Recensione – Invelle: il film animato italiano di Simone Massi a #Venezia80

La recensione del film d’animazione di Simone Massi, presentato in anteprima a #Venezia80, sezione Orizzonti.
Invelle: la recensione del film d'animazione

Articolo pubblicato il 2 Luglio 2024 da Giovanni Urgnani

Dopo aver passato numerosi anni a realizzare cortometraggi, Simone Massi giunge finalmente alla creazione di “Invelle“, il suo primo lungometraggio animato presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2023. Ecco la recensione in anteprima. 

La trama di Invelle, diretto da Simone Massi

Nella sua prima opera animata italiana, Simone Bassani decide di ancorarsi ad una realtà storica del nostro paese riassunta ora nella seguente trama:

“Si tratta di un racconto antologico ambientato in tre epoche diverse aventi come protagonisti tre bambini: la prima è Zelinda, orfana di madre, morta per la spagnola nel corso della Prima Guerra Mondiale, mentre suo padre è in guerra. La seconda è Assunta, che vive proprio durante il periodo nazista, tra bombardamenti, esecuzioni, razzie e leggi razziali. Infine, Icaro, che va via dalla campagna durante gli Anni di Piombo per farsi una nuova vita e lavorare come contadino.”

Invelle: il film animato

La recensione di Invelle, il film animato italiano

Non può essere possibile parlare di “Invelle” senza prima menzionare la sua mostruosa tecnica animata, appartenente ad uno stile completamente diverso dai canoni originali dell’animazione occidentale. I protagonisti si fondono letteralmente con gli ambienti della campagna, scorrendo insieme in un unico flusso che prosegue lentamente mentre i bambini soffrono condizioni di vita profondamente difficili. Per Simone Massi, l’animazione ha il compito di esplorare i sentimenti delle persone entrando direttamente all’interno dei loro cuori: la telecamera invisibile entra all’interno degli occhi, all’interno delle mani e all’interno delle bocche, facendoci percepire ogni singolo respiro (enfatizzato da un sonoro straordinario).

Un altro dettaglio estremamente interessante riguarda la pelle delle persone: i pori sembrano delle cuciture, come se si volesse evidenziare la difficoltà nel riuscire a tenere insieme i pezzi del proprio essere, cercando di resistere fino alla fine. Anche la scelta del bianco e nero non è casuale, perché le figure si distinguono in quella forte oscurità, simboleggiata dal male, che spesso copre tutto lo schermo mentre ogni bambino si sente smarrito, almeno finché non si lascia guidare dagli unici colori della speranza. Sublime è il doppiaggio, come se le voci dei bravissimi attori sembrassero quasi prese da registrazioni d’epoca.

Il ricordo della resistenza

Simone Massi attraversa le parti più buie dell’Italia raccontando la distruzione della guerra, l’ascesa del fascismo e gli attentati terroristici degli anni 70. L’autore non mostra quasi mai dei veri atti di violenza o dei personaggi effettivamente cattivi, ma li rappresenta come dei demoni che lentamente si insidiano all’interno dei paesi, riflettendoli sul volto di terrore dei protagonisti. Viene adottata la stessa strategia narrativa nel film “La Storia Infinitadi Wolfgang Petersen, dove il male diviene un’entità che lentamente consuma e devasta qualsiasi cosa incontri sul suo cammino. Le uniche cose che sono percettibili anche dal punto di vista fisico riguardano i bambini e le loro famiglie, costantemente messi alla prova dalle nuove difficoltà economiche e sociali che non smettono mai di arrivare.

I momenti di terrore rappresentati dai mali della storia creano dei parallelismi con i soprusi subiti abitualmente dai contadini a causa del loro rapporto con i padroni, i quali si dimostrano essere degli sfruttatori che letteralmente fanno bere aceto ai loro dipendenti per fare vendere loro il vino, mentre le bocche da sfamare si ritrovano sempre con la pancia vuota. Il rapporto tra borghesia e proletariato non è diverso dal fascismo, evidenziando come i padroni non vogliano in alcun modo che le famiglie campagnole si acculturino, perché crescere istruiti permette di costruirsi le basi per evitare di farsi sfruttare. Proprio qui Simone Massi colpisce ancora più nel segno, evidenziando come in passato la povertà abbia impedito ai nostri nonni e ai nostri genitori di avere delle vite dignitose, costretti a lavorare per portare il pane a casa e crescendo troppo in fretta.

Invelle: la recensione del film di Simone Massi

Da questo concetto vengono mostrati numerosi paragoni tra le vecchie e le nuove generazioni, dove queste ultime hanno la possibilità di avere un benessere che quelle precedenti non hanno avuto, evidenziando la gioia dei padri e delle madri che fanno tanti sacrifici affinché quella resistenza contro i soprusi non sia stata fatta invano. Tale resistenza non riguarda soltanto le lotte della guerra, ma rappresenta una resistenza che tutti noi dobbiamo continuare ad affrontare ogni giorno: non è un caso che l’ultimo bambino protagonista si senta umiliato e maltrattato perché non riesce ad integrarsi con gli altri bambini poiché loro lo disprezzano in quanto figlio di contadini. Simone Massi mostra che la guerra non è finita perché l’Italia continua ad essere divisa, mentre la speranza per un domani dove il fascismo non torni continua ad essere sempre più fragile: la storia viene dimenticata e le stesse persone che lottano per i diritti vengono chiamati fascisti dai politici, creando una tragica ironia.

Proprio per questo l’importanza del ricordo e delle immagini che lo testimoniano, in qualsiasi forma d’arte, viene costantemente premuta per tutta l’opera: Simone Massi non si limita a realizzare un documentario, ma entra direttamente all’interno dei sentimenti dei bambini protagonisti per connettere lo spettatore con le loro sensazioni, in modo da farle nostre e permettendoci di entrare in un mondo buio che in realtà riflette il nostro doloroso passato storico a cui non dobbiamo mai voltare le spalle. “Invelle” risulta essere un ritratto politico estremamente originale e toccante ed uno dei più grandi esordi che il nostro paese abbia avuto negli ultimi anni.

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