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Recensione – Sciuscià: la cesura di Vittorio De Sica in un manifesto di neorealismo

Recensione di Sciuscià, manifesto del neorealismo di Vittorio De Sica e grande atto di cesura rispetto alla prima metà di carriera del regista

Considerato un vero e proprio manifesto del neorealismo italiano, nonché uno dei film migliori e più importanti di sempre nell’ambito della storia del cinema, Sciuscià è un film di Vittorio De Sica, primo prodotto in grado di ottenere un Oscar come miglior film straniero per quanto, inizialmente, quest’ultimo non era pensato come una vera e propria categoria, quanto più come una menzione onoraria per le influenze sociali e cinematografiche di una determinata pellicola. Sciuscià è, contemporaneamente, anche il tentativo riuscito, da parte di Vittorio De Sica, di porre in essere una cesura rispetto alla prima parte della sua carriera, rappresentata sia dalle interpretazioni, sia dai film diretti dal 1939 (con Rose Scarlatte) al 1944 (La porta del cielo). 

La trama di Sciuscià, il manifesto del neorealismo di Vittorio De Sica

Sciuscià è un termine di lingua napoletana, per quanto caduto piuttosto in disuso, che deriva dall’inglesismo shoes-shine, che indica i lustrascarpe che si moltiplicavano sulle strade, intenti a guadagnare pochi spiccioli soprattutto dalla folta clientela americana. I due protagonisti del film di Vittorio De Sica, che pone l’accento sulle enormi differenze sociali che ci sono tra il mondo adulto e quello infantile, sono i due bambini Pasquale e Giuseppe, interpretati da Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi. I due amici sono appassionati di un cavallo bianco, Bersagliere, che cercano di affittare ogni volta che hanno a disposizione 300 lire, ma il loro sogno è quello di comprarlo: per questo motivo, accettano un lavoro truffaldino realizzato con la complicità di Attilio, il fratello maggiore di Giuseppe; i due dovranno vendere delle coperte in casa di una chiromante, su commissione del Panza, in cambio di 500 lire. La vendita, però, si rivelerà il pretesto per una successiva rapina e i due bambini si ritroveranno al centro di una denuncia da parte della chiromante.

 

Disposti a non dichiarare nulla di quanto accaduto, i due bambini giungono presso il carcere minorile, dove vengono separati di cella e iniziano un lungo percorso pieno di noncuranza, fame e sofferenze. Il carcere minorile, infatti, respinge costantemente le richieste di scarcerazione o riduzione della pena, lasciando i bambini in preda a uno stato costante di decadimento fisico, ottenuto soprattutto dalla frugalità dei cibi. Nel cercare di ottenere informazioni a proposito del furto, le guardie carcerarie fingono di frustare Giuseppe e Pasquale, per evitare il dolore all’amico, confessa che tra i ladri era presente anche Attilio, fratello del suo amico. Da questo momento in poi il rapporto dei due peggiora, con Giuseppe che – dopo aver trovato manforte dalle nuove amicizie in cella – dà della “spia” a Pasquale, noncurante del fatto che abbia agito credendo di aiutarlo; il ragazzo, inoltre, confessa alla polizia di aver trovato una lima nel cuscino di Pasquale, che viene per questo maltrattato dalle guardie. 


Quando, durante una produzione carceraria, Giuseppe e i suoi amici tentano di scappare, in prigione inizia a regnare il caos: resosi conto del fatto che il suo amico, dopo la fuga dal carcere, avrebbe abbandonato definitivamente la città con Bersagliere, Pasquale si vendica, spiegando alla polizia di sapere dove si trova l’amico. Trovandosi faccia a faccia, Pasquale decide di frustare l’amico che, inciampando e cadendo dal ponte, muore. Solo in quel momento il ragazzo rinsavisce dal desiderio di vendetta e piange Giuseppe, mentre la polizia accorre e il cavallo abbandona il ponte. 

Sciuscià recensione del film di Vittorio De Sica

La recensione di Sciuscià, una cesura rispetto alla prima parte della carriera di Vittorio De Sica

Rispetto alla prima parte della sua carriera, il Vittorio De Sica che dirige Sciuscià mette in atto una vera e propria cesura capace di rivoluzionare completamente la sua storia; attore profondamente noto nel ventennio fascista, nonché Divo più importante e riconoscibile nel cinema di Regime, Vittorio De Sica iniziò la sua carriera dietro la macchina da presa attraverso l’aiuto del potente produttore Giuseppe Amato, che gli offrì la possibilità di dirigere il film Rose Scarlatte. Allo stesso modo, così come già osservato anche nei panni da attore, il tema sentimentale fu lo sfondo di ognuna delle pellicole che precede Sciuscià, in cui viene instaurato per la prima volta un meccanismo di rottura rispetto al passato dell’attore e regista. 

 

 

Il Vittorio De Sica di Sciuscià è innanzitutto un autore fortemente schierato dal punto di vista politico, così come si può notare da alcuni gesti della pellicola: il braccio teso, goffamente esibito dal cuoco del carcere minorile verso il direttore, dopo il suo controllo di gusto, non è soltanto un elemento capace di strappare una smorfia allo spettatore (che ride per un gesto soltanto abbozzato e sbilenco, reso ridicolo nella sua forma), ma anche un’ideale dichiarazione d’intenti da parte del regista, che si ripete in una delle scene finali del film. Non è un caso che a prendere fuoco – e a generare la conseguente anarchia nel carcere minorile – sia proprio la pellicola delle comiche, mostrata a seguito dei consueti e propagandistici aggiornamenti di guerra che i bambini sono costretti ad osservare. 

 

 

Sciuscià vuole essere, naturalmente, un film di enorme consapevolezza sociale, in cui il senso della lotta ideologica viene condotto per mezzo di una contrapposizione tra due mondi, rappresentati attraverso pochi – ma evocativi – elementi: da un lato quello degli adulti, descritto attraverso uno sguardo critico che mette in luce l’asperità, la rigidità di giudizio e la mancanza di uno sguardo che vada oltre i numeri (i crimini sono aumentati del 60% negli ultimi anni, si lamenta il direttore del carcere, incapace di comprendere le motivazioni sociali che si trovano alla base del crimine presentato come unica possibilità di sopravvivenza); dall’altro la speranza rappresentata dai bambini che, pur nell’abbandono e nella malattia, trovano il modo per aggrapparsi ad una possibilità di comunità o ad un semplice ricordo felice (come le astici e gli scampi per il ragazzino napoletano). Una contrapposizione che viene resa evidente dal contrasto che c’è tra i pasti: da un lato una minestra insapore e un pezzo di pane, dall’altro il Panza che, nonostante sia il reale responsabile dei crimini per cui i due bambini vengono incarcerati, ha la possibilità di scegliere se ordinare o meno una bistecca. Il punto di congiunzione tra i due mondi è rappresentato proprio da Bersagliere, il cavallo tanto agognato dai due bambini e pretesto che determina l’evoluzione della trama: la rappresentazione di una speranza inafferrabile se non per mezzo del reato, di un elemento sognato che diventa, nella considerazione del giudice ignaro, una semplice macchina da soldi per i due bambini, che dei soldi invece avrebbero volentieri voluto privarsi pur di vivere la propria libertà. 

 

 

Inevitabilmente, anche i bambini diventano il risultato della pressante azione adulta: la comunità tanto ricercata da Pasquale e Giuseppe si trasforma in comunitarismo, con i due ragazzi che inseguono costantemente la vendetta e il sopruso, nascondendo le tracce del crimine e rinsavendo soltanto di fronte all’unica conseguenza possibile di una violenza sociale reiterata: la morte

Recensione di Sciuscià film di Vittorio De Sica

L’omaggio alla tradizione di Vittorio De Sica, in un prodotto estremamente rivoluzionario

Nella sua struttura, Sciuscià rappresenta un prodotto che sa porsi come estremamente rivoluzionario, nella carriera di Vittorio De Sica oltre che nel contatto con la storia cinematografica della sua epoca. Un prodotto particolarmente compatto, in cui la regia asciutta dell’autore si confronta con gli archetipi del neorealismo italiano: in tal senso, appare lapalissiano sottolineare la capacità, da parte di Vittorio De Sica, di dirigere  Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi, non professionisti (soltanto Interlenghi diventerà attore successivamente). 

 

Lo Sciuscià di Vittorio De Sica si presenta, dunque, come un prodotto che sa aderire ai canoni del suo tempo, omaggiando anche la tradizione di cui il regista è figlio: ne sono un esempio le fiamme che danno fuoco alla pellicola, nel momento catartico del film, oltre che le scene di fuga dei bambini, che tentano di abbandonare il carcere in un movimento goffo e velocizzato, che si rifà alla tradizione del genere muto rappresentata idealmente dal riferimento a Il Monello di Charlie Chaplin. Un film che sa trascendere il tempo in ognuna delle sue accezioni, dunque, permettendo a Vittorio De Sica (che si ripeterà con il successivo Ladri di biciclette) di entrare definitivamente nella storia, consegnando ai posteri un manifesto.