Particolarmente atteso per l’unione di elementi che riguardano le interpretazioni (Adam Sandler e Carey Mulligan, ma anche Isabella Rossellini tra le altre) e il regista Johan Renck, Spaceman è stato distribuito in streaming su Netflix dopo essere stato presentato in occasione della 94esima edizione del Festival di Berlino. Il film sci-fi riflette, tramite il ruolo di Paul Dano, a proposito di numerosi temi che si accompagnano ad un raro ruolo drammatico di Adam Sandler. Ma con quale risultato? Di seguito, la trama e la recensione del film in questione.
La trama di Spaceman, il film di Johan Renck con Adam Sandler protagonista
Prima di proseguire con la recensione di Spaceman, si indica – come di consueto – la trama della pellicola che vede Adam Sandler nei panni del protagonista. Jonah Renck dirige uno sci-fi in cui il suo protagonista, Jakub, si trova in missione nello spazio da ormai 6 mesi, per tentare di studiare da vicino una misteriosa scia viola che preoccupa la Terra da quattro anni. La missione ha anche uno scopo politico: anticipare i rivali sudcoreani nella ricerca dello spazio e nella conoscenza dell’universo. Intanto, Jakub mette in secondo piano sua moglie Lenka, nonostante stia nascendo suo figlio, e questa decide di lasciarlo. Tale decisione – comunicata nel messaggio – non viene trasmessa a Jakub, che intanto vive la crisi matrimoniale in compagnia di uno strano amico dello spazio, HanuÅ¡.
La recensione di Spaceman: un film che parla di isolamento, pandemia e solitudine
Impossibile non pensare alla pandemia, nel guardare e nell’offrire una recensione di Spaceman, il secondo lungometraggio di Johan Renck che torna dietro la macchina da presa dopo il grandissimo successo di Chernobyl, da lui diretta. Con Renck parliamo sicuramente di un regista molto particolare, che nella sua carriera annovera anche il lavoro di videoclip e, soprattutto, quello che l’ha portato a dirigere gli ultimi due lavori di David Bowie, tra cui Lazarus, l’ultimo prima della sua morte. Un compito assai gravoso che, insieme al grande risultato di Chernobyl (una delle migliori serie di sempre per la critica) hanno sempre permesso di restituire un’identità chiara, anche dal punto di vista politico e ideologico, per un regista mai banale.
In effetti, non è banale la scelta di lavorare con Adam Sandler – per quanto quest’ultimo sia ormai un “prodotto Netflix” -, che qui si cala nei panni di un raro personaggio drammatico nella sua carriera. Nel noto Ubriaco d’amore di Paul Thomas Anderson, Sandler aveva dimostrato quanto la sua interpretazione potesse oltrepassare quei limiti che si immaginano per l’attore, soprattutto in merito ad una gestione del suo volto; qui non è da meno, pur in un ruolo non certamente irresistibile ma comunque ben congeniale alla sua figura. Si diceva, in apertura di recensione, della pandemia: isolamento, solitudine forzata e claustrofobia sono gli aspetti più evidenti del film che mostra colui che viene definito – nonostante lo neghi – “l’uomo più solo al mondo”. Jakub si lascia guidare dall’ambizione e dalla volontà di scoprire sempre qualcosa che si trova al di là della sua dimensione, mettendo in secondo piano qualsiasi altra cosa e apparendo incapace di concentrarsi sul senso dell’amore che prova per Lenka, sua moglie. La sensazione di lockdown provata dal protagonista nella sua astronave, spesso mostrata negli interni in maniera efficace – anche grazie al movimento anti-gravitazionale del personaggio di Jakub -, si accompagna ad una solitudine autoindotta e ad un isolamento che non lascia spazio necessariamente ad un’eccessiva drammatizzazione. Le giornate di Jakub sono metodiche e costanti: lo si vede allenarsi, tentare di dormire con le sue gocce, ma lo si osserva anche in preda a incubi e inquietudini, che prendono forma attraverso immagini distorte.
Nel momento in cui entra in scena HanuÅ¡ il film prende, inevitabilmente, una sua direzione. Il rapporto – anche se solo “vocale” – tra Adam Sandler e Paul Dano è efficace, considerando soprattutto questi scambi di battute che avvengono in maniera pacata, con voce flebile e frasi sussurrate: si affrontano temi che hanno a che fare soprattutto con l’aspetto filosofico e con l’antopologizzazione di determinati pensieri (il senso di colpa, si dice, è completamente inutile nell’universo poiché tutto è come dovrebbe essere); purtroppo, la rappresentazione estetica di quel ragno cosmico che interagisce con il protagonista appare visivamente goffa, quasi a distogliere l’attenzione da quel che viene pronunciato dai due attori. Se ciò catalizza l’attenzione dello spettatore, purtroppo contribuisce a creare quasi un senso di ironia di sottofondo che si contrappone al senso della pellicola, tanto nell’aspetto estetico quanto nei gesti (come il mangiare la crema di nocciole o l’abbracciarsi reciproco) che appaiono abbastanza goffi. A non funzionare è anche il finale, successivo allo sguardo sull’universo di entrambi i personaggi: se salvare Adam Sandler con l’intervento di un’altra astronave è pur sempre lecito per il tipo di cinema che si vuole creare, l’idea di un dialogo così impostato tende quasi a scemare l’aspetto complessivo della pellicola. In ogni caso, Spaceman è un esperimento riuscito per Johan Renck, che si confronta con il più classico degli space-movie, oltre che per la stessa Netflix, che così accoglie un prodotto godibile, aderente agli stilemi della piattaforma e tutt’altro che banale nella sua formula.