Recensione, Home Education – Le regole del Male: il primo film horror di Andrea Niada

Home Education è il primo film horror scritto e diretto dal regista italiano Andrea Niada, per il suo debutto sul grande schermo.
Recensione del primo film horror di Andrea Niada Home Education

Articolo pubblicato il 21 Dicembre 2023 da Vittorio Pigini

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Home Education – Le regole del Male
Genere: Horror
Anno: 2023
Durata: 90 minuti
Regia: Andrea Niada
Sceneggiatura: Andrea Niada
Cast: Julia Ormond, Kate Reed, Rocco Fasano
Fotografia: Stefano Falivene
Colonna Sonora: Andrea Boccadoro
Paese di produzione: Italia – Regno Unito

Distribuito nelle sale italiane dalla Warner Bors. lo scorso 30 novembre, Home Education – Le regole del Male è il primo film scritto e diretto dal regista Andrea Niada, di cui segue la recensione dell’opera che adatta sul grande schermo il precedente cortometraggio del 2016 del suo stesso regista.

Home Education – Le regole del Male: la trama del primo film di Andrea Niada

La giovane Rachel vive con i propri genitori Carol e Phillip in una casa di periferia, sperduta nelle vicinanze di una florida area boschiva. Un’educazione molto ferrea e controllata ha vietato alla ragazza di approcciarsi al mondo esterno, in quanto Rachel è stata cresciuta confinata nella sua casa, studiando dalle lezioni private della madre su materie scolastiche come matematica e biologia. Tuttavia, un fattore esterno inizia a relazionarsi con la ragazza e scombinare tanto il suo equilibrio quanto le sue certezze: un ragazzo solitario di nome Dan. Quest’ultimo, che lavora nella macelleria gestita dalla sua famiglia, inizia infatti a far visita a casa di Rachel perché preoccupato delle condizioni di Phillip che, ammalatosi, è impossibilitato a recarsi a lavoro presso la stessa macelleria, ma che da giorni non dà più segnali di vita. Questo perché il padre di Rachel, semplicemente, è già morto, con il corpo che viene custodito e nascosto da moglie e figlia in soffitta. Attraverso un rito esoterico, Carol e la ragazza starebbero infatti cercando di far tornare indietro Phillip dal mondo dei morti, ma ormai tutto inizia ad essere compromesso.

Recensione di Home Education, il primo film horror di Andrea Niada

Home Education, la recensione: la violenta reincarnazione di un uccellino morto in gabbia

Riprendendo il suo stesso cortometraggio del 2016 dall’omonimo titolo, il regista Andrea Niada alla sua opera prima sul grande schermo riesce a convincere ampiamente con la realizzazione di questo bucolico horror, dall’atmosfera magnetica e dall’analisi tematica drammaticamente viscerale. Al di là infatti del mezzo cinematografico orrorifico (al quale si arriverà presto), il film intavola un delicato e complicato rapporto tra madre e figlia, decisamente conflittuale anche e soprattutto a causa di quella ”Home Education” che ha completamente traviato la mentalità di Rachel, quella stessa mente che riflette il mondo. Ci si trova qui dunque nei campi di film come ad esempio Dogtooth di Yorgos Lanthimos o, più semplicemente, in quello di Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma, anche se audaci accostamenti potrebbero essere fatti anche verso un’altra opera prima che ha lasciato decisamente il segno, ovvero lo sconquassante The Witch del 2015. Ingenerosi paragoni a parte, sarebbero molti infatti i punti di contatto tra i due film nel mostrare, attraverso un’ambientazione rurale e folkloristica, l’innocenza di una ragazza protagonista che diviene marcia e corrotta dal fanatismo, dall’isolazionismo e dall’indottrinamento recluso. Uno scenario questo dove infatti i legami e i rapporti familiari vengono spezzati dal metaforico personaggio di un (Black) Phillip di turno, che solo alla fine riesce a liberarsi dalla propria condizione, dopo aver sparso del ritualistico sangue per la sua missione.

In tal senso, infatti, il finale di “Home Education – Le regole del Male” risulta particolarmente efficace su più livelli, con il volto in sovrimpressione di Rachel che diventa in questo caso decisamente emblematico sulla disponibilità e sulla capacità di credere o meno sull’immagine conclusiva del film, che abilmente fa perno sulla “condizione” della ragazza. A detta della madre Carol, Rachel sarebbe semplicemente una persona mentalmente disturbata, ma questo è ciò di più distante dalla realtà. Si parla infatti di una ragazza che, fin dalla nascita, viene indottrinata a credere in determinate cose, a conoscere solo una specifica realtà e a fidarsi di quella senza ulteriori contatti esterni o, almeno con questi ridotti (è il caso di dirlo) all’osso. Seguendo questa strada, il regista è infatti molto caparbio ed abile nel mostrare l’orrore “fantastico” solo attraverso gli occhi di Rachel, attraverso le sue inquietanti visioni che vengono stimolate da una “mente che riflette il mondo”, appunto come le viene insegnato a mo’ di dogma religioso dal padre e come viene a suo modo indottrinato lo stesso spettatore. Questo si ritrova infatti questa cruciale massima sullo schermo all’apertura del film, sottoposto ad un gioco interpretativo lungo tutta la durata della visione che si sviluppa sul labile confine che separa l’immaginazione e la realtà con l’ultima decisiva immagine che spinge lo spettatore a credere ad una o all’altra strada (dopotutto, per fare in modo che una cosa accada devi crederci fino in fondo). L’educazione del credo risulta così un’arma vincente per il film ma, allo stesso tempo, uno dei suoi punti critici, mancante forse di quell’elemento chiave narrativo ulteriore che facesse acquisire alla “lore” una vocazione più definita e narrativamente potente. Mentre in Carrie e The Witch, ad esempio, si ruota fondamentalmente sul fanatismo legato al cristianesimo, in “Home Education” non si danno spiegazioni o dettagli su quale religione, mitologia o credo il patriarca (dunque anche Carol e, per conseguenza e rigetto, Rachel) decida di poggiarsi, nonostante il modus operandi e l’iconografia lasci pensare ad un sistema composito. Il voler lasciare anche questo aspetto “astratto” se, da un lato, ammanti il film di ulteriore mistero (forse non necessario), dall’altro gli fa perdere un certo livello di potenza narrativa e di credibilità, facendo passare anche il messaggio che si trattasse di una singola famiglia con evidenti problemi mentali sperduta nel bosco (non vengono nemmeno aggiunti elementi sull’eventuale fatto che ha portato di punto in bianco alla morte di Phillip, ma questa potrebbe essere alla fine solo una mera curiosità).

Tolto questo aspetto, Home Education tende a concentrarsi infatti anche su quello più strettamente antropologico e biologico, come viene costantemente sottolineato nella stessa visione. Partendo dalle materie scolastiche e passando per la moltitudine di animali impagliati messi in bella mostra, il film di Niada spinge molto sull’accostamento uomo-animale, sfociando negli istinti primordiali e nella natura di ogni essere vivente, anche dopo che questo abbia cessato di vivere. Nonostante infatti il più ferreo ed isolato indottrinamento, il personaggio di Rachel mostra come ci siano cose che non si possono insegnare e questi sono appunto gli istinti naturali intrinsechi nell’essere umano, dalla pulsione sessuale alla rabbia e all’istinto di sopravvivenza. Un equilibrio naturale, un cerchio della vita che sviluppa il suo semicerchio in superficie, in vita, ed il restante nel sottosuolo, nel , con la speranza che possa nuovamente continuare in superficie e riprendere il suo corso… basta volerlo ed accadrà.

Home Education, la recensione: un folk-horror italiano da coccolare

<<Le cose che vogliamo accadranno,
il volere le rende realtà,
le cose che vogliamo accadranno,
e quello che voglio sei tu.>>

Con Home Education Andrea Niada ha voluto realizzare un gran bel film horror che vivesse di malsana atmosfera, oltre che per i guizzi in termini di analisi e tematici, e ciò è infatti quello che accade. Un tocco sorprendentemente autoriale, quello del regista, nel comporre una putrida melma che possa inghiottire lo spettatore in una visione inquietante ed angosciante, con ritmo lento e cadenzato (forse con qualche tempo morto di troppo). Oltre all’affascinante location, con il bosco regalato dalla terra del meridione che al solito si erge ad emblema nell’ignoto, a giocare un ruolo fondamentale nella visione è sicuramente il gridante comparto sonoro. Senza mai l’utilizzo nevrotico della tecnica del jump-scare, il conturbante sonoro si appropria dei raggelanti echi sprigionati da un corno fino alle perturbanti sequenze oniriche, queste ultime dal buonissimo livello artigianale e che risultano decisamente efficaci proprio nel restituire una visione estraniante e profondamente intimidatoria, con l’ottima direzione del regista nel potenziare la suspense tanto nei laceranti movimenti di macchina quanto negli spunti offerti dal montaggio.

Un plauso ulteriore dove essere fatto anche al suo cast limitato solo in termini numerici. Julia Ormond è ormai un’attrice navigata, che ha conosciuto il suo momento florido hollywoodiano prima di sposare la causa del cinema indipendente come occasione, anche in questo caso, di riscoprirsi e dare sfogo ad espressioni ed avventure nuove. Il suo personaggio della madre carceriera risulta particolarmente convincente anche e soprattutto per la sua impostazione teatrale, dando anche il via libera ad un gioco di ruoli che si ribaltano con quello della giovane interpretata da Lydia Page. Dopo la sua parte nel film Blue Jean, si tratta infatti del suo primo ruolo da protagonista, con la cosa che non si lascerebbe affatto presagire dalla sua prova in costante crescita, da semplice agnellino sacrificale a toro luciferino e determinato a portare a compimento la sua missione, arrivando (forse) anche a riuscirci. Degna di nota anche la prova di Rocco Fasano, noto principalmente sul grande schermo per il film Non mi uccidere di Andrea De Sica e per il piccolo schermo grazie a Skam Italia, sebbene il suo personaggio non offra narrativamente spiccati momenti per potersi mettere in mostra, eccezion fatta per un momento cruciale verso il termine della visione.

Girato in appena 4 settimane, il film rasenterebbe in questo senso la perfezione stilistica in quello e nelle modalità in cui vuole raccontare la sua storia, mettendo in evidenza in questo folk-horror uno spirito ed una vocazione “internazionale” del suo regista. Il primo film, scritto e diretto da Andrea Niada, regala così al cinema horror italiano un nuovo nome sul quale è obbligato a puntare per i prossimi progetti di un regista che, con “Home Education – Le regole del Male”, riesce a portare in sala un film intelligente e molto ben curato dal punto di vista tecnico ma non solo.

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