Articolo pubblicato il 17 Dicembre 2022 da Vittorio Pigini
Sesto lungometraggio diretto dal regista messicano Michel Franco, “Nuevo Orden” è un teso thriller fantapolitico cinico e spietato, che rappresenta la drammatica previsione di un panorama apocalittico che, se non ancora verificatosi, potrebbe risultare pericolosamente prossimo.
Michel Franco ha un rapporto quasi simbiontico con i festival. Su 7 lungometraggi scritti e diretti dal regista messicano, 6 sono entrati proprio in corsa nei principali premi dei grandi festival internazionali, in particolare per la Mostra d’arte cinematografica di Venezia e quello di Cannes. Da quest’ultimo è infatti uscito vincitore del Premio Un Certain Regard per “Después de Lucía” nel 2012, del Prix du scénario per “Chronic” nel 2015 e per “Las hijas de Abril” nel 2017. Ultimamente Franco si è invece “spostato” verso il Festival di Venezia, dove nel 2020 ha ottenuto il “Leone d’argento – Gran Premio della Giuria” proprio per “Nuevo Orden” e l’anno dopo ha mandato in concorso per il Leone d’oro il suo ultimo film “Sundown” con Tim Roth.
Di seguito la recensione del film del regista messicano Michel Franco del 2020 “Nuevo Orden”.

Nuevo Orden, di Michel Franco: la trama
Un giorno di festa, di giubilo per un matrimonio dell’alta società che vede l’unione dei giovani e ricchi Marianne e Daniel, intenti a festeggiare il loro giorno insieme a familiari, amici, giudici, avvocati ed esponenti politici.
Lo spettatore tuttavia è ancora scosso dai primissimi istanti della pellicola: immagini crude, morbose e disarmanti di cadaveri ammassati che non lasciano presagire proprio nulla di gioioso per i festeggiamenti. Questi ultimi verranno infatti bruscamente interrotti da un gruppo di rivoltosi armati e violenti che, oltre a seminare morte e distruzione nella villa, location della festa, inizieranno a prendere in ostaggio i partecipanti.
Da lì il via ad un’escalation di sequenze a dir poco sensibili, con brutali violenze psicofisiche esercitate nei confronti di chi, prima di questi attimi, si sentiva al sicuro nella sua confortevole sfera di cristallo, compresa la protagonista, la premurosa ed innocente Marianne la cui unica colpa risulterebbe quella di essere nata in una famiglia facoltosa.
I rivoltosi non si sono infatti limitati al perimetro della villa, ma hanno istituito a tutti gli effetti una dittatura militare nel paese, seminando caos e disperazione. Quest’ultima travolgerà totalmente il personaggio di Daniel, volenteroso nel riportare a casa sana e salva la sua amata Marianne ma impotente davanti alle regole del “gioco dei riscatti” del Nuovo Ordine.
La Recensione di Nuevo Orden, di Michel Franco: la corda si sta spezzando
Nuovo Ordine: i poveri si sono stancati dei continui soprusi da parte dei ricchi potenti e facoltosi e hanno deciso di alzare la testa e dire “Basta!”. A colpi di fucile e di vernice anche il colore verde perde la sua peculiare analogia con la speranza.
Michel Franco affronta con furbizia e intelligenza il tema della rivolta sociale mantenendo una visione oggettiva senza, apparentemente, prendere posizione e lasciando allo spettatore il tiraggio dei giusti fili per poter rispondere a cruciali interrogativi: “quando una rivoluzione armata può definirsi giusta e, alla fine, ne vale davvero la pena?”. L’astuzia del regista messicano sta proprio nell’uso che egli fa della distopia nella sua narrazione – dall’affascinante tinta documentaristica – che infatti non si accompagna necessariamente ad una messa in scena prettamente fantascientifica in senso stretto, in quanto lo spettatore si ritroverà catapultato in un’effettiva Città del Messico (luogo di nascita del regista, tanto per incrementare l’intimità del suo messaggio), ma semplicemente scollegata da una precisa collocazione temporale, se non per le moderne ricostruzioni sceniche e i comportamenti dei personaggi.
Un tempo che, come ovviamente inteso dal regista, potrebbe essere fatalmente incombente sulla nostra quotidianità come monito per lo stesso spettatore. Si ritorna dunque all’uso intelligente della “finta distopia”, fortemente e drammaticamente ancorata al reale, proiettando immagini che potrebbero verosimilmente provenire da qualche reportage giornalistico in giro per il mondo.
La ribellione armata descritta non è tanto una risposta prettamente politica (la ricerca di un cambiamento, la richiesta di determinate leggi o la difesa di determinati diritti), ma semplicemente un punto di rottura dato dall’estrema disuguaglianza economica e sociale, principalmente causata da un radicato razzismo e dalla dilagante corruzione, che rendono la ribellione più pericolosa e imprevedibile.
Sì, perché individuare il tiranno, gli esponenti di un dato movimento politico o un nemico estero, non risulterebbe poi molto complicato. Ma se invece la questione è quella economica, occorrerebbe tracciare la soglia di ricchezza corretta che separerebbe in questo scenario i cosiddetti ricchi dai poveri, i cacciatori dalle prede.
Alla fine, dopo svariate sequenze che spezzano il fiato, le cose sembrerebbero tornare nel verso giusto, ma è proprio in quel momento che Franco assesta il colpo di grazia: un finale cinico e pessimistico, senza speranza alcuna. Qualunque sia la modalità, prima o poi la Rivoluzione dovrà pur finire e il risultato sarà quello di aver lasciato una scia di cadaveri lungo la strada. Perdono tutti e le perdite sono irreparabili. Occorre “semplicemente” anticipare un evento nefasto che sembrerebbe essere sempre più vicino, la forbice delle disuguaglianze (sia dovuta per ragioni economiche, sia di razzismo e di altre condizioni sociali) deve restringersi a tutti i costi, per evitare il punto di rottura, perché tirare troppo la corda finisce inevitabilmente per spezzarla.

La Recensione di Nuevo Orden, di Michel Franco: la distopia di un distruttivo documentario
Tuttavia, l’opera del regista messicano vincitrice del “Leone d’argento” al Festival di Venezia non è (esclusivamente) un trattato politico, ma un ottimo prodotto cinematografico, e come tale non si può non spendere due parole sul lato tecnico e registico. Il lavoro di maestria svolto dietro la macchina da presa permette di offrire una fotografia intrigante e ben assestata, con intensi long-take densi e dilatati, volti a mettere ordine al caos sulla scena e con azzeccati movimenti che permettono d’incrementare la tensione (praticamente onnipresente) e di catturare la disperazione nei volti dei personaggi.
Nel cast è infatti difficile lodare qualcuno in particolare: ogni presenza viene ben interpretata risultando perfettamente consona al narrato, pur non spiccando volti particolarmente in vista nel panorama internazionale come Naian González Norvind nei panni dell’agnello sacrificale Marienne e Diego Boneta nel ruolo del fresco sposino Daniel. Il vero protagonista diventa così il caos, la distruzione di Città del Messico, lo scambio di prigionieri tra vittime e carnefici, tra militari e civili, tra ricchi e poveri. La distopia di “Nuevo Orden” cambia infatti le carte in tavola rispetto a molti altri film fantascientifici e fantapolitici (può tornare alla mente “V per Vendetta“, “1984“, “Equilibrium”, “In time” e molti altri), dove appunto i più ricchi, gli squali delle grandi compagnie commerciali, i politici autoritari e l’esercito al servizio detengono il potere con il pugno di ferro, lasciando i poveri e chi soffre alle loro lotte per la vita, finché qualcuno decide di cambiare le cose. Nel film sono gli stessi reietti, discriminati, poveri che hanno sovvertito il potere costituito e hanno preso il potere con il pugno di ferro, per vendetta, e Michel Franco riesce a mostrare questo cambiamento come se stesse girando un documentario.
Un altro elemento che colpisce particolarmente l’attenzione, è infatti anche la totale assenza di una colonna sonora (se non per la sola musica diegetica presente alla festa). Il sonoro presente è infatti quello dei colpi di pistola, delle percosse e delle urla; la musica “evasiva” volta a sdrammatizzare o accentuare il contenuto non è ben accetta, lasciando alle immagini di mostrare in totale autonomia ciò che deve essere mostrato. Le tinte documentaristiche sopracitate si riferiscono appunto allo spietato realismo che pervade la pellicola, dando a volte l’idea di assistere ad un mokumentary ma che è semplice strategia registica di Franco nel permettere allo spettatore di immergersi il più profondamente possibile nella vicenda.