Articolo pubblicato il 21 Luglio 2024 da Christian D’Avanzo
Melissa P. è il secondo film diretto da Luca Guadagnino, basato sul romanzo di successo pubblicato nel 2003 e intitolato Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, scritto da Melissa Panarello. Questo lungometraggio del noto regista è stato distribuito il 18 novembre 2015 e presenta una durata di circa 105 minuti, mentre come attrice protagonista è stata scelta Maria Valverde, che però è stata doppiata in italiano e a sua volta ha doppiato se stessa nel film in spagnolo. Siccome, al di là dell’aura commerciale dell’operazione, Melissa P. è ormai di nicchia e quasi dimenticato: com’è il film di Guadagnino?
Di cosa parla Melissa P.? La trama
Melissa P. è una storia di formazione che vede come protagonista Melissa, adolescente siciliana di 16 anni che viene trascurata dai suoi genitori. Nonostante la ragazza abbia un buon rapporto con la nonna, la madre non le dedica le giuste attenzioni e il padre è assente per lavoro, e infatti soffre per questa condizione in cui vive. In una giornata in piscina incontra Daniele, che la seduce e la usa per poi negare qualunque sentimento per lei. Da questa esperienza traumatica Melissa comincia un viaggio di autodistruzione.
La recensione di Melissa P., prodotto commerciale mascherato da film d’autore
Sin dai suoi primissimi lavori Luca Guadagnino riesce a manifestare con bravura le sue idee cinematografiche, utilizzando l’occhio della macchina da presa per mettere in risalto in primo luogo la carnalità, la passione e il ruolo primeggiante dei corpi nelle relazioni, senza però cancellare sul volto dei suoi attori i sentimenti insiti nei personaggi da loro interpretati, anzi. Nel secondo film del noto regista italiano, Melissa P., c’è però soltanto qualche intuizione di quanto appena descritto, e ci si trova allora di fronte un modo di raccontare davvero acerbo. Le scelte di come comporre le inquadrature sono qui finalizzate a cucire disperatamente un vestito più “altolocato” rispetto alla natura stessa dell’opera che si sta guardando: Melissa P. è la trasposizione di un bestseller, un prodotto commerciale mascherato da film d’autore attraverso il dispiegarsi di simbologie e allegorie a dir poco scolastiche. Mentre le voci dei personaggi enunciano parole superficiali, le immagini tentano invano di mostrare, ad esempio, la passione tramite dei vestiti rossi. Si sta facendo riferimento in particolare alla scena in cui la giovane protagonista provoca un uomo adulto, occasione in cui persino il cameriere indossa un indumento rosso.
Per ciò che concerne la struttura di questo racconto di formazione, i tratti dei personaggi sono stereotipati e praticamente chiunque appare come una macchietta sopra le righe (circa), sia per il modo di recitare che per la scrittura banalissima. Ecco che c’è una madre troppo assente perché non in grado di comprendere il vissuto della figlia pensando ai suoi di errori, un padre lontano perché preso dal lavoro, e infine la nonna, l’unica figura positiva che dimostra di avere un carattere simile alla nipote. Melissa ne è affascinata, prova ammirazione e si sente amata da lei, ma ovviamente non poteva mancare verso la fine del film il decesso come mero espediente narrativo per portare ad un’evoluzione forzata. Anche sul piano dei dialoghi si avvertono gli automatismi del genere, per cui le interazioni risultano abbastanza piatte e poco intense, come invece dovrebbero, e il fatto che si tratti di adolescenti di certo non è una giustificazione. Guadagnino tenta invano di catturare delle emozioni nascoste, mentre per quelle evidenti non sono nemmeno richiesti i continui carrelli ottici – zoom -, i quali dovrebbero rendere il film claustrofobico. Quest’ultimo passaggio appare come la prova del nove di quanto annunciato all’inizio: Melissa P. è un racconto di formazione venduto bene in libreria grazie alla campagna pubblicitaria alla The Blair Witch Project (1999), ovvero la scrittrice ha finto che quanto da lei raccontato sia stato davvero il suo vissuto, ma come lungometraggio assume dei connotati d’autore abbastanza fuori luogo.
Il cineasta tenta di esporre un racconto adolescenziale drammatico con fare esibizionista, intende scioccare gli spettatori con delle immagini sessualmente esplicite, con degli atteggiamenti, quelli di Melissa soprattutto, autodistruttivi e provocatori. Eppure, Melissa P. visivamente appare maggiormente esibizionista, e lo si percepisce sin dal goffo incipit dove l’incontro tra la protagonista e Daniele la induce a intraprendere un viaggio danneggiante, in un certo senso “blaterante” nell’introspezione, piuttosto vacuo. Le scene si susseguono con morbosità, poiché il modo di inquadrare di Guadagnino qui è, come anticipato, inutilmente asfissiante, e disegnano una traiettoria in fin dei conti ripetitiva (persino nell’uso del sesso) e scontata (la litigata con l’amica del cuore e il riavvicinamento, ad esempio). Il finale con la ragazza e la madre che si abbracciano dinanzi la tomba della nonna preserva infatti tutti i difetti elencati, con tanto di simbolismo accademico dove alla disfatta di una precedente relazione (nonna-nipote) ne sopraggiunge una nuova (madre-figlia). Insomma, Melissa P. è un film all’apparenza di rottura con il genere d’appartenenza dove Guadagnino prova a dare la sua identità, ma le immagini talvolta risultano così sgradevoli da appesantire la visione, e infine, volendo vedere, ci sono tutti gli archetipi di un blando racconto di formazione.