Asif Kapadia è uno dei registi più impegnati nel contesto del documentario degli ultimi anni; a lui si devono due lavori estremamente riusciti, come Diego Maradona e Senna, che hanno permesso di ritrovare sul grande schermo figure diventate iconiche nell’ambito non soltanto sportivo ma anche culturale. Al Festival del Cinema di Venezia 2024 presenta, nella sezione Fuori Concorso, il suo nuovo lavoro a metà tra il documentario e la finzione, 2073, che racconta di un possibile futuro (neanche troppo) distopico, che costituisce la conseguenza delle scelte dei nostri tempi. Ma con quale risultato? Per comprenderlo, si prende in esame la recensione di 2073 di Asif Kapadia.
La trama di 2073: il film di Asif Kapadia a metà tra documentario e finzione
Prima di procedere con la recensione di 2073 di Asif Kapadia, è importante sottolineare innanzitutto la trama del film a metà tra finzione e documentario. 2073 non è soltanto il titolo del film, ma anche l’anno da cui muove i passi la narrazione del regista britannico, che immagina un futuro distopico e post-apocalittico, dominato dalla distruzione e dall’intelligenza artificiale che intercetta qualsiasi desiderio, pensiero o emozione dei pochi sopravvissuti, grazie all’utilizzo di droni che schedano la popolazione in più livelli. Con diversi salti temporali, il film diventa anche documentario e analizza gli elementi politici, economici e sociali che si trovano alla base di quanto si osserva in futuro.
La recensione di 2073: un montaggio impazzito per un racconto necessario
Il 2024 rappresenta uno degli anni potenzialmente più determinanti nella storia politica, in virtù delle elezioni Presidenziali negli Stati Uniti d’America che vedono sostanzialmente opposti Donald Trump e Kamala Harris; indipendentemente dalle inclinazioni ideologiche che questi rappresentano, il confronto si basa anche su numerosi temi che hanno a che fare con aspetti economici, politici, sociali, lavorativi e relativi a diritti umani, che in questo periodo storico vengono avvertiti più che mai come minacciati. Il Festival di Venezia 2024 ha già accolto un altro lavoro che rifletta – in questo momento storico – su tale necessità informativa, Separated di Errol Morris: in quel caso, il ragionamento tutt’altro che perfetto poggia sull’analisi del presente e del passato, mentre 2073 di Asif Kapadia tenta di volgere lo sguardo anche al futuro. Così come nell’altro documentario precedentemente citato, l’espediente utilizzato porta a coniugare documentario e fiction, ma in 2073 ci si rende conto immediatamente della necessità dell’autore di origine indiana, che sembra avere qualcosa in più da dire, benché lo faccia in maniera molto disordinata.
Il confronto tra passato e futuro è reiterato e notevole, grazie ai continui balzi temporali che permettono di inquadrare l’intera narrazione entro un rapporto di casualità: si parte con la deriva di un mondo post-apocalittico, per l’appunto nel 2073, per poi tornare indietro nel tempo ad alcuni degli eventi più determinanti della storia recente. Sul piano politico, viene affrontata l’ascesa delle ultra-destre e dei conservatorismi, in paesi come gli Stati Uniti con Donald Trump, Italia con Giorgia Meloni o Brasile con Bolsonaro; in termini economici, invece, si parla della nuova disciplina del mercato del lavoro, che viene sempre più dominato da multinazionali accentratrici, che fanno capo a figure come Elon Musk, Jeff Bezos o Mark Zuckemberg. Infine, c’è spazio anche per l’ideologia totalitarista – in paesi come le Filippine, che scelgono deliberatamente di uccidere chiunque sia senzatetto o drogato – e per la possibile nuova deriva schiavizzante del nostro tempo, rappresentata dall’intelligenza artificiale; quanto a quest’ultima, viene citato soprattutto il suo massivo ricorso da parte della Cina, che ha iniziato a schedare gran parte della popolazione entro parametri ben precisi, giustificando questa massiva gestione di dati informativi con propositi di sicurezza civile.
L’ideologia di Asif Kapadia appare ben chiara: tutte le decisioni che vengono prese in questo momento storico sono parte di un intero sistema che può portare al collasso dell’umanità, che viene iconicamente rappresentato nell’anno 2073 dominato da droni-spia di Herbertiana memoria. Il vero punto di forza del documentario, allora, è rappresentato proprio dal suo montaggio impazzito, che permette di unire elementi cronachistici e giornalistici, uniti in maniera forsennata: questa disposizione così tanto caotica degli elementi, che non lascia respiro allo spettatore negli 83 minuti complessivi del film, si scontra inevitabilmente anche con un caos puramente narrativo e relativo alla scrittura, che ha il difetto di apparire troppo elementare (specie nella componente fiction) rispetto alla necessaria informazione di cui avrebbe bisogno un prodotto come 2073. Il rischio, in questo senso, è di generare un terrorismo ideologico aggiuntivo rispetto alla materia trattata: in ogni caso, però, il racconto appare assolutamente necessario per smuovere ancor più quelle coscienze ancora quiescenti, anche se non esattamente con il miglior espediente possibile.