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Recensione – Ecce Bombo, il primo Festival di Cannes per Nanni Moretti

Presentato in concorso alla 31° edizione del Festival del cinema di Cannes, uscito nelle sale italiane l’8 marzo 1978, “Ecce Bombo” è l’opera seconda di Nanni Moretti. Il film segna una svolta cruciale nella carriera del regista romano che nel giro di poco più di un anno passa dall’essere una giovane promessa del panorama italiano al portare in concorso una sua opera a uno dei Festival più importanti del mondo. Qui si accende inoltre la passione del pubblico transalpino nei confronti del cinema morettiano, che in molti casi sarà più apprezzato in Francia che nella sua terra di origine. Di seguito la trama e la recensione di “Ecce Bombo”.

La trama di Ecce Bombo

Il film narra le peripezie di Michele (interpretato dallo stesso Moretti e suo alter-ego), Mirko, Vito e Goffredo che, dopo aver abbandonato le loro velleità legate ai movimenti studenteschi, passano le loro giornate a trastullarsi al bar, riflettendo sulle loro esistenze e i loro rapporti con le donne. A cornice di tutto ciò Michele porta avanti una relazione con Silvia, la sua ragazza, che lavora presso vari set come aiuto regista.

La recensione di Ecce Bombo

Se “Io sono un autarchico” aveva tutte le caratteristiche e i limiti tipici di un esordio cinematografico stimolante ma imperfetto, “Ecce Bombo” è un’opera seconda di incredibile maturità artistica che fonda tutti i pilastri sui quali si baserà la poetica morettina da qui fino ad arrivare alla sua ultima fatica, “Il sol dell’avvenire”.


Quelli che dunque erano elementi che potevano essere ricondotti a un utilizzo estemporaneo e naif del mezzo cinematografico qui diventano pietre angolari di un film estremamente complesso. A saltare subito all’occhio è il montaggio, sincopato eppure certosinamente studiato, la narrazione tradizionale è qui completamente ripudiata e il modello a cui si fa esplicitamente riferimento è quello inaugurato da Jean-Luc Godard in “Fino all’ultimo respiro”.


Il flusso che si segue per determinare la cesura tra una scena e l’altra non è scandito dall’avanzare della storia, quanto più dai mutamenti dello stato d’animo del protagonista, risoluto nell’aderire a un’ideologia eppure perpetuamente interdetto sulle azioni da compiere. La pellicola è un insieme di frammenti narrativi non necessariamente agganciati tra di loro, infatti il conflitto interiore di Michele si riflette in stacchi di montaggio brutali, netti eppure ambigui nel loro significato, in bilico tra precisa scelta autoriale e impetuoso ardore giovanile.


La regia è d’altro canto segnata da una predilezione per la camera fissa e il ricorso ai long-shot. Una volta trovato in quadro da lui prediletto, Moretti intende spingere l’occhio dello spettatore a concentrarsi sugli elementi della messa in scena, sulla mimica degli attori e sulle scelte fotografiche. In particolare in queste prime opere è molto raro assistere a movimenti di macchina dinamici o a barocchi virtuosismi.

Tutte le scelte stilistiche sopracitate si sostanziano in una pellicola assolutamente radicale che affronta con occhio clinico le implicazioni politiche e sociali che derivarono dai movimenti di massa degli anni 70 in Italia. Il conflitto tra appartenenza a un gruppo e fedeltà alla propria coscienza individuale è il seme dal quale germogliano tutte le restanti tematiche della pellicola. A risultare dilaniante è la contrapposizione tra gli ideali condivisi e la gestione delle proprie relazioni interpersonali e nello specifico affettive.

 

Il personaggio di Michele ha una precisa idea su quali siano i problemi del cinema italiano e su come esso influenzi gli usi e i costumi di una società allo sbando (in tal senso iconiche le scene riguardanti l’atto del fumare nei film e lo screzio con l’avventore al bar). Allo stesso tempo tuttavia è fondamentalmente incapace di trovare delle soluzioni per affrontare problemi politici di così ampio raggio e vivere all’interno di una relazione.

 

La tensione sfera pubblica/privata qui è palpabile e non a caso avviene in un periodo nel quale si riteneva la propria ideologia politica dovesse permeare tutti gli aspetti della propria, l’adesione a una corrente era un atto di fede e in quanto tale non poteva non creare dissidi interiori. Emblematico è in tal senso il finale del film nel quale Michele e Silvia non possono far altro che fissarsi in preda allo sconforto e a una ineliminabile mestizia, incapaci di dialogare e di conseguenza anche di amare.

Voto
5/5
Gabriele Maccauro
5/5
Bruno Santini
4/5
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Generi:

PRO