Articolo pubblicato il 20 Novembre 2023 da Bruno Santini
SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli
Genere: Azione, Supereroistico
Anno: 2021
Durata: 132′
Regia: Destin Daniel Cretton
Sceneggiatura: David Callaham, Destin Daniel Cretton, Andrew Lanham
Cast: Simu Liu, Awkwafina, Tony Leung, Meng’er Zhang, Fala Chen, Florian Munteanu
Fotografia: William Pope
Montaggio: Nat Sanders, Elisabet Ronaldsdottir, Harry Yoon
Colonna Sonora: Joel P. West
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Col secondo film della Fase Quattro, i Marvel Studios introducono nel loro universo condiviso un personaggio strutturalmente diverso dal canone classico del supereroe moderno, al contempo strizzando l’occhio agli action movie orientali del genere wuxia. Ecco la recensione di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, l’esordio del personaggio interpretato dal granitico Simu Liu.
La trama di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, diretto da Destin Daniel Cretton
Di seguito la trama di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, il primo film sul supereroe orientale diretto da Destin Daniel Cretton:
Per mille anni, Wenwu (Tony Leung), oggi conosciuto come il Mandarino, ha sfruttato i poteri dei Dieci Anelli per creare l’omonima organizzazione terroristica e manipolare gli eventi a proprio vantaggio. Nel 1996, in cerca del leggendario villaggio di Ta-Lo, in Cina, ebbe modo di scontrarsi con la sua futura moglie, Ying Li: seppur perdendo, l’uomo si infatuò della donna, amore per il quale venne ricambiato e abbandonò il suo precedente stile di vita. Qualche anno dopo, Ying Li venne assassinata da una gang criminale nemica di Wenwu e quest’ultimo si vendicò uccidendoli tutti, seppur non trovandone il capo, e tornò alla sua precedente vita, includendo anche l’allora figlio di soli 7 anni, Shang-Chi. Addestrato ad essere un assassino, a 14 anni Shang-Chi uccise, su ordine di Wenwu, il capo della gang che anni prima tolse la vita alla madre, ma dopo ciò decise di fuggire da casa, lasciando indietro la sorella Xialing.
Nel presente, a San Francisco, Shang-Chi (Simu Liu) lavora come parcheggiatore di auto per un hotel con la sua migliore amica Katy (Awkwafina). Un giorno, i due vengono attaccati dai Dieci Anelli, che intendono appropriarsi di un ciondolo che Ying Li donò in passato al figlio; l’assassino Razor Fist (Florian Monteanu) riesce nell’intento e Shang-Chi comprende che i Dieci Anelli prenderanno anche l’altro ciondolo identico al suo, che possiede sua sorella Xialing (Meng’er Zhang). I ciondoli sono collegati al mistico mondo di Ta-Lo e al Gran Protettore, un drago marino.

La recensione di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli: il kung-fu secondo la Marvel
Creato da Jim Starlin e Steve Englehart nel 1973, Shang-Chi fu plasmato sulla figura del mitologico Bruce Lee in una testata chiamata The Hands of Shang-Chi: Master of Kung-Fu, riscuotendo un buon successo editoriale sfruttando l’onda dei film di arti marziali tanto in voga in quel decennio. Nonostante abbia condiviso le pagine dei fumetti con personaggi del calibro di Iron Fist e Tigre Bianca, la notorietà di Shang-Chi andò lentamente a perdersi, diventando di fatto un personaggio minore nel variegato roster made in Marvel. L’interesse per l’eroe orientale si riaccese quando, negli anni ’80, Stan Lee propose a Brandon Lee, l’indimenticato interprete de Il Corvo e figlio di Bruce, di interpretare Shang-Chi in un live action, ma il tutto si concluse con nulla di fatto. Dagli anni ’90 a metà anni 2000 in tanti provarono a trasporre il marzialista cinese sul grande schermo senza però riuscirci: da Stephen Norrington (regista di Blade) a Ang Lee (come produttore), finché i diritti del personaggio non tornarono definitivamente nelle mani dei Marvel Studios. L’esordio del combattente di origini cinesi nel Marvel Cinematic Universe avvenne nel pieno della Fase Quattro, con una origin story piena di contenuti ma anche incredibilmente caotica.
Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, diretto da Destin Daniel Cretton, presenta un personaggio dall’importante passato oscuro in un’opera scostante e a tratti confusionaria. L’intenzione del regista è quella di omaggiare il wuxia, il genere letterario cinese riconducibile all’occidentale “cappa e spada”, del quale fanno parte film come La foresta dei pugnali volanti o il celeberrimo La tigre e il dragone, mischiandolo alle arti marziali tanto care ad attori del calibro di Jackie Chan. Da questo punto di vista, per lo meno nel primo atto, Shang-Chi fa il suo sporco lavoro: Cretton gestisce il ritmo dell’azione dal punto di vista dei calci e dei pugni dell’acrobatico Simu Liu in maniera tutto sommato discreta, in un setting urbano e verosimile che ben si sposa con le atmosfere iniziali della pellicola; Liu, qui al suo debutto come attore, ha la fisicità necessaria per rendere le azioni del suo personaggio spettacolari avendo dalla sua anche un discreto passato da stuntman. Se tutto il primo atto cerca di poggiare le basi sulle fondamenta del genere kung-fu movie di natura wuxiana, ci pensa una delirante sceneggiatura scritta a sei mani (tra cui quelle del regista) a demolire quel poco di buono costruito nella prima mezz’ora.
Il cambio di rotta che Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli subisce nel secondo e nel terzo atto è, a dir poco, inspiegabile. Le atmosfere da street fighter movie vengono completamente cancellate a favore di una svolta fantasy fuori contesto, con la mitologia cinese che viene letteralmente sbranata da una computer grafica patinata e troppo invasiva. Shang-Chi si trasforma in un brutto mostro di CGI dove la solita battaglia di gruppo made in MCU (una fastidiosa abitudine iniziata nei film solisti con Thor: Ragnarok), si mangia tutta la tangibilità della prima parte e dove la sospensione dell’incredulità va a farsi benedire con scelte stilistiche incomprensibili e senza senso. La gestione dei personaggi è un altro punto debole di questo film di origini, a cominciare da Katy, interpretata dalla comica Awkwafina. La sidekick di Shang-Chi è perennemente in scena con un’invadenza quasi fastidiosa, risultando troppo opprimente e a tratti insopportabile, l’ego di Awkwafina fa a pezzi un personaggio che, già di per sé, risulta poco più di una mera spalla comica. L’interpretazione di Simu Liu, per quanto ottima dal punto di vista fisico, è pessima nel lato recitativo: l’attore cinese rimane troppo ingessato in un ruolo che dovrebbe essere parzialmente drammatico, dato il già citato passato oscuro del personaggio, non riuscendo a far empatizzare lo spettatore con Shang-Chi nel suo conflitto col padre Wenwu. Quest’ultimo, tuttavia, è invece il personaggio migliore del film: il leggendario Tony Leung, seppur penalizzato da una sceneggiatura che non esalta le motivazioni del villain, interpreta in maniera più che decorosa un antagonista decisamente più interessante della sua controparte buona. Un netto contrasto col passato dei Marvel Studios, da sempre bravi a caratterizzare gli eroi ma quasi sempre pessimi nella gestione dei cattivi.

Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli: storia di un film casinista
Il venticinquesimo film del MCU e secondo della Fase Quattro è un colossale buco nell’acqua, un’occasione sprecata per presentare al grande pubblico un eroe diverso tanto nello stile quanto nella cultura d’appartenenza. Shang-Chi presenta gravi problemi di scrittura che vanno irrimediabilmente a mettere il bastone tra le ruote al regista Destin Daniel Cretton e, di rimando, all’intero cast del film. L’autore, qui al suo primo blockbuster, è il complice e il principale indiziato di uno script che uccide il discreto tono da action orientaleggiante del prologo, facendogli perdere la bussola di un film che trovava nelle arti marziali la sua iniziale (ed unica) carta vincente. La direzione anonima nel quale il film si incanala nella seconda parte diventa il tallone d’Achille di un prodotto che doveva (e poteva) trovare nella semplicità la sua strada ideale. Cretton invece mischia le carte, al netto dei convincenti flashback sul passato del protagonista, il film si smarrisce nel buio di una CGI che si mangia tutto: attori, messa in scena, credibilità. Il voler cercare a tutti i costi la spettacolarizzazione gratuita, inoltre, fa affogare Shang-Chi in un mare di noia già vista e sentita, tramutando l’esordio del marzialista cinese in un cinecomic del tutto ordinario e troppo discontinuo nella sua boriosa esagerazione.