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Recensione- All’ovest niente di nuovo: L’annichilimento dell’uomo in guerra

Veniva proiettato per la prima in quel di Los Angeles, il 21 aprile 1930, “All’ovest niente di nuovo” (“All quiet on the western front” in originale), film diretto da Lewis Milestone e interpretato da Lew Ayres e Louis Wolheim, affiancati da una fitta schiera di co-protagonisti, personaggi secondari e comparse. L’opera è tratta dal romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, classico della letteratura del Novecento scritto da Erich Maria Remarque nel 1929. Dallo stesso testo è stata tratta, nel 2022, una nuova trasposizione intitolata Niente di nuovo sul fronte occidentale” diretta da Edward Berger di produzione tedesca, che è stata candidata a 9 premi Oscar. Di seguito l’analisi delle peripezie distributive affrontate dalla pellicola, la sua trama e la recensione.

La storia distributiva di All’ovest niente di nuovo

 

La storia distributiva del film è piuttosto tortuosa e varia da Paese a Paese. Va notato innanzitutto come il film sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore del codice Hays, una serie di leggi che negli Stati Uniti vietò per circa trent’anni, dal 1934 al 1968, di mostrare scene di nudo, sangue o baci tra persone dello stesso sesso o dal colore della pelle dissimile. Se guardato al giorno d’oggi dunque, paradossalmente, il film potrebbe sembrare persino più spregiudicato in alcune sue scelte di messa in scena rispetto a molte altre pellicole prodotte negli Stati uniti nei tre decenni successivi.

 

Al di là del codice Hays tuttavia, fino ad almeno gli anni 70 del secolo scorso, la censura è stata spesso la spada di Damocle di pellicole che si ritenesse andassero contro la morale o il buon gusto dei Paesi in cui venivano proiettate. In tal senso “All’ovest niente di nuovo” è uno dei film che, complice anche la coincidenza storica del suo rilascio in sala, ha patito maggiormente tali norme.

 

L’opera infatti, nonostante poi abbia ottenuto un grande successo che la portò anche ad aggiudicarsi i premi oscar di miglior film e migliore regia nell’edizione del 1930, fu distribuita in giro per il mondo con lunghezze (e addirittura accompagnamenti musicali) differenti e in molti Paesi fu bandita per decenni. In Italia il regime fascista, considerando l’opera un atto di forte critica ai sistemi totalitari, proibì la riproduzione del film che fu reso disponibile (legalmente) per la visione soltanto negli anni 80. La pellicola fu anche bandita in Austria e Francia e in entrambi questi Paesi la si poté vedere solo a partire dagli anni 60.

 

Il caso più clamoroso e tragico però riguarda sicuramente la Germania (Paese in cui le vicende hanno luogo). Il 4 dicembre 1930 infatti si tennero in diversi cinema di Berlino le anteprime di questa pellicola. Venuti a conoscenza dell’evento Goebbels e Hitler, ritenendo che il film propagandasse messaggi “anti-tedeschi”, presero d’assedio le sale in cui stava avvenendo la proiezione con bombe lacrimogene, liberando topi per creare scompiglio tra la folla e addirittura aggredendo fisicamente chiunque loro ritenessero “essere ebreo”, costringendo infine i proiezionisti a interrompere lo spettacolo.

Il film fu bandito dal governo a seguito dell’accaduto e solo nel 1952 fu possibile agli spettatori tedeschi vederlo completamente per la prima volta.

 

Il peso cinematografico del film non è tuttavia stato scalfito minimamente da questi accadimenti, infatti la sua rilevanza artistica ha continuato a perdurare nel tempo influenzando capolavori quali “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg (che citò “All’ovest niente di nuovo” come una delle sue più grandi ispirazioni estetiche per il film) e “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick (in tal senso il riferimento è alle scene di addestramento condotte dal sergente Hartman).

La trama di All’ovest niente di nuovo

 

 

La pellicola ruota intorno la storia di un gruppo di giovani studenti che, convinti dal veemente discorso di un loro professore, decidono di arruolarsi come volontari presso le fila dell’esercito tedesco nel corso della Prima Guerra Mondiale. Quello che sembrava essere un gesto di amore verso la propria patria ben presto si rivela come un fatale errore che li porterà a condurre una giornaliera ed estenuante lotta per le loro vite rintanati nelle trincee sul fronte occidentale.

 

La recensione di All’ovest niente di nuovo


Fin dalla prima sequenza “All’ovest niente di nuovo” si caratterizza come un’opera meravigliosamente in grado di comunicare con lo spettatore soltanto tramite movimenti di macchina e scelte di messa in scena. Si viene infatti immediatamente catapultati nel bel mezzo di una parata militare che si svolge lungo le vie di una cittadina tedesca. Le urla della folla, che dopo poco comincia a intonare l’inno nazionale, penetrano anche attraverso le finestre spalancate di una classe di liceo. Già qui il montaggio sonoro risulta geniale, infatti la bocca del professore che sta impartendo la lezione (inudibile a causa del rumore esterno) sembra essere fin da subito non tanto il un mezzo per diffondere cultura quanto un megafono in grado di amplificare la propaganda guerrafondaia del governo tedesco. Ecco che dunque il film decide fin da subito di porsi sia come narrazione individuale delle vicende, che da quel momento in poi caratterizzano la vita del protagonista Paul, sia come disamina sociale di un popolo in guerra.


Le trovate visive e sonore di questo tipo si susseguono per tutta la durata della pellicola con una sottigliezza e una maestria che sono tipiche del cinema classico, basti pensare alla prima inquadratura del fronte di guerra ripreso attraverso le grate di una stazione ferroviaria, come a rinchiudere i combattimenti in una gigantesca gabbia, un carcere nel quale il gioco al massacro della guerra prende forma. Tra i tanti film di guerra che si possono citare in quanto esteticamente debitori a questa monumentale opera non si può non citare anche “Orizzonti di gloria” (1957) di Stanley Kubrick.


L’eleganza e la spietata compostezza con cui è ripresa la trincea dal regista di “Barry Lyndon” discendono infatti da qui. La morte in guerra e in questi malsani campi di battaglia non è mai spettacolarizzata o eroicizzata, ciò che separa i soldati dalla loro futura dipartita è una decisione sbagliata, un momentaneo calo di concentrazione o talvolta solo la cattiva sorte. E’ inoltre niente meno che sublime il modo in cui Milestone decide attraverso rapide pennellate (in un film dalla durata contenuta vista la mole di eventi che narra) di raffigurare il progressivo smarrimento di Paul e il lento decadimento della sua psiche bombardata dai tambureggianti e incessanti rumori della guerra (il sonoro è magistralmente gestito e il suo montaggio fa invidia a molti film realizzati al giorno d’oggi).


Due sequenze in tal senso, seppur dai toni diametralmente opposti, sviluppano questa tematica. Nella prima Paul si ritrova a condividere una fossa nel bel mezzo del campo di battaglia con il corpo senza vita di un soldato francese da lui stesso ucciso. Man mano che il tempo scorre il protagonista si esibisce in un surreale quanto macabro soliloquio in presenza del suddetto cadavere, nel quale la paranoia e il terrore per la morte si fondono dando vita a un delirio di concetti sconnessi tra loro, con il quale Paul cerca di espiare il proprio senso di colpa per i terribili atti che è stato costretto a compiere nel corso del conflitto. Nemmeno il conforto di un’allucinazione o di un fantasma amletico sono concessi al nostro protagonista che si trova nella sua solitudine a farneticare con la sua mente prigioniera del mondo che lo circonda.


In un’altra sequenza invece Paul e uno dei suoi commilitoni si trovano a commentare il poster appeso al muro della pubblicità di uno show di ballo che ritrae un uomo elegantemente vestito e una ballerina dagli abiti succinti. L’inquadratura mostra il tutto dividendo lo schermo tra il poster e il riflesso dei due personaggi su uno specchio adiacente. Ecco che una scena che impostata in altro modo sarebbe risultata banale si trasforma nell’immagine residuale e sbiadita di ciò che furono due uomini il corpo stilizzato di una donna. In entrambe queste scene è bene notare come gli oggetti dell’interesse dei protagonisti siano inanimati, a sancire il distacco sempre più evidente di essi dal mondo dei vivi. Le interpretazioni sono tutte di altissimo livello e il mare di comparse che inonda i campi di battaglia rendono assolutamente credibili agli occhi dello spettatore gli eventi che vengono narrati. Le bombe distruggono interi edifici (con una cura per la messa in scena della distruzione che manderebbe in brodo di giuggiole Cristopher Nolan), i colpi di mortaio fischiano ovunque e la lordura delle trincee penetra in ogni singolo poro della pelle in un’opera che riesce, tra le tante cose, a suggestionare anche sensorialmente.


Altre sequenze tra cui quella riguardante gli stivali di uno dei soldati o quella della prima morte in trincea o del decesso del personaggio interpretato da Wolheim sono splendide e anche il finale, modificato rispetto a quello del libro, è coerente con tutto ciò che viene prima. Paul infatti è ormai estraneo alla vita e il suo tentativo di accarezzarla per un’ultima volta non può che tradursi nella sua finale dipartita.

Voto:
4.5/5