Articolo pubblicato il 15 Maggio 2023 da Bruno Santini
Nel 1970 Orson Welles iniziò a girare The Other Side of the Wind, una satira sul passaggio del cinema classico hollywoodiano a quello della New Hollywood. Welles girò la storia come se fosse un documentario, sia a colori che in bianco e nero, e con un cast d’eccezione: John Huston, Peter Bogdanovich, Joseph McBride (critico e storico del cinema), Oja Kodar (compagna del regista), Dennis Hopper, Claude Chabrol nei panni di sé stesso e altri nomi illustri che scorrono nei titoli di coda. Approdato finalmente su Netflix nel 2018, dopo essere stato presentato fuori concorso a Venezia due mesi prima. Ecco la recensione di The Other Side of the Wind, l’evocazione dello spirito di Orson Welles.
The Other Side of the Wind, tutte le informazioni e la trama del film Netflix
Importante fare delle premesse. Innanzitutto The Other Side of the Wind ha una lunga vita produttiva che parte dal 1970 fino ad arrivare al 2018. Le riprese continuarono a intervalli regolari per 6 anni, ma la post-produzione fu segnata da difficoltà finanziarie e legali, limitando Welles a montare il film nel suo tempo libero mentre per guadagnarsi da vivere recitava in altri progetti. Nel 1985 ci fu la sua dipartita e di The Other Side of the Wind esisteva un montaggio provvisorio con circa 100 minuti di girato, anche se in tutto sembra ci fossero 50 minuti di pre-montato e altri 100 di materiale grezzo da dover riorganizzare. Solo nel 1998 fu raggiunto un primo accordo tra le varie parti, e nel 2007 Bogdanovich cominciò a lavorare al completamento del film, con l’intenzione di farlo debuttare a Cannes nel 2010. Come ormai risaputo, il film finirà su Netflix – precedentemente verrà presentato fuori concorso a Venezia – nel 2018 ed è tutt’oggi ritenuto uno dei titoli più importanti con il logo della grande N.
Passando più concretamente a ciò che si vede durante The Other Side of the Wind, si seguiranno le vicende dell’ultimo giorno di vita del grande regista Jake Hannaford, con riprese diversificate – tra gli 8mm e i 16mm – provenienti da giornalisti e cinefili al party di presentazione del suo ultimo film, l’innovativo The Other Side of the Wind, la cui riproduzione si alterna alla cronaca della serata. La narrazione si svolge tutta in 24 ore e già nei primi minuti si svela la struttura dell’opera, enunciata dalla voce fuori campo di Brooks Otterlake, regista di successo e amico del defunto cineasta Jake Hannaford, il quale, commentando l’incidente mortale di quest’ultimo rivela di aver assemblato materiale audiovisivo realizzato da alcuni operatori durante l’ultima festa di Hannaford, avvenuta molti decenni fa. Dal titolo del film si va procedendo con un elaborato lavoro di mise en abyme che evidenza i più strati di finzione e realtà. Il titolo, The Other Side Of The Wind corrisponde nella finzione a quello dell’opera realizzata da Jake Hannaford – il doppio di Welles, interpretato da John Huston – morto nella stessa data in cui morì sucida Ernest Hemingway: il 2 luglio.

La recensione di The Other Side of the Wind, il film testamento di Orson Welles
La sopracitata voce fuori campo di Brooks Otterlake commenta, nell’incipit, l’incidente mortale di Jake Hannaford. Questo è un meccanismo tipico del cinema di Welles, in particolare del noir dato che il genere stesso lo implica. L’inizio è la fine, dando il via ad un cerchio. Tracciando invece il percorso di mise en abyme abbiamo Brooks Otterlake che è interpretato dal regista Peter Bogdanovich, autore di spicco della generazione di cineasti della New-Hollywood. Welles voleva parlare proprio di questo, ossia del decadimento del cinema classico per lasciar posto all’ascesa di quello della New-Hollywood: non a caso Otterlake ha superato il maestro al Box-Office, facendosi quasi capostipite di una nuova generazione di registi destinata a rimpiazzare la “old” Hollywood. Il tutto con quel modo di fare illusorio, mai eccessivamente esplicito o didascalico, perché non è il gioco di ruoli il cuore del film.
In continuità con il precedente F come Falso, anche in The Other Side of the Wind si riflette sulla macchina da presa e le potenzialità a cui quest’ultima può far fronte anche solo inquadrando un oggetto o una persona. D’altronde è proprio all’interno di questa impossibile narrazione che si riflette sul cinema in quanto rappresentazione di una realtà, arte mimetica. Lo dimostrano le diverse modalità di riprese con cui i presenti registrano con fervore la festa di Hannaford, segnando l’epoca precedente alla nascita del digitale. Ma lo sguardo va oltre, ed induce lo spettatore a riflettere sull’immagine stessa, su come si produce, le motivazioni, le modalità di fruizione e come incidono su chi guarda. La soggettività dell’autore impregna l’opera di quelle peculiarità che la rendono personale, e si sottolinea come debba esserci un’intesa con gli attori e chicchessia all’interno della produzione, altrimenti la macchina da presa potrebbe compiere un gesto di ribellione e non donerebbe il giusto pathos all’immagine stessa, ritraendo in modo distaccato un semplice volto di una qualunque persona. Bisogna riuscire a dare il giusto valore a ciò che si sceglie di inquadrare, il come è un altro strumento di potente persuasione: una donna in mezzo al deserto, interpretata da Oja Kodar, cammina orizzontalmente mentre, sfruttando la profondità di campo, viene mostrato l’attore John Dale sdraiato sulla sua motocicletta intento a godersi il passaggio di questa specie di donna angelo abbigliata in nero. Oja Kodar entra in una cabina telefonica e Dale si avvicina generando il riflesso del suo volto sul vetro della cabina stessa. I due personaggi si guardano per un istante: torniamo alla realtà fuori dalla pellicola dove il produttore e l’assistente del regista Hannaford discutono a proposito della trama. Ma il ritorno alla realtà del film è immediato: la donna sosta davanti a un grattacielo i cui vetri riflettono la sua immagine; Dale si avvicina e i riflessi dei loro volti si avvicinano per qualche istante. Uno stacco ci porta in una galleria, dove a fotogrammi accelerati vediamo John Dale in motocicletta mentre segue Oja Kodar.
Le immagini riflettono, si moltiplicano e si ritraggono secondo i canoni dettati dall’artista-illusionista. Non è importante la trama, ma il come si sceglie di inquadrare; un mantra che in pochi stanno seguendo con l’attuale post moderno. Infatti, il produttore è frustrato perché non riesce a capire il copione a cui le immagini si sono prestate: ma, colpo di scena, il copione non esiste. Jake inventa tutto man mano che si procede con il girato, attento alle infinite variabili di composizione della sua opera personalissima. Se non è questo lo spirito di Welles, allora cosa lo è? Orson Welles, genio autentico, è sempre riuscito a prendere la propria coscienza per ridisegnarla all’interno dei suoi film: Kane, Arkadin, Quinlan, O’Hara.
The Other Side of the Wind, sancisce l’eredità che Orson Welles ha lasciato al cinema e all’arte in quanto immenso illusionista e creatore.