi deserti della saga di Mad Max. Il fascismo fu sopratutto sete di sangue e una delle maggiori preoccupazioni di Mussolini fu quella di tenere a bada la violenza dei suoi, cercando di estirpare quella “gratuita” per mantenere solo quella “necessaria”. Wright è in grado di narrare tutto ciò, e anche di più, compiendo quasi un miracolo a livello stilistico; la serie sembra essere una summa di moltissimi elementi che questa forma espressiva ha introdotto negli ultimi 15 anni, mantenendo tuttavia una propria cifra autoriale. Mussolini rompe continuamente la quarta parete e come Frank Underwood si riferisce direttamente allo spettatore, ammonendolo, inquietandolo e talvolta facendolo ridere. Il volto del dittatore è tuttavia ancor più truce di quello del presidente degli USA interpretato da Kevin Spacey, Mussolini ha infatti degli occhi nero pece, due pozzi oscuri nei quali è impossibile rintracciare la benché minima forma di umanità. Nel corso di questo continuo monologo con lo spettatore emergono delle battute che fanno intuire come il personaggio interpretato da Marinelli parli della sua storia già conoscendone non solo il suo finale, ma anche il mondo in cui vivono coloro che la stanno osservando, creando un meraviglioso cortocircuito postmoderno che genera delle espressioni che sono già cult (Make Italy great again su tutte). La sfrontatezza stilistica di Wright non si interrompe qui, ma anzi il regista britannico attinge a piene mani anche dall’operato di Paolo Sorrentino in campo seriale e ne trae profonda ispirazione per mettere in scena il potere italiano all’inizio dello scorso secolo. La regia è dinamica, l’incedere degli eventi è incalzante e la tambureggiante colonna sonora di Tom Rowlands non lascia un attimo di respiro. A questa esaltazione artistica non va ovviamente di pari passo quella del protagonista, continuamente messo in ridicolo, circondato da individui bestiali e privo di qualsivoglia scrupolo morale.
A tutto questo vanno sommate le maestose scenografie che, invece di riprodurre pedissequamente quelle del periodo in questione, vengono messe in scena come vere e proprie installazioni artistiche: la casa di Ida Dalser (musa di Mussolini) è una evocativa alcova a tinte futuriste, l’udienza in Vaticano è racchiusa in uno straziante dipinto di Caravaggio. Le intuizione di questo genere riempiono l’opera, rendendo ogni inquadratura traboccante e ansiosa di comunicare visivamente allo spettatore il maggior numero di informazioni possibile. A questi elementi si sommano poi delle influenze di altro genere, che fondono parallelismi con l’antichità con la grande letteratura, che sta a cuore al regista britannico. Il dittatore viene mostrato più volte vagare nelle rovine di una Roma surreale, sospesa nel tempo e nello spazio, antica e misteriosa. Non a caso Mussolini cita Alessandro Magno (punto di riferimento e ossessione di tutti gli imperatori romani), tentando in tal modo di sovrapporsi alla figura di Giulio Cesare, il quale si sbarazzò con brutale violenza e decisione di una traballante repubblica romana. In queste sovrapposizioni classiche tuttavia emerge anche la profonda ignoranza del Duce, continuamente sbertucciato dall’opera, il quale inventa il saluto romano di sana pianta e ignora la litania del memento mori. Da un punto di vista letterario invece risulta impossibile non pensare a Shakespeare. Le apparizioni della vedova di Matteotti ricordano vividamente i fantasmi di Amleto e le stanze nelle quali si aggira Mussolini richiamano le lugubri atmosfere del castello di Elsinore. Allo stesso modo i suggerimenti di Ida Dalser non possono non richiamare la figura di Lady Macbeth.
M. il figlio del secolo ha il pregio unico di saper essere un’opera accessibile al grande pubblico, senza mai far venir meno la sua complessità narrativa e si configura come una delle operazioni artistiche più coraggiose e convincenti del panorama seriale europeo degli ultimi anni.