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Le mani sulla città e la denuncia sempre attuale di Francesco Rosi

Le mani sulla città è un film di denuncia realizzato da Francesco Rosi: ma qual è il suo risultato e che cosa resta del film a decenni di distanza dalla sua uscita?
Le mani sulla città e la denuncia sempre attuale di Francesco Rosi

Era il 1963 quando venne distribuito al cinema una pellicola che fu in grado di riflettere perfettamente il clima di corruzione e speculazione edilizia che interessava l’Italia del dopoguerra e che, muovendo i suoi passi dall’analisi della città di Napoli e dei suoi rappresentanti politici e imprenditoriali, permetteva di allargare il suo raggio d’interesse verso l’intero paese. Trattasi di Le mani sulla città, il quarto film di Francesco Rosi che arrivò al cinema un anno dopo l’uscita di Salvatore Giuliano e che, attraverso la figura dell’Edoardo Nottola interpretato da Rod Steiger, attualizzava un discorso ancora spaventosamente attuale nel suo clima di denuncia. Ma con quale risultato? Di seguito, si indica di più a proposito della trame e della recensione di Le mani sulla città.

La trama di Le mani sulla città e il racconto di denuncia di Francesco Rosi nel film

Prima di procedere con la recensione di Le mani sulla città, vale la pena sottolineare innanzitutto la trama del film di Francesco Rosi: si racconta di Edoardo Nottola, un costruttore edile e consigliere comunale che dà avvio una fase di speculazione edilizia e che sfrutta il nuovo progetto di ampliamento della città per consolidare i suoi affari; per rendere la sua azione infermabile, mira a diventare assessore nell’ambito della prossima tornata elettorale, ma un improvviso crollo di un palazzo – che uccide due persone e mutila un bambino – mette a rischio il suo progetto.

La recensione di Le mani sulla città: benaltrismo, corruzione e voltagabbana nell’ideologia di Francesco Rosi

Quando si parla di cinema politico italiano si fa riferimento ad una concezione del lungometraggio come connubio di elementi sintattici e para-testuali, che attingano tanto dalla formazione individuale del regista quanto nell’impegno civile di quest’ultimo, in grado di assolvere totalmente – e con grande coraggio – il ruolo di artista nel raccontare una situazione politica. Quello di Le mani sulla città è uno dei primi grandissimi esempi di cinema politico italiano, che vede Francesco Rosi impegnato nel raccontare senza alcuna ipocrisia quello scandalo di corruzione e speculazione edilizia che vede l’Italia protagonista negli anni sessanta. Al regista si deve una considerazione del cinema piuttosto concreta: i film sono parte della vita di chi li realizza, benché probabilmente non di tutta la vita, e per questo motivo diventano vitali in una doppia accezione; non soltanto accompagnano il processo creativo di un artista, ma definiscono la sua stessa storia che, inevitabilmente, stabilisce dei rapporti con la cultura e l’ideologia del proprio tempo. Francesco Rosi è un socialista, convinto, e non manca di sottolinearlo fin dal primo momento all’interno del suo film, in cui mostra immediatamente l’Edoardo Nottola impegnato in un progetto di appropriazione di spazi e terreni: una classe imprenditoriale italiana, quella che ha sfruttato le risorse urbanistiche ed edilizie del nostro paese, che da sempre è considerata una delle più negativamente impattanti nella storia della Repubblica, qui posta in primo piano attraverso l’interpretazione di Rod Steiger.

Le mani sulla città è un film che non vive, però, soltanto di un grandissimo impegno politico, ma anche di una cura maniacale del dettaglio strutturale: si potrebbe pensare – e non ci sarebbe ragione di contestarlo – ad un lavoro che si arricchisca del suo stesso tema, sacrificando ogni altro elemento, eppure il film di Francesco Rosi vive di una constante attenzione degli spazi e delle loro geometrie, sfruttando perfettamente i contorni e i confini della città di Napoli (pur non citandola quasi mai) per inquadrare l’azione dei suoi personaggi. Si passa, allora, dagli stretti vicoli entro i quali si assiste all’azione popolare – gli stessi vicoli che sono da sempre, nell’ideologia socialista, lo spazio delle rivoluzioni – fino ai campi lunghi che vengono utilizzati per la rappresentazione delle sedute di consiglio comunale, passando per la soggettiva del cornicione di un palazzo che cade e arricchendo l’estetica del racconto con numerosissimi primi piani serrati sui volti dei personaggi. Nell’idea di costruire non soltanto un’opera di verosimiglianza, ma di estrema verità, addirittura Francesco Rosi utilizza dei veri giornalisti per le comparse dei cronachisti in consiglio comunale e affida a Carlo Fermariellosindaco di Vico Equense, sindacalista e poi segretario PCI – il complesso ruolo di De Vita, capogruppo della sinistra nel comune di Napoli; una scelta tutt’altro che banale, considerando che Fermariello (così come Renzo Farinelli e altri volti scelti) attore non era, e che riesce nonostante ciò a offrire una delle migliori interpretazioni all’interno del film.

Nel trattamento delle sue tematiche, Le mani sulla città potrebbe riassumersi tutto nella didascalia che accompagna la fine del film: “I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce”. Il lavoro di Francesco Rosi è magistrale nell’offrire uno spaccato importantissimo di un’Italia ancora attuale, che muove i suoi passi dalla trattazione del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica di Achille Lauro e che si amplia considerando meccanismi ancora presenti nell’ideologia e nella politica del nostro paese: accanto alle macchinazioni operate per l’elezione di un assessore comunali, è incredibile quale lucidità sia utilizzata dal regista per definire i concetti di benaltrismo e corruzione, rappresentando una sequela di atteggiamenti che permettono – allo spettatore – di introdursi là dove non gli è ancora oggi concesso. In una delle scene iniziali del film, in cui commissioni e uffici del comune continuano a scaricare la propria responsabilità verso altri, sembra quasi di rivedere quei medesimi meccanismi che Akira Kurosawa identificava nella deresponsabilizzazione – e nella conseguente lentezza burocratica – degli uffici comunali in Ikiru, benché l’ideale mostrato sia completamente differente. Le mani sulla città, in effetti, si arricchisce di una feroce denuncia ai danni di una classe politica che continua a ripiegare su se stessa e che troverà sempre il mezzo (cambiando di colore e affidandosi anche alla camorra, se necessario) per consolidare il proprio status quo. Il tutto assumendo, come agnello sacrificale, il cittadino condannato alla sua atroce fine.

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Le mani sulla città
Le mani sulla città

Le mani sulla città è un superbo film di Francesco Rosi, che denuncia il clima di corruzione e speculazione edilizia dell'età degli anni sessanta, con l'interpretazione da protagonista di Rod Steiger.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

09/10/1963

Regia:

Francesco Rosi

Cast:

Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Dante Di Pinto, Alberto Conocchia, Carlo Femmariello

Genere:

Drammatico

PRO

Il ritratto politico e ideologico offerto da Francesco Rosi
La direzione di non-attori come Carlo Femmariello
L’utilizzo sapiente delle riprese
Nessuno