Articolo pubblicato il 3 Febbraio 2025 da Bruno Santini
Il Leone d’Oro ottenuto a Venezia 2023 con Povere Creature! ha portato Yorgos Lanthimos a vivere uno dei momenti più alti della sua carriera, a cui ha fatto seguito la definitiva affermazione internazionale e la vittoria – in quattro categorie differenti – nel contesto degli Oscar 2024: nulla di destinato al regista, ma allo stesso modo un plauso e una serie di riconoscimenti ottenuti da parte del film. Con l’annuncio di un nuovo film, dal titolo Kinds of Kindness, l’attesa non poteva che essere consequenziale e Cannes 2024 ha accolto il regista greco: ma con quale risultato? Di seguito, viene indicata la recensione di Kinds of Kindness.
La trama di Kinds of Kindness: di che parlano i tre episodi del film di Yorgos Lanthimos
Prima di proseguire con la recensione di Kinds of Kidness, come di consueto vale la pena offrire una trama dei tre episodi del film di Yorgos Lanthimos. Nel primo, si racconta di un uomo che viene totalmente e programmaticamente comandato, in ogni sua azione, da un padrone che decide ogni aspetto della sua vita e che, quando decide di non compiere un atto prevista, smette di assisterlo; nel secondo, un poliziotto ritrova la sua moglie smarrita in una missione a distanza di mesi, ma sospetta del fatto che non sia davvero lei, bensì una persona che la sostituisce; nel terzo episodio, infine, due collaboratori vanno alla ricerca di una donna che – così come sognato da lei – sappia resuscitare le persone scomparse, mettendo a rischio di fatto la loro carriera e perseguendo l’idea di costante purezza del proprio corpo.

La recensione di Kinds of Kindness: Yorgos Lanthimos inciampa di nuovo sui suoi limiti
Se c’è una canzone di cui quasi si abusa, nel mondo pop, è Sweet Dreams. Uno dei brani più iconici del secolo scorso, senz’altro, ma allo stesso tempo così tanto saturata e sfruttata da diventare respingente: Kinds of Kindness si apre, così come faceva anche uno dei primi teaser del film, servendosene, e offre immediatamente un indizio di ciò che il film vuole essere. Un lungometraggio accondiscendente, che coniughi la passione per i cast stellari e l’amore per un’estetica kitsch, restituendo – a una certa tipologia di spettatore – un prodotto vago, multipolare e abbastanza confusionario. Kinds of Kindness presenta tre episodi che ruotano intorno a vicende in grado di riportare (nelle intenzioni) l’epica e l’epopea greca nell’anbito della contemporaneità: ne sono un esempio l’acqua della vita che deve essere pura e di cui si beve, il fegato di cui cibarsi alla maniera di Prometeo, la colonna sonora del film nuovamente curata da Jerskin Fendrix e l’esaltazione smodata dei dettagli scenici.
Nei tre episodi di Kinds of Kindness, che sono legati più dal gioco alla citazione che non da un’effettivo contenuto di fondo che funga da macroarea, si ritrovano certamente alcuni elementi tipici della filmografia di Lanthimos: ad esempio, nel primo dei tre si utilizzano numerose camere fisse, che si contrappongono a raccordi e piani sequenza in grado di dare armonia alla visione dello spettatore. Allo stesso tempo, la volontà di catturare le figure con un taglio particolare (o, addirittura, di “privarle del capo”) è molto interessante, restituendo quasi l’idea che quella programmazione metodica imposta nella vita del protagonista si traduca in un qualcosa di visivo, oltre che di contenutistico: per certi versi, si potrebbe dire che il buono di Kinds of Kindness è tutto lì. Man mano che si avanza nella visione, salvo rari sprazzi di ironia che potrebbero strappare una risata, la qualità complessiva dell’opera va scemando, ingarbugliandosi in una sovrabbondanza di dettami che ruotano intorno all’idea generale di morte-possesso-rinascita-contaminazione. Che si tratti di dettagli dei piedi dei personaggi, del rapporto padre-figlia o dell’ossessione per la fame e per la sete (che ritorna in tutti e tre gli episodi), Lanthimos prova a offrire un’impronta di sé e lo fa, del resto, anche con una buona direzione degli attori che offrono delle interpretazioni positive.
Il film però manca di un contenuto, e la struttura a episodi certo non giova ad offrirne una prospettiva complessivamente valida: parliamo, in effetti, di un film che chi scrive immaginava essere un divertissment, ma che anche in questa formula certo non può dirsi né qualitativo, né soddisfacente. Ancora una volta, come era stato osservato in Il sacrificio del cervo sacro in cui si riportava sullo schermo il mito di Ifigenia, la tanto cara cultura greca porta Lanthimos a inciampare su quelli che, ormai, sono sempre gli stessi limiti e i medesimi errori: provocazioni fini a se stesse, vacuità di contenuto e, a tratti, totale inefficacia del racconto.
Non è più il momento di (sterili) provocazioni
“Noi siamo i nostri mezzi di produzione”: rispondeva così il personaggio di Bella Baxter quando Duncan Wedderburn la accusava di essere una sgualdrina, rea di mercificare il proprio corpo; uno dei motivi per cui Povere Creature! ha attirato tante polemiche è il trattamento del sesso e della sessualità. Se c’è qualcosa che, però, si è imparato ulteriormente dall’esperienza di quel film è che l’esposizione di un corpo non è, di per sé, un atto gratuito, a meno che quest’atto non sia svuotato di senso. Chi legge ricorderà che la carriera di Yorgos Lanthimos è iniziata con un cortometraggio che mostra e racconta uno stupro, ed è poi proseguita con tanti altri film che avessero a che fare con questa tematica, affrontandola in maniera differente e dando sempre l’idea che il regista (pur stentando, come nel caso di Il sacrificio del cervo sacro) sappia offrire uno sguardo differente relativamente all’uso e consumo del corpo.
Ecco, in Kinds of Kindness tutto questo sembra essere inesorabilmente dimenticato: il film diventa una fiera esposizione di corpi, mercé di nudità che vengono messe in vista per lo spettatore, senza alcun motivo valido o supporto tematico che possa giustificarne l’esistenza. Ognuno dei tre episodi di Kinds of Kindness, benché tratteggiato ancora dalle dinamiche di dominio e (p)ossessione, non ha nulla a che fare con il dominio e la costrizione che lavori precedenti – come Dogtooth, The Lobster o Povere Creature! – avevano mostrato. Tutto ciò che si è osserva è provocatorio, ma di una provocazione che non ha presa e che, soprattutto, non dovrebbe (più) appartenere ad un regista maturo come Yorgos Lanthimos. È lontano lo scoglio dell’approccio con il mercato internazionale, sono distanti l’adolescenza, gli atti estremi fini a se stessi e le vuote esagerazioni di cui – a tratti – anche il regista stesso si è macchiato: dovrebbero, in fondo, essere ormai dimenticate quelle impurità di cui un addetto ai lavori della sua caratura potrebbe essere privo. Ciò che fa più rabbia è che questo film arrivi dopo un trattato così importante come Povere Creature!, dando quasi l’idea di tradirlo e di smentire tutto ciò che di buono aveva saputo costruire.