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I Migliori Film Biografici ad aver vinto un Premio Oscar

Schindler's List Liam Neeson classifica oscar

Avvicinandosi alla grande Notte dalla 95a edizione dei premi Oscar, si propone una rassegna su uno dei generi cinematografici che, assieme probabilmente al war-movie ma sicuramente opposto all’horror, può godere di una considerazione particolarmente positiva all’interno dell’Academy, ovvero il Biopic.

 

 

I migliori biopic ad aver vinto un Oscar

 

 

Un genere dall’indiscutibile fascino capace, attraverso il cinema, di far rivivere figure della nostra storia facendo riscoprire allo spettatore peculiarità personali o dati appunto biografici svelando, in molti casi, l’uomo/donna dietro l’immagine pubblica o sui libri di scuola. Realizzare un grande film biografico non è però impresa semplice, in quanto non dovrà semplicemente riportare fedelmente i fatti realmente accaduti (si tratta pur sempre di finzione cinematografica, non si parla di documentario), ma l’autore non potrà ovviamente disporre liberamente del soggetto di partenza, con il protagonista principale che spesso e volentieri si ritrova ad interpretare una figura storicamente ingombrante.

 

 

Considerando che anche gli Oscar 2023 registrano nella categoria Miglior Film ben 2 biopic (“The Fabelmans” ed “Elvis”), quali sono stati i migliori film biografici a vincere almeno una prestigiosa statuetta? Di seguito elencati in ordine cronologico.

Toro Scatenato Robert De Niro

Toro Scatenato, di Martin Scorsese – 1980

La rassegna dei migliori biopic ad aver vinto un Oscar  viene inaugurata dal settimo lungometraggio di uno dei maestri del cinema (non solo contemporaneo), ovvero Martin Scorsese, che qui adatta sul grande schermo l’autobiografia del pugile peso medio italoamericano Jake LaMotta.

 

 

Su sceneggiatura di Paul Schrader – che torna a collaborare con il regista dopo il successo di “Taxi Driver” del 1976 – e servendosi sia di un montaggio eccezionale che di un grande B/N che restituisce anche l’esperienza visiva ricercata degli anni ’40 narrata, Scorsese regala probabilmente il miglior film sportivo di Hollywood: un film epico di ascesa e profonda ricaduta, che rende il quadrato di scontro perfetta metafora della vita.

 

 

Candidato a 8 premi Oscar, “Toro Scatenato” porterà a casa 2 statuette. Oltre al montaggio, viene infatti premiato come Miglior Attore Protagonista Robert De Niro, che dà forma e sostanza ad una delle interpretazioni più intense del cinema hollywoodiano: un pugile violento, possessivo e paranoico, che incassa e risponde ai duri colpi sul ring e a quelli della vita familiare.

Gandhi, di Richard Attenborough – 1982

Partito dalla prigionia in Sudafrica, giovane avvocato diviene leader politico in India: da una parte la lotta pacifica contro l’Impero britannico per la liberazione del suo popolo; mentre, dall’altra, la ricerca del compromesso fra le litigiose minoranze religiose interne.

 

È questo il ricco biopic, sulla figura politica ed umana del Mahatma Gandhi, realizzato dal regista britannico Richard Attenborough, noto al grande pubblico specialmente per la prova d’attore nell’iconico ruolo di John Hammond in Jurassic Park e che, 10 anni dopo nel 1992, realizzerà un altro grande biopic su Charlie Chaplin che vede Robert Downey Jr. nel ruolo di protagonista in “Charlot”.

 

Il quinto film di Richard Attenborough si è rivelato un grande successo tra critica e pubblico, con “Gandhi” che riesce ad ottenere ben 8 premi Oscar, tra cui Miglior Film (su 11 candidature), e che ovviamente appoggia gran parte della sua riuscita sulla grande interpretazione di Ben Kingsley premiato con la statuetta.

Amadeus, di Miloš Forman – 1984

Solo due anni più tardi un altro biopic di grande successo, con l’ottavo lungometraggio del regista di origini cecoslovacche Miloš Forman che, adattando l’omonima piéce teatrale di Peter Shaffer, si ispira alla vita del celebre compositore austriaco Wolfgang Amadeus Mozart per un film in costume ambientato nella Vienna alla fine del ‘700.

 

Partendo infatti dal ricordo del compositore Antonio Salieri – ormai finito in manicomio – Forman realizza di fatto con “Amadeus” un falso biopic dai toni sfarzosi e grotteschi, possente tanto nella colonna sonora (che fa imprimere nell’esperienza sensoriale dello spettatore il genio del compositore austriaco) quanto nell’elegante messa in scena, impreziosita da un’alta e celebrativa regia.

 

A differenza dei due titoli sopracitati, l’attore che interpreta il personaggio soggetto del biopic (Tom Hulce nel ruolo di Mozart) viene “solo” candidato all’Oscar senza vincere la statuetta, che invece andrà al collega di reparto F. Murray Abraham (nel ruolo di Salieri) insieme agli altri 7 premi ottenuti tra cui quello per il Miglior Film.

L’ultimo imperatore, di Bernardo Bertolucci – 1987

Una decade sicuramente incoraggiante per gli anni ’80, che registra anche questo altro grande successo e che, in una produzione anche cinese e britannica, porta molto del Bel Paese grazie anche e soprattutto al suo sceneggiatore e regista Bernardo Bertolucci, autore di uno dei migliori biopic ad aver vinto un Oscar, L’ultimo imperatore.

 

 

Uno degli autori italiani più acclamati, soprattutto all’estero, e l’unico ad aver vinto il premio Oscar al Miglior Regista, realizza questo immenso colossal epico-biografico che riuscirà a vincere ben 9 premi Oscar su 9 candidature, tra cui Miglior Film e Sceneggiatura non Originale.

 

 

Quest’ultima infatti illumina le ombre (cinesi) dei determinati giochi di potere ripercorrendo la prima metà del ‘900 e adatta su schermo l’autobiografia “Sono stato imperatore” di Pu-Yi, l’ultimo imperatore: da bambino incoronato “Signore dei Diecimila Anni” e considerato Dio in terra, passa l’infanzia e l’adolescenza in esilio nella meravigliosa Città Proibita; la sua volontà di riformare l’impero combacia con la sua effettiva caduta, finendo per diventare un re fantoccio durante l’occupazione giapponese; l’esperienza carceraria sotto Mao.

Ed Wood Tim Burton 1994

Schindler’s List, di Steven Spielberg – 1993

Considerato tra i migliori film di Steven Spielberg e con un’acclamazione pressoché totale, tanto di critica quanto di pubblico, “Schindler’s List” è la consacrazione definitiva del suo regista anche nel campo cosiddetto “impegnato”, non relegandolo solo al cinema commerciale e d’intrattenimento del quale rimane maestro.

 

Un regista Spielberg che infatti troverà con il dramma e anche direttamente i biopic – tra gli altri si arriverà agli Oscar anche con “Lincoln” del 2012 – una nuova e vigorosa arma per la sua imprescindibile filmografia e che qui adatta l’omonimo romanzo di Thomas Keneally per basarsi sulla vera storia di Oskar Schindler, per quello che potrebbe benissimo essere considerato IL film sul tema della Shoah.

 

Un film che ha fatto la storia del cinema per la sua cura tanto umana e narrativa, quanto soprattutto nella perizia tecnica, contando Janusz Kaminski alla fotografia e John Williams alla colonna sonora, entrambi premiati con la statuetta. Quest’ultima non arriverà per i due attori principali Liam Neeson (nel ruolo di Schindler) e Ralph Fiennes, ma il 15° lungometraggio di Spielberg conquisterà comunque 7 premi Oscar su 12 nomination.

Ed Wood, di Tim Burton – 1994

Solo un anno più tardi agli Oscar arriva un altro grande biopic di un altro grande regista al suo periodo d’oro ma, oltre che per il Bianco e Nero, non ha proprio niente in comune con il precedente “Schindler’s List”.

 

Si parla di “Ed Wood” di Tim Burton il quale, sempre in difesa dei perdenti e degli emarginati, omaggia e fa rivivere la tormentata carriera di Edward D. Wood Jr., quello che viene definito il “peggior regista del mondo” ma che non si lascia abbattere dai disastrosi risultati dei propri film e dagli attacchi della critica, ma continua con passione, entusiasmo ed intraprendenza a portare avanti i suoi sogni.

 

Una meravigliosa commedia agrodolce che suscita sì ilarità, grazie alle circostanze grottesche tanto quanto i suoi personaggi, ma propone anche svariati temi di riflessione affrontati intelligentemente da Burton. A guidare la troupe nel ruolo di protagonista è Johnny Depp che, nel ricco e valido cast, stringerà un commovente rapporto con il Bela Lugosi di Martin Landau (vincitore qui dell’Oscar), mentre la colonna sonora di Howard Shore e l’eccellente reparto tecnico permettono una ricostruzione evocativa della “fabbrica dei sogni” degli anni ’40-’50, rappresentata con dovizia di particolari in uno splendido Bianco e Nero anche per riproporre il magico stile macabro di Burton.

Il Pianista Polanski 2002

Il pianista, di Roman Polański – 2002

Uno dei fenomeni più importanti di sempre agli Oscar, grazie alla vittoria di Adrien Brody che ha comportato un record per l’Oscar al miglior attore protagonista più giovane di sempre, Il pianista è sicuramente uno dei migliori biopic ad aver vinto un Oscar. Se per alcuni “Schindler’s List” può essere considerato Il film sulla Shoah, per altri potrebbe essere ritenuto almeno secondo ad un altro film di altrettanto spessore sia tecnico che, soprattutto, umano e drammatico. L’opera in questione è infatti “Il Pianista” di Roman Polanski, quale progetto più personale del regista di origini polacche che racconta la storia del compositore e pianista polacco – di origine ebraica – Władysław Szpilman durante l’invasione delle truppe tedesche in seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

 

 

A parlare sono purtroppo le immagini agghiaccianti, le note dolenti e piangenti che seguono le vicende del protagonista interpretato da uno straziante Adrien Brody, le stesse che rimangono particolarmente affini proprio al suo regista. All’età di 3 anni infatti, Polanski e la sua famiglia di origina ebraica fu costretta a trasferirsi da Parigi in Polonia per via dell’antisemitismo che si stava diffondendo ormai in Francia. Una volta a Cracovia però – città di origine del padre – la famiglia venne rinchiusa nel ghetto della città ad opera delle truppe naziste che hanno invaso lo Stato. Il piccolo Roman riuscì a fuggire, ma la madre venne deportata ed uccisa ad Auschwitz, mentre il padre riuscì a sopravvivere a Mauthausen.

 

 

Insomma un biopic dentro il biopic, con “Il Pianista” che rimane un’opera sensazionale tanto dal lato umano quanto (anche e soprattutto) da quello tecnico, improntando anche una fondamentale lezione di speranza sull’Arte e sulla solidarietà inflessibile che si porterà a casa 3 premi Oscar: oltre alla statuetta a Brody arrivano anche quella della Sceneggiatura non Originale e soprattutto Miglior Regia a Polanski.

Walk the line, di James Mangold – 2005

Si cambia decisamente musica nel 2005, con il regista e sceneggiatore statunitense James Mangold (“Logan – The Wolverine” e “Le Mans ’66 – La grande sfida”) che, in attesa del prossimo progetto legato al biopic sulla figura di Bob Dylan, realizza un lungometraggio incentrato sul mito americano di Johnny Cash.

 

Walk The Line” narra (come lascerebbe intendere il discutibile titolo tradotto in italiano “Quando l’amore brucia l’anima”) sia l’epopea del giovane cantante dell’Arkansas – che contribuirà a riscrivere fortemente la storia della musica, non solo americana e non solo del genere country – sia la turbolenta vita del “Man in Black” fuori dal palco, la love-story con la moglie June, l’alcol e le pillole.

 

Una commedia romantica, musicale, dai toni drammatici e che rappresenta su schermo l’imponente figura artistica di Johnny Cash che ha avuto un notevole riconoscimento tra pubblico e critica, con 3 Golden Globe vinti e 5 nomination agli Oscar. Nonostante però il notevole comparto tecnico, la regia di Mangold, la colonna sonora e la grande prova da protagonista di Joaquin Phoenix, la statuetta arrivò solo per la Miglior Attrice Protagonista a Reese Witherspoon.

The Social Network, di David Fincher – 2010

«Il film più bello degli ultimi dieci anni è The Social Network, non ci sono dubbi. È al primo posto perché è il migliore, non c’è altro da dire. Batte tutta la concorrenza».

Questa è la dichiarazione rilasciata dal regista di culto Quentin Tarantino durante un’intervista nel 2020 e, sebbene il tanto amato geniaccio dietro “Pulp Fiction” sia alquanto “volubile” da questo punto di vista, per molti addetti ai lavori non è una dichiarazione per nulla campata per aria.

 

Ci si riferisce infatti all’ottavo lungometraggio del regista statunitense David Fincher, particolarmente stimato nel campo del thriller ma che ha saputo realizzare anche film biografici di successo: non solo appunto “The Social Network”, ma anche “Zodiac” del 2007 e “Mank” del 2020. È stato qui scelto il biopic su Mark Zuckerberg ed in particolare sulla nascita del fenomeno Facebook, tanto per le qualità tecnico-artistiche quanto per il maggiore successo ovviamente in termini di Oscar rispetto agli altri.

 

“The Social Network” riceverà infatti anche la candidatura a Miglior Film – poi andato all’altro biopic “Il discorso del re” – ma sulle 9 totali riuscirà a portarsi a casa solo 3 statuette, quali inevitabili riconoscimenti alla preziosa Sceneggiatura non Originale di Aron Sorkin, alla Colonna Sonora del duo Trent Reznor/Atticus Ross e al grande Montaggio.

L’ora più buia, di Joe Wright – 2017

Si conclude questa rassegna relativa ai migliori film biografici che hanno vinto l’Oscar con forse il modello di “perfetto biopic hollywoodiano”, in quanto presenta molti degli stilemi tipici in ottica Oscar, tanto a livello tecnico-stilistico appunto, quanto per il soggetto di partenza nell’interpretazione di una figura politica di spessore (generalmente in concorrenza con un protagonista del mondo dello spettacolo) specialmente nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.


Si tratta infatti de “L’ora più buia” diretto dal regista e produttore britannico Joe Wright (“Orgoglio e pregiudizio”, “Espiazione”, “Anna Karenina”), che qui porta su schermo l’ingombrante figura politica del Primo Ministro britannico Winston Churchill, interpretato da un magistrale Gary Oldman.


Pur non registrando assoluti picchi di originalità nella messa in scena che possa distinguerlo da un qualsiasi altro biopic sul genere, il film di Joe Wright può comunque contare su una realizzazione soprattutto tecnica di grande livello, specialmente nella fotografia e nella ricostruzione costumistica e scenografica, ma che appunto deve gran parte del suo successo per la prova del suo protagonista che, assieme al fantastico lavoro di Trucco, riuscirà a portarsi a casa l’Oscar al Miglior Attore Protagonista per Gary Oldman alla sua seconda candidatura su 3.