Articolo pubblicato il 10 Luglio 2024 da Alessio Minorenti
Fly me to the moon – le due facce della luna è un film diretto da Greg Berlanti che vede come protagonisti Scarlett Johansson e Channing Tatum. La sua distribuzione nelle sale italiane è prevista per l’11 luglio 2024, il film è stato prodotto da Apple ed è costato 100 milioni di dollari.
Di seguito la trama e la recensione di Fly me to the moon – le due facce della luna.
La trama di Fly me to the moon – le due facce della luna, una rom-com con Scarlett Johansson e Channing Tatum
Di seguito la sinossi ufficiale del film: “Fly me to the moon – le due facce della luna è una commedia romantica tagliente ed elegante ambientata sullo sfondo dello storico sbarco sulla Luna dell’Apollo 11 ideato e realizzato dalla NASA. Chiamata per sistemare l’immagine pubblica della NASA, l’esperta di marketing Kelly Jones (Johansson) semina il caos nel già difficile compito del direttore del lancio Cole Davis (Tatum). Quando la Casa Bianca ritiene che la missione sia troppo importante per fallire, Jones viene incaricata di organizzare un finto sbarco sulla Luna come riserva e il conto alla rovescia inizia veramente…”
La recensione di Fly me to the moon – le due facce della luna, una riuscita commedia romantica vecchio stile
Lo sbarco dell’Apollo 11 sul suolo lunare seguito dalle prime celebri parole di Neil Armstrong rappresenta uno dei momenti più importanti della storia umana ma anche un elemento fondativo dell’identità culturale statunitense. Basti pensare al fatto che tra immagini del monte Rushmore, di carovane in movimenti nei pascoli e di altri paesaggi mozzafiato, è presente in ogni passaporto statunitense la rappresentazione dell’allunaggio, perché in fin dei conti quella fu la bandiera che simbolicamente colonizzò il primo pianeta al di fuori della Terra. Il risalto che viene dato a questo evento è accentuato inoltre dal fatto che nel corso della guerra fredda gli Stati Uniti, perseguendo una politica estera nella maggior parte dei casi fallimentare, si sono guadagnati il particolare status di impero sempre sconfitto o costretto a ritirarsi dal campo di battaglia. Questa mancanza crea una forte contraddizione in termini dal momento che l’esercito più tecnologicamente avanzato e strutturato del mondo intero è anche quello che alla fine dei giochi raramente porta a casa la corona d’alloro del vincitore. Ecco dunque che prima di essere un incredibile passo avanti scientifico, lo sbarco sulla luna da parte degli americani non può che essere raccontato che come una vittoria “sul campo” contro l’Unione sovietica, facendone a distanza di quasi 60 anni ancora oggi uno stupefacente strumento di propaganda.
Il contrasto tra la cupa guerra in Vietnam che si avviava inesorabile verso il ritiro degli USA e la vittoriosa corsa alla luna è tradizionalmente il cuore pulsante di questo genere di pellicole. Persino nel tetro e bellissimo First man di Damien Chazelle delineare la figura di Armstrong non poteva prescindere dall’affrontare l’ondata di impopolarità che travolse la NASA in quegli anni. Mentre nel film del regista premio Oscar ciò che viene suggerito è che questo ostacolo fu superato grazie all’ossessione di un uomo e al duro lavoro di un intero team, in questo caso la chiave di volta per scardinare lo scetticismo popolare viene rintracciata in una campagna marketing aggressiva e ben indirizzata. Non si fa fatica a riconoscere infatti che fin dalle prime battute la vera protagonista del film è Kelly Jones, interpretata da una sempre bravissima Scarlett Johansson. In questa pellicola il primo modo in cui si entra a contatto con il carattere dei personaggi è attraverso la palette cromatica che li accompagna. Ecco dunque che il personaggio della Johansson è esuberante nel suo look, sgargiante nei suoi vestiti e di conseguenza arrembante nella sua professione, in un mondo che (come viene giustamente ricordato) era ancora più di oggi dominato dal sesso maschile. La protagonista tuttavia non rappresenta soltanto il suo modo di essere ma è un simbolo della cultura americana in toto, specificatamente in relazione a problematiche del genere. Mentre la propaganda sovietica procedeva per pomposi programmi decennali, quella americana convinceva i suoi cittadini coinvolgendoli nell’esplorazione spaziale, penetrando fin dentro le loro case con prodotti di consumo di qualsiasi genere, dai cereali fino agli orologi di lusso. Non è un caso quindi che questa grande vittoria non sia avvenuta attraverso le armi ma, come brillantemente sottolineato dal film, mediante una commercializzazione vincente del prodotto “Apollo 11”. L’incredibile capacità tentacolare della macchina statunitense risulta imbattibile se si scende sul campo dell’ideazione di nuovi prodotti commerciali e questo film ne è un chiaro esempio.
Il film tuttavia non si eleva al di sopra dello stato di buona commedia per il grande pubblico e mette in gioco dei meccanismi molto convenzionali e prevedibili per sviluppare il rapporto amoroso tra i due protagonisti. Oltre a questo anche il trauma vissuto da Cole Davis non viene particolarmente problematizzato ma sembra una scusa per ricordare le disgrazie che afflissero il programma Apollo nel corso delle sue fasi iniziali.
Altra riflessione che, seppur non molto approfondita, risulta interessante è quella relativa al finto sbarco sulla Luna che viene commissionato da parte del governo statunitense. In un’epoca in cui sempre più spesso è legittimo domandarsi se quello che appare su uno schermo è reale o frutto di un sofisticato algoritmo, è stimolante notare come la contraffazione della realtà e la preferenza per la messa in scena siano elementi che accompagnano tutta la storia dell’audiovisivo, confermando come l’uomo abbia sempre inteso la produzione per immagini come un modo per distorcere il reale a seconda delle sue preferenze.