Articolo pubblicato il 20 Novembre 2023 da Vittorio Pigini
Uno snodo cruciale per la storia del cinema, quello del decennio tra il 1920 e il 1929, che ha saputo regalare i film più completi – soprattutto dal punto di vista tecnico, ma anche narrativo – dell’era del muto, prima che “Il cantante di jazz” del 1927 segnasse una linea di (quasi) non ritorno per la Settima Arte.
Di seguito i Migliori Film Horror degli anni ’20.
I Migliori Film Horror degli anni ’20: dal cinema muto un decennio di capolavori immortali
Nel periodo storico particolarmente importante per il cinema che sono gli anni ’20, chi ha sicuramente beneficiato di perle di inestimabile valore artistico è sicuramente il genere horror. Soprattutto con la necessaria impronta tedesca del cinema espressionista, quello dell’orrore acquisisce un’ossatura ed una struttura ferma, ben composita e non solo formata da “semplici” artifici per impressionare il pubblico, partendo dalle incredibili opere del pioniere Méliès. Tolto infatti qualche audace tentativo ed esempi scollegati fra loro (come potrebbe essere “L’Inferno” del 1911 o “Lo Studente di Praga” del 1913), è con gli anni ’20 che i film horror iniziano ad essere non solo più presenti e costanti, non solo frutto di produzioni importanti, ma anche prodotti “completi” per il pubblico, dai quali catturarne tutto il potenziale artistico fatto di paure, inquietudini e sentimenti sopiti.

Il Gabinetto del Dr. Caligari, di Robert Wiene – 1920
Considerato il simbolo dell’Espressionismo tedesco, fra i migliori film horror degli anni ’20 non poteva non esserci “Il Gabinetto del Dr. Caligari”, un’opera fuori da ogni tempo che continua ad influenzare ancora oggi il grande cinema. Il capolavoro di Robert Wiene – che lo stesso anno girerà anche l’altro grande horror “Genuine: A Tale of a Vampire” – passa alla storia della Settima Arte tanto per la sua perfezione narrativa quanto stilistica. Attraverso la folle storia del sonnambulo Cesare, costellata di morti sospette nel paese riconducibili alla misteriosa figura del Dr. Caligari, il tema del doppio insidia una trama intricata nei labirinti e stretti corridoi della mente, fra sogno e realtà, con annessa allegoria della Germania del 1920. Stupefacente l’impatto visivo che regala la vera essenza dell’espressionismo tedesco (un decennio in cui si troverà in ottima compagnia), tanto nelle deliranti scenografie divenuti iconiche nel cinema, quanto nella strepitosa fotografia che estrapola l’anima dal volto di ogni personaggio.
La stregoneria attraverso i secoli – Haxan, di Benjamin Christensen – 1922
Ormai più di 100 anni fa, il regista danese Benjamin Christensen terrorizzava il pubblico con un horror conturbante e decisamente all’avanguardia sia nella struttura narrativa e sia per come le immagini di “Haxan” venivano mostrate, soprattutto per l’epoca sconvolgenti a dir poco. Sulla falsa riga di “Pagine Dal Libro Di Satana” di Carl Theodor Dreyer del 1920, il film mostra l’insinuarsi del Diavolo tra gli uomini, colpiti da superstizioni e reali maledizioni. Il regista mostra l’iconografia diabolica, i vari tipi di sortilegio e come la stregoneria sia sempre esistita, ma lo fa attraverso spiegazioni di testi antichi, illustrazioni e parti a tinte documentaristiche in un perfetto mix con episodi di finzione. La paura e il terrore sta proprio nell’impossibilità di decifrare quale sia il confine di separazione, anticipando ogni film horror paranormale ispirato a fatti realmente accaduti, con il film che infatti prosegue sulla sica del simil-realismo nel ricostruire i vari Sabba e le torture persecutorie della Chiesa, il tutto in un climax di dolore e cupezza.

Faust, di Friedrich Wilhelm Murnau – 1926
Ultimo film prima dell’obbligatoria fuga dalla Germania, il maestro Friedrich Wilhelm Murnau adatta il celebre poema di Goethe “Faust” e lo intreccia con altri elementi fantastici e folkloristici, raccontando l’Amore nel bel mezzo dell’eterno scontro tra il Bene e il Male. Poema metafisico che è metamorfosi della stessa storia del cinema tra Hollywood e la visione europea. Tra redenzione e tragedia, tra morte e speranza il poetico espressionismo romantico si mostra nell’incredibile cifra stilistica di una messa in scena che è pura gioia per gli occhi, incredibilmente all’avanguardia nell’uso degli effetti speciali e spingendosi al limite delle possibilità cinematografiche allora conosciute.
Il Golem: Come venne al mondo, di Carl Boese e Paul Wegener – 1920
Terza pellicola girata dal regista tedesco Paul Wegener sul tema della mitologica figura ebraica, che qui divide la cabina di regia con il connazionale Carl Boese. Il film “Il Golem: Come venne al mondo” è un vero e proprio antefatto di quello di 5 anni prima – andato purtroppo perduto – e narra effettivamente una origin story della celebre figura del Golem: “versione antica” del mostro di Frankenstein che appare anche nel folklore medievale. Come il film di Robert Wiene, anche questo capolavoro di Wegener viene considerato uno dei maggiori pilastri dell’espressionismo tedesco al cinema. Gotiche scenografie vengono impreziosite da mirabili trucchi tecnici ed una fotografia illuminante per un’opera che, oltre a segnare una delle svolte tecnico-visive di quegli anni fondamentali per la storia del cinema, risulta narrativamente e drammaticamente anticipatoria della delicata situazione ebraica in Germania.

Nosferatu, di Friedrich Wilhelm Murnau – 1922
Icona horror per eccellenza, il vampiro riesce sempre a stregare ed ammaliare il suo pubblico con il suo fascino e la sua ferocia. La figura succhiasangue più famosa dell’Arte (letteraria, illustrativa ed inevitabilmente cinematografica) è senza ombra di dubbio quella di Dracula e, contrariamente a quello che si possa pensare, il film di Murnau non è la prima apparizione del Principe delle Tenebre sul grande schermo (l’anno prima venne girato un film austriaco basato sul celebre romanzo di Bram Stoker che uscì però nel 1923), ma è sicuramente la più importante fra tutte le prestigiose apparizioni di Dracula al cinema. Frutto di una produzione ed una lavorazione particolarmente complicata e piena di intricati contrattempi, “Nosferatu il vampiro” del 1922 rappresenta un caposaldo non solo del genere horror ma proprio della storia del cinema, tanto nel suo sviluppo narrativo quanto nell’impressionante comparto tecnico, senza dimenticare il ruolo cruciale del cast capitanato dall’iconico e misterioso Max Schreck. Fra i maggiori cineasti, che hanno speso parole al miele per l’opera, basti ricordare come questa venga etichettata “Il miglior film su Dracula mai realizzato. Un capolavoro” da Francis Ford Coppola, e “Visionario e premonitore, preannuncia l’arrivo del nazismo mostrando l’invasione della Germania da parte dello spettrale protagonista” da Werner Herzog – che riprenderà l’opera nel suo “Nosferatu, il principe della notte” del 1979 – e non rimane che dare loro ragione.
Il carretto fantasma, di Victor Sjöström – 1921
Probabilmente l’opera più famosa del regista svedese Victor Sjostrom, considerato un vero maestro in patria e grande fonte d’ispirazione di molti altri grandi cineasti delle generazioni successive, tra i quali spicca non solo il chiaro omaggio nello “Shining” di Stanley Kubrick, ma soprattutto il conterraneo Ingmar Bergman che lo sceglie come attore protagonista nello splendido “Il posto delle fragole”. Un racconto drammatico quello de “Il carretto fantasma”, nel narrare la macabra leggenda dell’Ultimo dell’Anno, una storia d’amore turbolenta ed un inno alla vita quando questa ti scorre davanti. Un’opera magna messa in scena attraverso un fantasy-horror impressionante soprattutto per le riuscite sperimentazioni tecniche del regista nei contrasti di luce, nuovi spiragli per le angolazioni da cui riprendere e soprattutto nel gioco delle sovrimpressioni.

Il Fantasma dell’opera, di Rupert Julian – 1925
Tratto dal celebre ed omonimo romanzo di Gaston Leroux, quella diretta dal regista neozelandese Rupert Julian è la seconda trasposizione sul grande schermo della storia di Erik, abile e geniale musicista – nato sfigurato e per questo condannato a rimanere nei sotterranei dell’Opéra di Parigi – che si innamorerà della giovane cantante Christine ed è disposto a tutto pur di far accrescere il suo successo. Un’opera magniloquente tanto nelle imponenti scenografie curate al dettaglio quanto soprattutto nella costruzione dei personaggi, in particolare nel celebre e terrificante make-up sul personaggio protagonista interpretato Lon Chaney: elementi che hanno contribuito a render “Il fantasma dell’opera” un vero e proprio classico del cinema che infatti, nel corso dei decenni, seguiranno altri 7 adattamenti, diretti anche da registi come Brian De Palma, Dario Argento e Joe D’Amato.
Il Dottor Mabuse, Fritz Lang – 1922
L’inizio di una delle saghe cinematografiche più importanti nel campo dell’horror, con una delle sue prime ed iconiche “maschere” quale il genio del male “Il dottor Mabuse”, che ispirerà altri 8 film fino al 1972, con il maestro di origini austriache Fritz Lang che dirigerà i primi 3 capitoli. Il film narra appunto dei diabolici tentativi del medico psicanalista Mabuse di impadronirsi e manipolare le menti degli individui per i suoi malavitosi scopi. Prima dell’entrata in gioco dell’attore tedesco Wolfgang Preiss nel ruolo del malvagio dottore, è stato Rudolf Klein-Rogge con la sua impressionante mimica a prestare il volto all’incarnazione del Male in questo primo film e nel successivo “Il testamento del dottor Mabuse” del 1930. Con superba sceneggiatura dello stesso regista – che ispirandosi all’omonimo romanzo di Norbert Jacques impagina una narrazione avvincente e ricca di alto simbolismo per la storia tedesca – il film di Fritz Lang gode di una messa in scena impressionante, con lo sfruttamento delle tecniche espressioniste per distorcere la realtà ed offrire una visione tetra e spettrale.

L’Uomo che ride, di Paul Leni – 1928
<<Chi è soddisfatto è inesorabile. Per il satollo, l’affamato non esiste. Le persone felici ignorano e si isolano. Alla soglia del loro paradiso, come al loro inferno, bisogna scrivere: lasciate ogni speranza.>>.
Dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, la storia drammatica e struggente del freak Gwynplaine, dato in pasto al gusto del pubblico vile, corrotto e senza vergogna, quale la cosiddetta “società civile”. Regista e scenografo tedesco, Paul Leni è un’altra figura chiave dell’espressionismo tedesco, forte delle sue precedenti opere “Il gabinetto delle figure di cera” e “Il castello degli spettri”, ma che con questo “L’Uomo che ride” segna un’opera imponente e forte fonte d’ispirazione per il genere e non solo. Il film si muove inevitabilmente più sulle corde del dramma che dell’horror puro, facendo suscitare commozione ed empatia verso il bellissimo personaggio interpretato da Conrad Veidt, ma l’ambientazione e la situazione psicologica in cui si viene a trovare il protagonista è sicuramente stressante per lo spettatore, colpito da una messa in scena claustrofobica ed accentuata dall’inquietante ed iconica smorfia di Gwynplaine che formerà la principale fonte d’ispirazione per il personaggio del Joker fumettistico.
Una pagina di follia, di Teinosuke Kinugasa – 1926
L’opera più celebre di uno dei registi giapponesi più importanti del cinema muto Teinosuke Kinugasa, “Una pagina di follia” è l’unica perla del Sol Levante presente in lista, non perché le altre non sarebbero state meritevoli ovviamente, ma piuttosto per la difficoltà materiale della fruizione al pubblico moderno delle opere dello stesso Kinugasa o anche di Yasujirō Shimazu. Creduto infatti perduto per oltre 40 anni, il film venne diffuso solo negli anni ’70 e rappresenta esattamente quanto descritto dallo stesso titolo: una pagina di follia. La storia narrata è infatti quella di un ex marinaio che viene assunto come inserviente nel manicomio dove viene tenuta la moglie, ricoverata in seguito ad un tentato suicidio nel quale avrebbe voluto coinvolgere il figlioletto, con quest’ultimo rimasto vittima dell’accaduto. Oltre alla storia particolarmente sentita, il film segna la storia del cinema per la sua particolare messa in scena, decisamente all’avanguardia nel rappresentare su schermo il caos, la follia e la storpiatura della mente dei personaggi in scena. Immagini sfocate o distorte per separare lucidità e pazzia, inquadrature sghembe, sovrimpressioni delle sbarre del manicomio, corridoi che si stringono e si allargano ed effetti ottici ottenuti con l’uso di lenti deformanti, per un mix di horror psicologico e forte tensione che faranno la fortuna dei maggiori cineasti soprattutto del surrealismo.